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Info SOCIALISTA 10 ottobre 2006 a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l’azione nazionale dei socialisti e del centro sinistra n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 – fax 0461-944880 Trento/Bolzano www.socialistitrentini.it - www.socialisti.bz.it Quindicinale - Anno 3° SOMMARIO: • UN LIBRO, per cominciare Zygmunt Bauman L'Europa è un'avventura • DOPO L’ASSASSINIO DELLA GIORNALISTA ANNA POLITKOVSKAYA • IL DIRITTO ALLA BLASFEMIA NEL PAESE DI VOLTAIRE • BOSELLI: SUL FUTURO DELLA ROSA DECIDANO GLI ELETTORI • PARTITO DEMOCRATICO, RESTANO LE CONTRADDIZIONI • IL TRENO È PARTITO, D'ACCORDO, MA DOV'È DIRETTO? • RICORDO DEI COMPAGNI VITO FILIPPI E ARMANDO BERTAMINI • CASO TELECOM, TRA ROMANO PRODI E FRANCO DE BATTAGLIA UN LIBRO, per cominciare (“Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro” Jorge L. Borges) Autore: Zygmunt Bauman Titolo: L'Europa è un'avventura Laterza, 158 pagine, 15,00 euro Più che una civiltà dai confini definiti, l'Europa secondo Bauman è stata ed è una grande avventura, pervasa da una vocazione espansionistica ma anche universalistica. In questa riflessione aperta, che oscilla tra attualità e mitologia, il sociologo polacco ricorda che l'Europa ha "scoperto" tutte le terre del mondo, ma non è stata mai scoperta; ha dominato tutti i continenti, ma nessuno l'ha mai dominata; e oggi, per proseguire la sua avventura incompiuta, deve apprendere l'arte inedita di vivere all'ombra di una potenza maggiore. @@@@@@@@@@@@@@@@ DOPO L’ASSASSINIO DELLA GIORNALISTA ANNA POLITKOVSKAYA Villetti: il governo intervenga su Putin Il capogruppo della Rosa nel Pugno, Roberto Villetti, in un’interrogazione rivolta al governo e al ministro degli esteri, chiede “di esprimere al presidente russo Vladimir Putin il turbamento dell’opinione pubblica italiana per l’assassinio della giornalista Anna Politkovskaya. Si attende - scrive Villetti - che sia fatta chiarezza su questo, che appare incontrovertibilmente come un omicidio politico, che vengano identificati, processati e puniti i responsabili di questo assasinio. Dobbiamo purtroppo rilevare che dal 1992 a oggi ci sono stati ben 42 uccisioni di giornalisti, in molti casi erano impegnati in inchieste scomode per il governo russo, e che fino a oggi le autorità non sono state quasi mai in grado di assicurare i colpevoli alla giustizia. Tutto ciò, unitamente al fatto che Anna Politkovskaya era impegnata in modo particolare sul fronte della denuncia delle atrocità che vengono compiute da anni da appartenenti all’esercito russo ai danni delle popolazioni della Cecenia, induce a temere che anche in questa oscura vicenda, come in quella più recente del giornalista di radio Radicale, Antonio Russo, il crimine possa restare impunito. Se avverrà questo, il governo italiano dovrà necessariamente tenerne conto, porre la questione al più alto livello ogni qualvolta sia possibile farlo e agire concretamente per spingere la Russia a imboccare definitivamente la strada del rispetto dei diritti umani e civili”. IL DIRITTO ALLA BLASFEMIA NEL PAESE DI VOLTAIRE • da La Repubblica del 9 ottobre 2006, pag. 1 di Jean Daniel Un professore di filosofia pubblica un articolo sul “Figaro”, ed à subito minacciato di morte. La scelta di non ricordare per ora il tema del suo articolo e intenzionale, perché innanzitutto, in maniera prioritaria, vanno denunciati gli autori di queste minacce. Viviamo in uno stato di diritto dove la libertà d'espressione è fondamentale, e i suoi limiti sono definiti da leggi alle quali si può fare appello. Qualunque esitazione nel difendere questo principio avrebbe il solo effetto di incitare la setta dei violenti ad accrescere le loro pressioni e a tentare di renderle efficaci. Tra noi c'è chi conosce gli effetti delle minacce suscitate da un articolo. Poiché oggi si parla spesso della guerra d'Algeria, ricorderò che allora capitava di essere oggetto di minacce contro i propri familiari e amici. O di avere l’appartamento distrutto da una bomba. Si poteva essere costretti a cambiare indirizzo, o come nel mio caso personale, a cambiare persino clinica, per timore di una visita dell'Oas. Oggi le circostanze non sono le stesse, ma la situazione del professore minacciato è identica a quella che subiva allora un giornalista come me. A questo punto, e soltanto adesso posso