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Per la Scuola troppo poco
info10novembre2006

INFO SOCIALISTA 10 novembre 2006
a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l’azione nazionale dei
socialisti e del centro sinistra
n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 – fax 0461-944880
Trento/Bolzano
www.socialistitrentini.it - www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno 3°


SOMMARIO:

 Un Libro, per cominciare: Amoreno Martellini, FIORI NEI CANNONI
 GLI ERRORI DEL PRESIDENTE, IL VERDETTO DEGLI AMERICANI
 IRAQ: IL TIRANNO E GLI EUROPEI
 ISRAELE: QUEGLI «ERRORI» FIGLI DELL'ODIO
 DRAGHI: ISTRUZIONE RIDUCE PRECARIETÀ PROFESSIONALE
 PER LA SCUOLA TROPPO POCO
 PAGARE LE TASSE DEVE CONVENIRE
 LA ROSA NEL PUGNO CHE SFIORISCE
 ELEZIONI IN MOLISE, BENE LO SDI

 È SCOMPARSA ALMA CAPPIELLO



UN LIBRO, per cominciare (“Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro” Jorge L. Borges)

Autore: Amoreno Martellini
Titolo: Fiori nei cannoni
- Donzelli, 226 pagine, 25,50 euro

Una minuziosa storia del pacifismo e della nonviolenza nell'Italia del novecento, che si sofferma soprattutto sugli anni sessanta e settanta. Martellini si destreggia con competenza in una galassia di gruppuscoli e movimenti, e s'imbatte anche in personalità imponenti come Aldo Capitini e don Mi-lani. Ma soprattutto, l'autore si dedica ad analizzare il modo in cui la società italiana ha accolto que-sta cultura tanto minoritaria quanto simbolicamente importante in alcuni snodi storici cruciali.


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GLI ERRORI DEL PRESIDENTE, IL VERDETTO DEGLI AMERICANI

• da Il Messaggero del 9 novembre 2006, pag. 1

di Giovanni Sabbatucci

In un sistema presidenziale puro qual è quello statunitense il Presidente della Repubblica e capo dell’esecutivo non trae il suo potere e la sua autorità dal sostegno del Parlamento: anche quando ha contro la maggioranza del Congresso, cosa che si verifica con una certa frequenza, il Presidente re-sta in sella, sia pure in una posizione più scomoda. Come spiegare allora l’interesse inusitato con cui il mondo intero ha seguito le elezioni legislative di mezzo termine che si sono appena svolte ne-gli Stati Uniti? E come dar conto di una così clamorosa e immediata ricaduta sull’esecutivo quale è quella costituita dalle dimissioni, proprio a seguito del risultato elettorale, del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld? La risposta è semplice. Per quanto influenzate, come sempre avviene negli Usa, da un’infinità di fattori, locali e nazionali, che poco hanno a che vedere con i destini del mondo (non dimentichiamo che Bush senior fu sconfitto nel ’92 sulle tasse, dopo aver vinto niente meno che la guerra fredda, oltre che la prima guerra del Golfo), queste consultazioni sono state vissute come un verdetto anticipato sui due mandati alla Casa Bianca di George Bush junior: in particolare sulle sue scelte di politica estera culminate, quattro anni fa, nell’intervento militare in Iraq. E il ver-detto è stato inequivocabilmente negativo.

I dati parlano chiaro. I democratici hanno riconquistato, con margine abbastanza netto, la maggio-ranza della Camera, che avevano perso nel ’94, durante il primo mandato di Clinton, e hanno buone possibilità di spuntarla di misura anche al Senato (cui la Costituzione riserva ampie competenze in materia di politica estera). Non è tutto: nelle legislative come nella scelta dei governatori di alcuni Stati importanti, le colombe, dell’uno e dell’altro partito, prevalgono sui falchi; emergono gli espo-nenti delle minoranze (etniche e religiose); molte le donne, fra cui una cattolica italoamericana (Nancy Pelosi) che sarà la prossima speaker della Camera. Insomma i valori di fondo a cui Bush ha ispirato la sua presidenza, soprattutto dopo il trauma dell’11 settembre 2001, col consenso maggio-ritario del suo Paese (i valori dell’America profonda, bianca e protestante, coniugati in un inedito cocktail con l’interventismo democratico planetario), sembrano oggi in declino, oscurati dagli esiti deludenti del conflitto in Iraq e dalla stanchezza di un’opinione pubblica poco desiderosa di ulteriori avventure. Le dimissioni dell’uomo che più di ogni altro ha incarnato le strategie politiche e militari degli Usa in Medio Oriente indicano senza ombra di dubbio che una fase si è conclusa.

