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n.zoller@trentinoweb.it INFO SOCIALISTA 25 Gennaio 2007 a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l’azione nazionale dei socialisti e del centro sinistra tel. 338-2422592 – fax 0461-944880 Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it - www.socialisti.bz.it Quindicinale - Anno 4° @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ A sette anni dalla morte avvenuta il 19 gennaio 2000 La “via” di Bettino Craxi: quella del socialismo riformista e liberale • da TRENTINO del 19 gennaio 2007 di Nicola Zoller L’ambasciatore e storico Sergio Romano ricordava nell’ottobre scorso come l’eliminazione dei partiti socialisti nell’ Europa centro-orientale durante l’era sovietica sia avvenuta manu militari, mentre “in Italia la morte del socialismo è avvenuta per via giudiziaria”. Ora, ricorrendo in questi giorni l’anniversario della morte di Bettino Craxi, da parte di molti osservatori è stato fatto il punto su questa “via giudiziaria” della lotta politica. Molti di noi si ritrovano nelle parole di Marco Battisti – nipote di Cesare, fondatore del socialismo trentino e grande irredentista democratico – che ha scritto: “A quindici anni di distanza, si possono tirare le somme di ‘Mani pulite’ ed è evidente che i risultati ottenuti sul piano politico - eliminare con la distruzione dell’immagine un’intera classe politica - superano di mille miglia i risultati ottenuti sul piano giudiziario. L’accanimento giustizialista nei confronti dei socialisti è stato particolarmente intenso: comune per comune, sindaco o assessore, mirando a tutti quelli che rappresentavano il tessuto connettivo di una comunità politica di milioni di italiani. A conclusione, la stragrande maggioranza di queste persone è uscito indenne dall’indagini e quella condannata è un quota marginale. Una ricostruzione storica di quelle vicende è importante per dimostrare che le accuse sommarie non cor-rispondevano alla realtà e per riconoscere quello che i socialisti hanno dato e potranno dare al loro paese e alla loro terra. L’onore ai socialisti ed a Craxi viene anche da Piero Fassino che scrive: ‘Craxi è uomo profondamente di sinistra. Autonomista, anche all’epoca del Fronte popolare, ha uno spiccato senso dell’identità socialista rispetto all’area maggioritaria della sinistra italiana, quella comunista. Certo, Craxi non esita a fare della competizione a sinistra, puntando ad accrescere le difficoltà del Pci, inducendoci a reagire nel modo peggiore, con un più alto livello di con-flittualità. Ma resta il fatto che il Pci non appare capace, negli anni ’80, di affrontare il tema della modernizzazione dell’Italia, spingendo così ceti innovatori e produttivi verso chi, come Craxi, di-mostra di comprenderli’”. Ricordo questi passi e riferimenti di Battisti (con la sottolineatura della raccapricciante sproporzione tra risultati “giudiziari” e danni “politici”, insomma - per dirla con un moderno Beccaria - tra i “delitti” rilevati e la smisurata “pena” politica comminata) perché vien da piangere nel dover risentire ancora nel 2006 chi infierisce sulla “crisi degenerativa causata dal craxismo”; come stringe il cuore veder ristampata ancora la “sentenza” a nostro carico che riferisce di “gravissima degenerazione di carattere etico” e addirittura di “tradimento”. Ma prima , altri ancora, per meglio “predisporsi” verso i nuovi tempi, non ha avuto riguardo - nella polemica intestina che inevitabilmente si fomenta nelle disgrazie – a definire “disonesto” o più sbrigativamente “stupido” o “quaraquaquà” (sì, proprio con quello stesso termine appioppato a Sciascia dai piccoli Torquemada della presunta antimafia) chi provava a difendere dal disonore tutta l’esperienza socialista italiana, sentendosi una piccola ma partecipe parte di essa dalla Sicilia al Brennero, dalle idee di Andrea Costa a quelle di Bettino Craxi, senza cedere alla moda di accodarsi nel denunciare - rieccoci - “la degenerazione nel rapporto fra economia e politica”, solo per salvare il proprio orto particolare, reputato più pulito e in ordine di altri. Qui sopra si è parlato di “degenerazione” morale, mentre era in corso una vera e propria guerra politica per via giudiziaria! Gli storici ben sanno che spesso “la lotta politica è praticamente tutta combattuta con accuse di immoralità”. E allora è stata davvero una pena veder fior di democratici infierire contro il Psi, quando già tutta la “machina” dei poteri “forti” economici e politico-giudiziari era pronta ad annientarci. Sì, c’è stato il finanziamento irregolare dei partiti, di tanti partiti: ma era anche la conse-guenza dei limiti del finanziamento pubblico dei