dire che l'articolo del professore di filosofia Robert Redeker riguarda l'Islam, e fin dal titolo pone il problema di "come deve agire il mondo libero a fronte delle intimidazioni islamiste". Che fare? Semplicemente, non lasciarsi intimidire. Ricordare che quest'intransigenza laica vale evidentemente per qualunque religione. Riaffermare che nella terra di Voltaire il diritto alla blasfemia è stato conquistato a costo di lotte insigni. Ricordare che in Olanda un regista è stato assassinato per aver "offeso I'Islam”. Trovare abbiette le reazioni iraniane dopo la pubblicazione delle caricature danesi. Rallegrarsi perché il papa Benedetto XVI, avendo espresso a ragione la sua tristezza davanti alle reazioni che ha suscitato, non ha sentito il bisogno di scusarsi. Dopo di che non è vietato anzi, è indispensabile scegliere i mezzi più efficaci per contrapporsi alla violenza islamista. Si può e ci si deve domandare se il modo migliore per arginare l'islamizzazione sia quello di ingiuriare l'islam. Si può e ci si deve chiedere se per indurre i musulmani a scegliere, tra le tante ingiunzioni del Corano, quelle più pacifiche e più in sintonia con i nostri valori, sia utile coprire d'obbrobrio la personalità del Profeta. Si dirà che queste cose si fanno ogni giorno nei confronti del cristianesimo o del giudaismo. Nella mia qualità di autore di una critica radicale dei fondamenti della religione ebraica, mi sento pienamente autorizzato a esigere che l'Islam non sia intoccabile. Ma mentre perseguo un obiettivo, al tempo stesso difendo un principio. Voglio conciliare l'etica della convinzione con quella della responsabilità. E non vedo cosa si possa sperare dalla provocazione deliberata, dall'attacco frontale o dalla messa in discussione generale, così come si manifestano nell'articolo di Robert Redeker. Che fare dunque per resistere lle "intimidazioni islamiste”? Ebbene, per prima cosa non ignorare che in tutto il mondo milioni di musulmani soprattutto dopo la rivoluzione islamica khomeinista si pongono la stessa domanda. Non si ripeterà mai abbastanza che i musulmani sono le prime vittime dell'islamismo fanatico. Popoli fraterni e pacifici, ospitali e attenti, sono costretti a subire le fiammate di una violenza devastante, che oltre tutto non esita a profanare quanto c'è di più sacro nel loro universo. Ed è evidente, una volta ammessa questa verità, che quei milioni di musulmani sono gli alleati naturali delle nostre concezioni della critica e della libertà. Da ciò consegue la necessità, altrettanto evidente, di fare tutto il possibile per aiutare questi alleati naturali nella loro lotta. E così può riuscire ricordando, ad esempio, il percorso di un profeta passato dalla spiritualità mistica a una strategia guerriera. Maxime Rodinson, imprudentemente citato nell'articolo del "Figaro", vede in lui una sintesi tra Gesù e Carlo Magno: "Mohammad era un uomo complesso e contraddittorio. Amava il piacere e si dedicava all'ascesi. Fu spesso compassionevole, ma talvolta crudele. Credente divorato dall'amore e dal timore del suo dio, fu un politico pronto a tutti i compromessi (...) Calmo e nervoso, pieno di coraggio e di paure, di duplicità e di franchezza, dimentico delle offese e atrocemente vendicativo, orgoglioso e modesto, casto e voluttuoso (...) aveva in se una forza che con l'aiuto delle circostanze doveva fare di lui uno degli uomini che hanno rivoluzionato il mondo”. La valutazione dei comandamenti dell'Islam pone un problema a tutti i musulmani, che lo sanno fin troppo bene. Le reazioni suscitate dalla libertà dei commenti, quando vengono dall'Occidente, non sono nulla al confronto di quanto accade tra musulmani, nel mondo arabo e islamico. Che peso possono avere i volti delle donne liberate dal velo, o le piscine aperte a un pubblico misto, quando la sacralità del primo giorno del Ramadan è offesa da gruppi di musulmani, con gli attentati suicidi che in Iraq hanno provocato la morte di 35 sciiti, mentre si profanavano due moschee? Gli scontri tra musulmani hanno fatto centinaia di migliaia morti durante la guerra tra Iran e Iraq, la guerra civile in Algeria, in Afghanistan e in Pakistan, senza che una sola voce si fosse levata per invocare la pace. Per dire ai musulmani le loro verità si dovrebbe sottolineare innanzitutto quanto si mostrano più sensibili alle aggressioni provenienti dagli occidentali