E’ senz’altro prematuro parlare di una sindrome vietnamita: quella che indusse Johnson a non ripre-sentarsi alle presidenziali del 1968 e il suo successore Nixon ad avviare qualche anno dopo lo sgan-ciamento dal Sud-Est asiatico. Ma appare evidente che, se Bush (non rieleggibile) vorrà assicurare qualche chance di vittoria al suo partito per le presidenziali del 2008, dovrà assecondare il moto di riflusso dell’elettorato, rinunciando a qualsiasi ipotesi di allargamento del conflitto. Dovrà spostare al centro la barra del timone e recuperare almeno in parte l’approccio realpolitico lasciatogli in ere-dità da Bush senior e dalla cerchia dei suoi collaboratori: uno dei quali, per inciso, è l’ex segretario di stato James Baker, oggi impegnato nell’elaborazione di un piano volto a correggere e riqualifica-re le forme della presenza americana in Iraq.

La riconversione sarà, per forza di cose, prudente, non essendo prevedibile e neppure auspicabile un ritiro secco e immediato dalla palude irachena. E non c’è da farsi illusioni sulla possibilità di una generale schiarita nell’area del Medio Oriente, dove agiscono forze non riconducibili a una qualsiasi logica politico-diplomatica (per intenderci: è difficile che il terrorismo fondamentalista sia disposto a fare sconti a un’amministrazione americana più riflessiva dell’attuale o che Ahmadinejad sacrifi-chi il suo programma nucleare in un omaggio alla distensione con gli Usa). C’è solo da augurarsi che la nuova fase della politica internazionale apertasi con le elezioni di mezzo termine e con le simboliche dimissioni di Rumsfeld – ma in parte già anticipata dalle recenti aperture “multilaterali-ste” di Condoleeza Rice – segni il ritorno a una più stretta collaborazione fra la prima potenza mon-diale e i suoi antichi alleati. E veda soprattutto consolidarsi la ripresa di iniziativa di un’Europa non più divisa fra supporter entusiasti e subdoli avversari della presidenza Usa.

ELEZIONI USA, BUSH PERDE LA MAGGIORANZA PARLAMENTARE
Intini, il nuovo congresso sarà un punto di riferimento per l'Italia

"Congresso americano sarà un ulteriore e utile punto di riferimento per l'Italia". Così il vice ministro degli Esteri Ugo Intini, della Rosa nel Pugno, ha commentato il risultato delle elezioni americane che vede i repubblicani perdere la maggioranza alla Camera dei rappresentanti mentre quella del Senato è appesa a un seggio.
"Il nuovo congresso - ha continuato Intini - riflette le stesse preoccupazioni (in particolare su l'Iraq) che da tempo hanno manifestato la sinistra e il governo italiano. Sarà naturale quindi trovare in esso un valido interlocutore per quanti vogliono portare avanti nel Medioriente una politica che volti pa-gina e punti a un accordo globale di pace, tale da risolvere con tutti gli attori sulla scena regionale le tante crisi ormai interconnesse: da quella irachena a quella palestinese, che si è aggravata in modo sempre più allarmante".