partiti, in Italia ben sotto la media europea; tanto è vero che dopo il travolgente referendum che negli anni ’90 abolì tale finanziamento, esso si ripre-sentò alla grande sotto la forma di “rimborso elettorale” prevedendo per le rappresentanze partitiche finanziamenti pubblici ben più cospicui dei precedenti: il problema insomma era ed è quello di dotare i partiti di maggiori mezzi trasparenti, pubblici e anche privati, come avviene in tutte le grandi democrazie. Sì, ci sono state condanne penali, più esemplari che numerose, accollando vari reati ai prota-gonisti politici coinvolti tra cui campeggiava la corruzione personale. Eppure pochi hanno richiamato un dato che ogni storico conosce: che in tutti i tempi “le sentenze dei tribunali non sono la realtà ma solo una interpretazione di essa”. Potremmo ancor meglio rammentare che addirittura dai tempi di Aristotele “in teatro come in tribunale non conta tanto la realtà ma come questa viene rappresentata”. E che durante “Mani pulite” la rappresentazione della realtà fosse potentemente influenzata dal clima forcaiolo del momento è una considerazione oggi consolidata. Invece allora si sorvolò, ad esempio per Craxi, su un dato successivamente riportato in una intervista del 23 febbraio 1996 dall’insospettabile viceprocuratore di Milano Gerardo D’Ambrosio: “La molla di Craxi non era l’arricchimento personale, ma la politica”. Bastava forse che questa “realtà” emergesse con molta più evidenza nella “rappresentazione” mediatica-giudiziaria tra il 1993 e 1995 per placare gli animi assetati di giustizia sommaria? Ciò comunque non avvenne e si preferì proseguire nella caccia ai “capri espiatori”. Ma cosa dovevano poi espiare, dov’era poi la “terra desolata” in preda a bande di ladroni descrittaci dagli innumerevoli moralizzatori che hanno animato la stagione di Tangentopoli? “Un reddito nazionale cresciuto di cinque volte dal 1950 al 1990 colloca l’Italia fra i paesi a più elevato tenore di vita nel mondo”: altro che terra desolata, ha lasciato scritto Carlo M. Cipolla, uno dei più valenti storici economici che l’Italia abbia avuto. Mentre in una riflessione del 2002 Carla Colicelli, vicedirettore del Censis, poteva scrivere: “Il periodo fino al 1992 indicato come più corrotto è anche quello nel quale l’Italia è cresciuta di più, secondo una asserzione condivisa da tutti, anche a livello internazionale; ora, siccome è senz’altro vero che è la corruzione a bloccare lo sviluppo nei paesi poveri, l’Italia non doveva essere poi così corrotta”. Era dunque questa l’Italia in mano ai degenerati, ai traditori, ai ladri? Contro i socialisti, contro i loro dirigenti e amministratori nazionali e locali è stata fatta una guerra sleale, creando danni rimarchevoli al tessuto democratico col venir meno di una organizzazione partecipata e radicata sul territorio. Altri partiti e altre importanti esperienze democratiche hanno subito sorti analo-ghe e la politica italiana ne ha ricavato danni permanenti. Cosa resta? Questa constatazione: che il movimento progressista per trovare in Italia una buona strada dovrà ripercorrere quella che Craxi meglio di altri aveva imboccato, la via del socialismo riformista e liberale di marca europea. L’ha ricordato nel dicembre 2006 Giuliano Amato, che a proposito del Psi di Craxi ha detto: “E’ stata una stagione politica fantastica. Avevamo un rapporto pulito. Mi sono sentito offeso per tanti anni a causa delle diffamazioni. Il Psi non era Ali Babà con intorno i quaranta ladroni”. Così forse non è un caso che giusto la scorsa settimana il vicedirettore Rai Giancarlo Leone rispondendo alla domanda su chi dovrebbe essere riabilitato in Italia risponda: “Politicamente Bettino Craxi”, ritenendo maturo il tempo per un documentario in proposito. Sì, Craxi è morto sette anni fa ma ora non solo i socialisti ne sentono la mancanza e soffrono l’ingiustizia subita. Ti sia lieve la terra di Tunisia, caro Bettino. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ CHI È PIÙ DI SINISTRA? • da Corriere della Sera del 15 gennaio 2007, pag. 1 di Francesco Giavazzi Da qualche mese in alcuni supermercati giovani farmacisti vendono medici-nali a un prezzo inferiore del 20-30% ai prezzi delle vecchie farmacie di città. Chi è più di sinistra? Chi liberalizza commercio e professioni, o chi consente che le farmacie, così come gli studi notarili, si tramandino di padre in figlio? All'università di Lecce il numero dei dipendenti addetti a mansioni tecniche e amministrative supera il numero degli insegnanti (non è sorprendente dato che lo statuto dell'università prevede che il personale amministrativo abbia il 20% dei voti nell'elezione del rettore). Avendo bruciato