IL TIRANNO E GLI EUROPEI

• da Corriere della Sera del 8 novembre 2006, pag. 1
di Piero Ostellino

Giovanni Sartori ha messo il dito nella piaga: «Tutta questa agitazione dell'Europa contro la pena di morte a Saddam la trovo un po' ridicola, o comunque poco seria (...) L'Europa - ha dichiarato ieri al Corriere - non è mai unita su niente e lo diventa per salvare quel macellaio. Un modo per far bella figura a buon mercato e dire: ecco, i soliti barbari americani (...) Se l'ordinamento giuridico prevede la pena capitale, e quello iracheno, come in pressoché tutti i Paesi islamici, lo prevede, non capisco perché non giustiziare Saddam». Contrari come siamo alla pena di morte, queste espressioni che fa-ranno scandalo presso qualche «anima bella» ci appaiono tutt’altro che prive di fondamento.
A me pare che Sartori si sia chiesto che vantaggio ci sia se non quello di «far bella figura a buon mercato» nell'investire di rilevanza morale le leggi di un Paese tanto culturalmente lontano da noi, mentre si possono comprendere molto più facilmente con argomenti empirici. Il suo ragionamento non è, infatti, un giudizio di valore sulla nosra idea della pena di morte che ai più fa giustamente or-rore, anche se è stato uno di noi, San Tommaso, a dire «chi uccide il tiranno è lodato e merita un premio» ma é un «giudizio di fatto» sull'idea che ne hanno loro. Senza cadere nel relativismo cultu-rale ed etico peraltro apprezzato da chi, ricorda Sartori, ci ripete che dobbiamo rispettare l'Islam e poi si erge a difesa del diritto del tiranno con argomenti della nostra civiltà discutibile è, allora, l'e-sprit de système dei nostri neo-illuministi che - parafrasando lo storico - «vorrebbero ricostruire Ba-gdad secondo le norme del Colonnato di San Pietro». Sostenere che il tribunale iracheno avrebbe dovuto applicare le garanzie dei nostri ordinamenti è assurdo quanto direbbe il teorico politico «cer-care di coltivare la canna da zucchero in Siberia».
Ma Sartori. con la sua «scandalosa» sortita, non mi pare si sia limitato a distinguere fra i (nostri) va-lori e i fatti (loro), bensì, in punto di filosofia del diritto, fra legalità e legittimità come le intendia-mo noi e come le intendono loro. Nella nostra cultura giuridica, il principio di legalità impone al giudice di attenersi alla lettera della legge, evitando di fare riferimento alla morale e alla religione: a sua volta, il principio di legittimità pretende che la legge sia fondata sul rispetto dei valori della de-mocrazia liberale e sulle garanzie dello Stato di diritto. Nella cultura giuridica islamica, al contrario, il principio di legalità coincide con quello di legittimità solo se ha a proprio fondamento la morale religiosa (che non è propriamente lo Stato di diritto). Si tratta di due piani differenti - quello occi-dentale, giuridico, che spiega il rifiuto etico-politico della pena capitale: quello islamico, morale, che la giustifica giuridicamente - da cui valutare il processo, ma che fanno tutta la differenza fra la nostra e la loro civilizzazione. Ma, allora, perché sollevarla per Saddam e non quando una donna è lapidata per adulterio in un Paese musulmano?

A Bagdad si è celebrato da parte di un tribunale iracheno una sorta di «processo di Norimberga» se-condo il rito islamico. Ma quegli stessi che plaudono alle condanne dei criminali nazisti lo stanno trasformando in un processo agli Stati Uniti (che non erano sui banchi dell'accusa). Perché? Perché li ritengono «colpevoli» di aver abbattuto il tiranno? Se è questo che pensano, lo dicano, allora as-sumendosene la responsabilità morale e politica.

QUEGLI «ERRORI» FIGLI DELL'ODIO

• da Il Sole 24 Ore del 9 novembre 2006, pag. 7

di Ugo Tramballi

Israele è una democrazia, l'unica nella sua regione. Israele ha il diritto di difendersi. Affermazioni così evidenti da essere quasi due constatazioni: il problema è renderle consequenziali. Perché un Paese mette in pericolo la sua stessa democrazia se per difendersi supera quel limite di civiltà, arbi-trario e quasi invisibile in un conflitto: ma che esiste sempre.



Creando Guantanamo e Abu Graib, gli Stati Uniti erano scesi nell'arena del nemico, compromet-tendo i valori fondamentali del loro sistema. Valori che erano anche le armi migliori. Il risultato principale, oltre alla mancata vittoria, sono stati la delusione, la sfiducia, l'odio dell'opinione pubbli-ca mondiale. Anche Israele ora ha la stessa presunzione e rischia gli stessi risultati. La guerra è guerra e si combatte con armi brutali. Ma se a Gaza gli israeliani hanno ucciso 2.300 palestinesi negli ultimi sei anni, 300 negli ultimi quattro mesi, oltre 50 da venerdì scorso quando è cominciata su Beit Hanoun l'operazione «Nuvole d'autunno»; se in paragone la capacità del nemico di mettere a rischio l'esistenza d'Israele e d'infliggere perdite è risibile, l'uso della forza è spropositato e inac-cettabile.

A Beit Hanoun le cose non sono successe per l'errore tecnico di un cannoniere. L'incidente di ieri, quelli che si ripetono quasi ogni giorno a Gaza, il bombardamento di quest'estate a Cana in Liba-no, non segnalano una diminuzione di qualità delle Forze Armate d'Israele ma un aumento di odio. Nel lungo conflitto tra israeliani e palestinesi mai l'odio tra le due comunità e i due nemici era stato tanto banalizzato. Una volta i piloti israeliani non sparavano, gli agenti dei servizi segreti non ese-guivano la missione, se per colpire l'obiettivo rischiavano di uccidere dei civili. Oggi sì, sempre più regolarmente. E ogni volta, oltre ad esseri umani in carne ed ossa, sempre più spesso donne e bambini, tra le vittime ci sono anche le opportunità di pace. Uccidendo centinaia d'innocenti, que-st'estate Israele aveva costretto tutto il Libano a schierarsi con Hezbollah. Ora spinge i palestinesi a stare con Hamas e i jihadisti. Forse non esistono interlocutori di pace in Palestina, ma certamente sono anni che Israele non ne cerca.

Venerdì scorso, anniversario della morte di Yitzhak Rabin, nella piazza di Tel Aviv che ricorda il premier ucciso David Grossman aveva ricordato ai suoi connazionali che Israele sta lentamente distruggendo quel miracolo che rappresentava. Che il sogno sionista si sta stemperando in una quo-tidianità di violenza senza più alternative. Perché questo distingue un Paese democratico da uno che non lo è: la forza militare è solo un mezzo a tempo determinato, non il fine.

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DRAGHI: ISTRUZIONE RIDUCE PRECARIETÀ PROFESSIONALE

• da La Stampa.it del 9 novembre 2006

L'istruzione è il miglior antidoto contro i rischi della precarietà professionale. Lo ha sottolineato il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, nel corso di una lezione all'Università La Sapienza.

«Possedere un elevato livello di istruzione - ha spiegato - costituisce il miglior strumento per ridurre i rischi insiti in percorsi di carriera frammentari e quelli connessi con la perdita dell'occupazione, oggi più elevati che in passato a causa del crescente ricorso a rapporti di lavoro a tempo determina-to. All'aumentare della qualificazione professionale cresce infatti l'incentivo per l'impresa ad inve-stire in rapporti stabili e duraturi, diventa maggiore la possibilità per il lavoratore di ritrovare pronta collocazione nel caso di rapporti di lavoro insoddisfacenti o di eventi sfavorevoli che coinvolgano il posto di lavoro».

«Il deficit dell'istruzione resta preoccupante per il ritardo con cui si è dato avvio in Italia alla scola-rizzazione di massa e per le più sfavorevoli dinamiche demografiche». Lo ha affermato il governa-tore della Banca d'Italia, Mario Draghi, in una lezione tenuta alla facoltà di Economia della Sapien-za.

«Nonostante i significativi progressi conseguiti nell'innalzare il livello di istruzione dei più giovani, nel 2005 la quota di diplomati nella fascia di età tra i 25 e i 64 anni - ha aggiunto - era solo del 37,5%, un valore inferiore di quasi otto punti alla media dei paesi del'Ocse».