tutte le risorse in una dissennata politica di assunzioni, il rettore è stato costretto a sospende-re il riscaldamento (nelle aule, non certo negli uffici amministrativi, dove il riscaldamento funziona anche il pomeriggio, quando le stanze sono deserte). Pochi in città sembrano preoccupati dello stato della loro università: i figli della buona borghesia salentina studiano a Bologna, a Torino, a Milano. All'università di Lecce sono rimasti i figli di chi non può permettersi di mandarli al Nord. Chi è più di sinistra? Chi vuole riformare l'università, oppure chi nella Finanziaria ha imposto di stanziare più fondi per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici? In Danimarca prima dell'intervento di varie forme di assistenza pubblica, le famiglie a rischio di povertà sono 32 su 100: l'intervento dello Stato le riduce a 12. Cioè il welfare danese riesce a spostare 20 di quelle 32 famiglie fuori dall'area a rischio. In Italia le famiglie vicine alla soglia di povertà sono 22, ma lo Stato riesce ad aiutarne solo 3. Chi è più di sinistra? Chi vuole riformare alle radici il nostro sistema di welfare, nell'inte-resse dei poveri e dei giovani, oppure chi pensa che la riforma delle pensioni non sia urgente e difende i fortunati che hanno un lavoro a tempo indeterminato e vanno in pensione prima dei sessant'anni? Concorrenza, riforme, merito dovrebbero essere le bandiere della sinistra radicale; questa invece, opponendosi alle riforme, finisce per difendere i privilegi. Non mi stupisce che il governo di centrodestra non abbia varato una sola liberalizzazione, né inciso su alcun privilegio: era stato eletto per con-servare lo status quo e lo ha fatto. Ma non comprendo come lo stesso possa avvenire con un esecutivo di centrosinistra. Una società in cui c'è scarsa concorrenza, in cui nell'impiego pubblico (oltre il 10% di tutti i posti di lavo-ro) si fa carriera per anzianità e non per merito, è una società in cui il futuro finisce per essere determinato dal censo: proprio ciò contro cui si batte la sinistra. Alcuni (ad esempio Barbara Spinelli su La Stampa) pensano che a Caserta riformatori e liberalizzatori abbiano fallito perché chiedevano all'ala sinistra del governo di rinnegare la propria storia. E' esattamente il contrario: hanno fallito perché non sono stati capaci di spiegare che le riforme sono «di sinistra» e la conservazione dei privilegi «di destra». Nei prossimi giorni i presidenti di Camera e Senato dovranno nominare due nuovi membri dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. La storia politica di Franco Marini e Fausto Bertinotti non lascia dubbi sul loro impegno contro i privilegi, a favore dei più deboli, dei meno fortunati. Mi attendo quindi che nominino persone il cui curriculum e i cui scritti non lascino dubbi sul fatto che esse siano pronte a sostenere la battaglia coraggiosa che il presidente Catricalà sta combattendo contro i molti potenti che ostacolano la concorrenza: banche, assicurazioni, imprese elettriche e del gas, professionisti ed enti locali. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ I PARTITI NON UCCIDONO, SONO STATI UCCISI • da Il Riformista del 18 gennaio 2007, pag. 2 di Emanuele Macaluso Sulla “Stampa” di ieri la pagina sette è dedicata a Luca di Montezemolo (bella foto) il cui pensiero è sintetizzato in un grande titolo: «I partiti uccidono il futuro del paese». Quali sono e dove sono i partiti omicidi non si dice. Io rovescio l'assunto di Montezemolo: «l'assenza dei partiti uccide il presente e l'avvenire del paese». La mia affermazione è testimoniata dal fatto incontrovertibile che dopo il disastro del fascismo e della guerra i partiti (quelli veri) furono la mente e il motore della ricostruzione materiale e morale del paese, al quale diedero un assetto costituzionale e un sistema politico che resse quando erano insieme al governo, quando suc-cessivamente si divisero e nel corso della guerra fredda. Quei partiti diedero un ruolo al paese in Europa e nel mondo. E non ci sarebbe stato nessun miracolo economico senza quei partiti. Quando si manifestò la loro crisi e degenerazione (negli anni '80-'90), anziché riformarli e rinnovarli, si preferì distruggerli o ridimensionarli. Abbiamo avuto così l'imprenditore Berlusconi, Bossi e i nani della sinistra (non solo numericamente) alla ricerca di un leader democristiano. E ora si parla dei partiti che uccidono e non di partiti uccisi. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ L'ANNO NERO DELLA DEMOCRAZIA NEL MONDO • da Corriere della Sera del 18 gennaio 2007, pag. 16 di Danilo Taino Anno gramo, il 2006, per la libertà nel mondo. L'avanzamento della democrazia e dei diritti civili, che dopo la caduta dell'Unione Sovietica sembrava una marcia trionfale, è entrato in una fase di «stagnazione», dice nel suo rapporto annuale Freedom House, il centro di studi conservatore americano che dal 1972 traccia la mappa globale dello stato dei diritti dei cittadini. Anzi, l'anno scorso ha visto spuntare tendenze negative in aree del pianeta dove la libertà sembrava aver attecchito con vigore, per esempio in Asia. E, mentre il Medio Oriente e le ex repubbliche sovietiche non hanno fatto alcun passo avanti, dittatori e regimi autoritari hanno dato il via a una forte reazione contro organizzazioni non governative e giornalisti. L'Agenda per la Libertà, uno dei pilastri della politica estera di George Bush, è in panne. Nel complesso, tra chi è migliorato e chi è peggiorato, il numero di Paesi che godono di libertà e quello dei Paesi che non sono liberi o solo in parte tali è cambiato di poco, rispetto al 2005: in 90 Stati le cose vanno bene (46% della popolazione mondiale), in 58 maluccio (23%) e in 45 non c'è proprio alcuna libertà (30%). Tre piccoli Paesi sono stati promossi (Nepal, Haiti, Guyana) ma due decisamente rilevanti (Tailandia e Congo-Brazzaville) sono precipitati. In anni recenti, Freedom House aveva compilato rapporti piuttosto ottimisti ed aveva sostenuto la politica della Casa Bianca, cioè l'obiettivo di espandere libertà e democrazia nel mondo anche attraverso un forte interventismo. Il bilancio 2006 ha raffreddato gli entusiasmi. In Medio Oriente, la situazione è quella che tutti conoscono e, se qualche cambiamento c'è stato è in peggio, come in Libano, dove Freedom House sotto-linea l'attività perversa di Hezbollah e l'influenza deleteria di Siria e Iran su quella che era stata chiamata rivoluzione dei cedri e aveva sollevato speranza per tutta la regione. Sullo scacchiere russo, nessuna festa, anzi. A Mosca, l'autoritarismo di Vladimir Putin è sempre più evidente nei con-fronti dei movimenti di opinione indipendenti e della stampa. E nelle repubbliche dell'ex impero le cose vanno piuttosto male: in Ucraina la rivoluzione arancione ha avuto una forte battuta d'arresto e, dice il think tank americano, Bielorussia, Turkmenistan e Uzbekistan sono tra gli Stati con la peggiore performance in fatto di diritti umani e libertà democrati-che. Il trend più nuovo e preoccupante, però, è germogliato in Asia. Con lo sviluppo peggiore in Thailandia, dove è ormai chiaro che il colpo di Stato dello scorso autunno non è affatto leggero e transitorio, come era sembrato quando cittadini e turisti si facevano fotografare davanti ai carri armati putschisti: in pochi mesi, il nuovo regime dei militari si è dimostrato dilettantesco in molti campi (gli investitori esteri sono nel panico per una serie di misure restrittive delle libertà economiche), autoritario con i mezzi d'informazione e incapace di garantire l'ordine (per Capodan-no una serie di bombe ha provocato tre morti a Bangkok). Ma la Thailan-dia non è sola, in Asia, ad avere invertito la rotta. Nello Sri Lanka, l'attività rivoluzionaria delle Tigri del Tamil ha portato alla soppressione di una serie di spazi democratici e alla continua intimidazione dei media. In Bangladesh, la situazione non è ancora precipitata fino in fondo, ma le elezioni sono state rinviate e l'uso del coprifuoco sta diventando un'arma di lotta politica. Il rapporto di Freedom House, poi, ricorda il cólpo di stato nelle Isole Fiji, le violenze scoppiate l'anno scorso a Timor Est e il declino delle libertà nelle Filippine, in Malaysia, nel terribile Myanmar (Birmania) e persino nelle Isole Salomone. L'Asia, in questa fase, è la regione del mondo che, sulla base della sua straordinaria crescita economica, sta diventando via via più assertiva: una sua retro-marcia in fatto di libertà e democrazia rischia di spingere le relazioni internazionali in un caos serio. Allarme appropriato, quello di Freedom House, anche perché in Cina le cose, nel 2006, sono andate male: repressione della stampa e di Intemet, controllo stretto sulle religioni, iniziative dello Stato contro i militanti per i diritti civili e i loro avvocati. Anche se, aggiunge il rapporto americano, lo sviluppo dell'economia di mer-cato fa sperare che prima o poi anche le libertà prendano piede nell'impero di mezzo. C'è un serio pericolo — conclude Freedom House — che l'espansione delle libertà rimanga stagnante nei prossimi anni, o addirittura faccia passi indietro. Problema aperto davanti a Bush e alla sua Agenda per la Libertà. Ma non solo davanti al presidente americano: non c'è niente da ridere se i dittatori mostrano i muscoli. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ torna in alto |