PER LA SCUOLA TROPPO POCO

“Maggiori risorse per la scuola pubblica, per la formazione e per la ricerca, nel rispetto di quanto scritto nel programma elettorale dell’Unione, sono indispensabili per la crescita del nostro Paese e la conquista di maggiore competitività”. É quanto afferma Giacomo Mancini nel corso del question time a Montecitorio con il vicepresidente del consiglio Francesco Rutelli, lamentando che fino ad ora è stato fatto ben poco “come dimostrano le aspre critiche che provengono anche da settori che sostengono la maggioranza che non hanno condiviso le disposizioni previste in finanziaria”.
A questo proposito il deputato socialista ha ricordato che la Rosa nel Pugno, oltre a opporsi ferma-mente ai tagli al settore, ha presentato un emendamento che prevede di stanziare un miliardo di euro in più da destinare alla ricerca e alla formazione. “Solo investendo in maniera più coraggiosa – ha concluso Mancini – si garantirà un futuro più prospero al Paese e alle nuove generazioni”.


NON BASTA INVOCARE LE REGOLE
PAGARE LE TASSE DEVE CONVENIRE

• da Il Riformista del 8 novembre 2006, pag. 2

di Claudio Lodici

In una strada di Roma, in occasione del Giubileo del 2000, il Comune ha ristrutturato l'accesso al Vaticano con un sottopasso abbellito da una striscia di prato ai lati della carreggiata. Dopo pochi mesi l'arredo urbano si è deteriorato. Il proprietario del bar con tavolini esterni sul marciapiede si è premurato di riordinare l'aiuola con fiori e piante per arricchire il proprio spazio, lasciando ovvia-mente al degrado la parte di prato più lontana dal suo locale.

A fronte di una spesa pubblica iniziale, dunque, abbiamo un bene finanziato dalla collettività ormai parzialmente deteriorato e un'altra parte preservata con l'intervento volontario di un privato che an-nette importanza economica al bene pubblico. Tutti i contribuenti hanno pagato la spesa iniziale e si ritrovano un bene deteriorato; il singolo ha dovuto impegnare risorse proprie aggiuntive rispetto al dovuto (nell'ipotesi che abbia versato tutte le tasse, erariali e comunali ). Una trappola che scontenta tutti. L'aiuola che porta al Vaticano deve essere tenuta in ordine, poiché lo impone la sua colloca-zione in una zona ad altissimo utilizzo a fini di accoglienza turistica. Uscendo dall'esempio, vanno pregiudizialmente individuati i beni pubblici e i servizi che strategicamente rispondono all'interesse economico generale. Successivamente occorre richiamare l'attenzione della comunità sul fatto che l'interesse strategico è costituito da una ricchezza che non tocca solo i singoli interessati (il bar del nostro esempio) ma l'economia nel suo complesso. E soprattutto non è più immaginabile la facile e reiterata invocazione ai compiti della mano pubblica (tenere pulita la città, sicurezza, ordine pubbli-co, rispetto del regole) ma occorre impegnare l'intera società civile al conseguimento dell'obiettivo. In tale contesto, l'obbligazione fiscale e determinante ma non può essere invocata a senso unico. Occorre riscrivere i termini del contratto sociale.

In che termini può contribuire il Partito democratico?

Una nuova formazione politica deve scegliere opzioni innovative e spiazzanti anche rispetto a temi vecchi e desueti come il rapporto fisco contribuenti, il dovere fiscale e il livello della pressione tri-butaria complessiva. E una strada innovativa è quella di rendere conveniente, in una pura logica di mercato, il pagamento delle tasse. Per superare la “categoria" del dovere fiscale - tutti sono chiamati a contribuire alla spesa per abbellire l'aiuola dell'esempio precedente - è necessario rendere conve-niente al gestore del bar il pagamento delle imposte. Lo strumento da adottare è mutuato dal mondo delle imprese, in particolare dai meccanismi di certificazione dei processi produttivi: le aziende se-rie sopportano costi economici e organizzativi notevoli per avere una certificazione di qualità da or-ganismi indipendenti, che migliorano sensibilmente il marketing e la capacità di proporsi sul merca-to di riferimento.

Ebbene, l'idea è quella di un certificato di qualità dell'agenzia delle entrate di assolvimento integrale dell'obbligazione tributaria. Ogni cittadino potrà scegliere se premiare lo sforzo dell'esercente e del-l'artigiano di contribuire alle spese collettive, scegliendo di acquistare il bene e il servizio dall'im-presa virtuosa. Se si innesca un meccanismo premiale, con una logica di mercato che esula dal rap-porto fisco contribuente - presupposto a monte come corretto sarà il mercato a garantire l'incremen-to di reddito che giustifica ogni attività economica Si supererebbe anche l'argomento molte volte invocato dai difensori dell'evasione, e cioè che l'impresa marginale utilizza le tasse non versate per sopravvivere.

Se sei un imprenditore bravo, se lavori con efficienza e in questo concetto rientra integralmente an-che il costo delle imposte sarà il mercato a premiarti. L'impresa deve uscire dalla logica per cui la linea della redditività si tira prima delle tasse (tanto ci si ingegnerà per non pagarle), sapendo che potrebbe esserci un ritorno (o un costo) economico importante da tale scelta.

Solo le imprese in possesso del certificato (valido per un biennio) potrebbero accedere agli incentivi e alle agevolazioni pubbliche, potrebbero ricevere subito i crediti di imposta e potrebbero avere uno sconto sugli interessi bancari. Una serie di incentivi, insomma, per premiare le imprese più respon-sabili socialmente. E’ il discorso che si fa con i marchi di qualità enogastronomici e che andrebbe fatto anche per le aziende che rispettano l'ambiente e i diritti dei lavoratori.
Una logica premiale di questo tipo già esiste nell'ordinamento. Teniamo conto che l'Irap è un tributo imposta darwiniano. Le imprese che investono in tecnologia e riducono il peso del fattore lavoro e che non ricorrono al prestito bancario, pagano un'imposta meno pesante, poiché abbattono l'imponi-bile Irap, nel quale rientrano sia il costo del lavoro che gli interessi pagati alle banche.



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LA ROSA NEL PUGNO CHE SFIORISCE

BOSELLI: I RADICALI MANDANO LA RNP IN UN VICOLO CIECO
"Non è stata data alcuna risposta alle nostre proposte - dice il segretario dello Sdi, Enrico Boselli - per dare insieme un futuro alla Rosa nel Pugno, né sulla proprietà comune del simbolo, né sulla par-tecipazione alle elezioni amministrative del prossimo anno e tanto meno sulla costruzione di un par-tito federato che, come abbiamo proposto fin da luglio, sia affidato democraticamente sulle questio-ni più importanti a decisioni delle nostre elettrici e dei nostri elettori".

SE QUEL SIMBOLO È IN AFFITTO
Intervista a Roberto Villetti.

• da La Voce Repubblicana del 8 novembre 2006, pag. 2

di Lanfranco Palazzolo

Dal congresso dei Radicali italiani è uscita una Rosa nel pugno cacciata nell'angolo. Lo pensa il ca-pogruppo della Rnp alla Camera dei deputati Roberto Villetti. Ecco cosa ha detto alla "Voce" a pro-posito dei Radicali, accusandoli di aver trasformato il gruppo parlamentare in un gruppo misto.

Dopo il congresso dei Radicali italiani qusì è lo stato della Rosa nel pugno?
"Sono intervenuto al congresso e ho ripercorso l'itinerario che ha portato alla Rosa nel pugno. Al-l'indomani della sconfitta sul referendum sulla procreazione assistita e sulla libertà di ricerca, andai all'assemblea dei Mille denunciando l'inversione di tendenza di un Parlamento che oggi non vota più leggi laiche, mentre le forze oscurantiste lanciavano il loro attacco alle libertà di scelta sulla vi-ta. Questa battaglia andava combattuta in Parlamento e questo dovevano farlo i radicali e i sociali-sti. Così nacque quell'esperienza".
Quali sono i problemi di oggi che pensate di affrontare insieme?
"Il simbolo. Non ritengo giusto che la 'Rosa nel pugno' sia di proprietà di qualcuno e che gli altri l'abbiano in affitto. Inoltre, abbiamo posto il problema delle consultazioni elettorali perché un parti-to che è rappresentato nelle principali assemblee elettive non può non partecipare al voto delle ele-zioni comunali. I comuni sono gli enti più popolari. Un partito non può essere gestito dal vertice. Ci deve essere una grande partecipazione. E noi abbiamo proposto un modello di partito che chiama elettori ed elettrici ad esprimersi tramite un referendum, assicurando che nel nuovo soggetto non ci sia la prevalenza nè degli uni. nè degli altri. Abbiamo cercato di sviluppare un progetto… Dal con-gresso radicale non c'è stata alcuna risposta".
Però, l'impressione è che, mentre Pannella ha mantenuto la fiducia nel progetto, voi l'abbiate persa dopo il voto delle elezioni politiche.
"Non condivido questa interpretazione. Dopo la fine del ciclo elettorale ci siamo trovati in una si-tuazione in cui il gruppo parlamentare è stato rimesso in discussione. Il gruppo parlamentare della Rnp si è trasformato in un gruppo misto. Abbiamo cercato di rilanciare il progetto di una forza fede-rata".
Lei dice di proporre un nuovo modello per la Rnp. Ma con quale tipo di analisi lo fa se al congresso dei Radicali Italiani non sapeva nemmeno che quelle erano Assise di iscritti e non di delegati?
"Quello è stato un mio errore. L'unico congresso a cui partecipano gli iscritti è quello dei Radicali Italiani. Sono stato a tantissimi congressi e quindi diventa naturale che quando uno va al congresso pensi ai delegati e non agli iscritti. Lo Sdi ha 70mila iscritti, per contarli ci vorrebbe uno stadio".
La vostra situazione è quella di separati in casa?
"Direi quello che ha detto Boselli. I radicali hanno trovato il rilancio da questo congresso. Però, nel-lo stesso tempo la Rosa nel pugno è stata cacciata in un angolo".


BOSELLI: SÌ ALLA SEGRETERIA, MA I RADICALI HANNO MESSO LA ROSA IN UN AN-GOLO

“Non ho nulla in contrario a che si riunisca la segreteria della Rosa nel pugno”. Enrico Boselli chia-risce la posizione dello Sdi dopo la lettera aperta di Marco Pannella che ha chiesto una immediata riunione della dirigenza della Rosa per discutere del futuro del progetto. “Se si vuole fare la segrete-ria, nessun problema - spiega il leader dello Sdi -. I problemi sono sotto gli occhi di tutti, sono chia-ri. Come si è chiuso il congresso dei Radicali si è visto. Quel congresso ha messo la Rosa nel pugno in un angolo”.


BUEMI, I SOCIALISTI SONO STATI UTILI AI RADICALI

''Guardiamo ad esempio i fischi a Villetti: ormai c'è uno scadimento anche a livello di rapporti per-sonali... Una volta che i socialisti sono stati 'utili' per rientrare in Parlamento e avere visibilità Pan-nella e i suoi sodali hanno deciso di riprendere l'iniziativa politica radicale con proposte autonome o imposte senza una preventiva discussione''. Lo dice il parlamentare socialista Enrico Buemi inter-pellato sulla tensione interna alla Rnp. ''Il congresso di Padova - osserva ancora Buemi - ha sancito la volontà di Pannella di non aprire a nessuna delle nostre richieste su amministrative, simbolo e partito federato''. A proposito del simbolo, tra l'altro, Buemi osserva che ''se l'accordo politico viene meno allora loro non potranno usarlo per convegni o altro''.


TURCI: O PRESENZA ALLE AMMINISTRATIVE O MORTE DEL PROGETTO

“Le prossime elezioni amministrative costituiscono l’appuntamento decisivo per il futuro della Rosa nel Pugno: o questa saprà manifestarsi concretamente in tale occasione, e su questioni nazionali come la riduzione del costo e della opacità della politica, lo sviluppo di una autentica democrazia civica e altre importanti tematiche territoriali più volte citate, o, in caso contrario, sarà arrivata alla morte per esaurimento”. Così, Lanfranco Turci, vicepresidente della Rosa nel Pugno alla Camera in una lettera inviata ai membri della segreteria della RnP a proposito dell’appello lanciato da Marco Pannella e delle indiscrezioni sul futuro della Rosa uscite sulla stampa.
“E’ preciso dovere del gruppo dirigente della Rosa nel Pugno – afferma Turci - adoperarsi affinché il suo simbolo sia presente, in rappresentanza di un preciso disegno politico-amministrativo, nel maggior numero di Comuni e Province, naturalmente sulla base della disponibilità dei compagni della periferia a farsi carico del nostro progetto. Sono del tutto evidenti le condizioni e i passaggi per arrivare a questo risultato: l’elaborazione da parte di un gruppo di compagni a ciò preposti di un programma quadro da integrare e sviluppare nelle varie situazioni locali, la formalizzazione di tali proposte in un convegno nazionale; la verifica/promozione di tale disegno ovunque ciò sia possibi-le.
Su questa linea del resto – prosegue il parlamentare della Rosa nel Pugno - si è manifestata più volte disponibilità di massima, sia da parte radicale che da parte socialista. E’ dunque necessario assolu-tamente uscire dalla prossima segreteria con una indicazione operativa in tal senso, anche perché le scadenze legate alle amministrative di primavera sono ormai stringenti. Continuare su una linea di inazione e di rinvio significherebbe dichiarare la fine del nostro progetto. Nel qual caso è bene che ognuno si assuma le proprie responsabilità, e che la segreteria registri precise posizioni di ogni sog-getto, senza continuare in un dialogo fra sordi ormai stucchevole e per di più insopportabile da parte dell’opinione pubblica.
Anche a nome dell’Associazione per la Rosa nel Pugno, che si è riunita nei giorni scorsi, vi informo che, se usciremo positivamente da questo passaggio, garantendo così la continuità del nostro proget-to, intendiamo proporre alla Rosa nel Pugno – conclude Turci - di lanciare un vero e proprio proces-so costituente rivolto alla vasta area liberale, laica e socialista lasciata senza rappresentanza dalla costruzione del partito democratico”.


ELEZIONI IN MOLISE, BENE LO SDI

Boselli: la sinistra non sottovaluti la sconfitta

“La mezza vittoria del centrodestra non compensa certo la sconfitta del centrosinistra che vale per intero e non va sottovalutata”. Così Enrico Boselli, segretario dello Sdi, commenta l'esito delle re-gionali in Molise.

“La perdita di consensi - aggiunge il parlamentare della Rosa nel Pugno - rispetto alle elezioni poli-tiche è evidente. Non c'era bisogno di aspettare il risultato del Molise per capire le difficoltà del centrosinistra che sta attraversando una fase calante. Del resto, con una finanziaria che chiede pe-santi sacrifici non c'era proprio da farsi illusioni. Non è infatti chiaro, come dovrebbe essere, che stiamo pagando la pesante bolletta di 15 miliardi di euro, tre per ogni anno di governo, ereditata da Berlusconi”.

“Da qui a dire che il risultato del Molise è lo sfondamento del Piave da parte del centrodestra, ce ne corre. Questa regione era infatti già amministrata dal centrodestra. Sono quindi davvero esagerate le grida di giubilo di Berlusconi e del suo coro. La sua coalizione ha recuperato rispetto alla politiche, ma non è riuscita ad eguagliare il risultato delle precedenti regionali, rispetto alle quali ha registrato anzi una secca perdita. In questo quadro - conclude Boselli - esprimo la mia soddisfazione per il ri-sultato dello Sdi che è passato dal 1,1% del 2001 al 3,2% con un risultato che ci riporta a svolgere un importante ruolo politico nella regione”.

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È SCOMPARSA ALMA CAPPIELLO

"Con Alma Cappiello - afferma il segretario dello Sdi, Enrico Boselli - i socialisti ricordano una compagna tenace, intelligente e appassionata che ha dato un contributo rilevante alle battaglie di giustizia, di libertà e di modernizzazione della sinistra nel nostro Paese. Da socialista, da avvocato e da parlamentare è stata sempre in prima linea sulla frontiera dei diritti civili e delle garanzie del cit-tadino. Non possiamo dimenticare che fu proprio lei nel 1987, che ha avuto un ruolo dirigente di notevole rilevanza nel Psi, a presentare la prima proposta di legge per il riconoscimento delle coppie di fatto. Sono trascorsi da allora quasi trent’anni e ancora questa battaglia incontra pesanti ostacoli non solo a destra ma anche nel centrosinistra. Negli ultimi due anni aveva aderito ai Ds. Il modo migliore per ricordare questa nostra compagna - conclude il leader socialista -, sta nel continuare e sviluppare le sue idee".




























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