che alle atrocità commesse quando si scontrano gli uni con gli altri. Ho parlato “dei musulmani”, ma a torto, dato che sono innumerevoli, diversi, divisi e contraddittori. Proprio gli intellettuali musulmani e questo va detto sono stati i primi ad incitarci a non cedere ai settari e ai fanatici, deplorando che a loro non si dia la parola, mentre dagli schermi della Tv sono spesso i più fanatici ad esprimersi, sotto la maschera di un atteggiamento aperto e conciliante. Questi intellettuali ritengono semplicemente che non si facilita il loro compito se da un lato si ha la codardia di cancellare dal programma un'opera di Mozart, com'è accaduto a Berlino, e dall'altro l'irresponsabilità di privilegiare allo scambio delle idee l'espressione dell'odio, in un'epoca in cui bisogna “convivere con l'Islam,'. Non lasciamo che Tariq Ramadan dia lezioni a Robert Redeker, un collega al quale esprimiamo ancora una volta la nostra piena solidarietà. BOSELLI: SUL FUTURO DELLA ROSA DECIDANO GLI ELETTORI 7 ottobre 2006 Nell'empasse tra radicali e socialisti sul futuro assetto della Rosa nel Pugno, il segretario dello Sdi, Enrico Boselli, fa una proposta dalla tribuna della due giorni organizzata a Montecatini dall'associazione per la Rosa nel Pugno, nata nel luglio scorso per iniziativa di Lanfranco Turci e Salvatore Buglio, per passare la parola direttamente a coloro che nelle ultime elezioni politiche hanno dato il loro voto al nuovo simbolo. Boselli, dopo aver sottolineato che “non è in crisi il progetto della Rosa nel Pugno, ma il nostro modo di dialogare, convivere e lavorare” ha ammesso l'empasse dicendo: “Siamo inchiodati uno di fronte all'altro e non riusciamo a decidere”. Da qui la proposta: “Perchè non chiamiamo in una domenica di novembre, a scegliere quelli che hanno votato; apriamo un seggio in tutti i comuni, due in quelli più grandi, facciamo decidere gli elettori se noi non siamo in grado di decidere Se crediamo nella Rosa nel Pugno - ha aggiunto Boselli - non dobbiamo avere paura”. Per le prossime elezioni amministrative ha proseguito Boselli “c'è una dead line chiara: se si supera, noi presenteremo le liste dello Sdi, e in quel momento il progetto della Rosa nel pugno sarà entrato definitivamente in crisi. O la Rosa nel pugno fa un passo avanti - ha spiegato Boselli - o rischia di evaporare: oggi la Rnp è più o meno il simbolo di una lista elettorale, perché continuano ad esserci i due partiti. Anzi, in questi mesi l'identità di Sdi e Radicali ha nettamente sopraffatto l'identità della Rosa ne pugno”. Secondo il leader socialista "nessuno può immaginare che la Rnp sia a Roma, e che nel resto del Paese ognuno fa ciò che vuole. Non possiamo far finta di non sapere che fra 6 mesi andranno alle urne 12 milioni di italiani, e altri 18 milioni fra un anno e 6 mesi. Se alle elezioni fra 6 mesi ci sarà il simbolo dello Sdi, la Rosa nel pugno.è fallita. C'è una dead line chiara, se si supera noi presenteremo le liste dello Sdi, e in quel momento il progetto della Rnp sarà entrato definitivamente in crisi". Secca la replica di Pannella per il quale il progetto: “Non va messo al voto in nessun modo. Continuiamo, come previsto dagli accordi, con il processo di aggregazione attraverso le idee e gli obiettivi”. “Non va presa questa strada - ha tuonato Pannella - per cercare un palliativo alle debolezze possibile dell'uno e dell'altro; ci siamo detti che, di volta in volta, discuteremo e decideremo se essere presenti - ha detto riferendosi all'appuntamento elettorale amministrativo -: la mia posizione resta quella". “A Marco Pannella che ci accusa di snaturare la Rosa nel Pugno, con estrema franchezza dico che la Rosa nel Pugno non avrebbe dovuto essere la copia del Partito Radicale. I padri nobili da Pannella evocati quando fu lanciato il progetto: Fortuna , Zapatero e Blair sono figli della cultura liberal socialista anche se si sono ritrovati nelle battaglie comuni ai radicali italiani”. Così Enrico Buemi, responsabile Giustizia dello SDI, commenta la chiusura del leader radicale di fronte alle proposte rilanciate da Enrico Boselli all’Assemblea di Montecatini.“All’allarme di Pannella verso i socialisti che li invita a non snaturare la Rosa nel Pugno – prosegue il parlamentare socialista - ,dico che è bene che si sappia e lo sappia in primo luogo Marco Pannella, che è lui che sta snaturando la Rosa nel Pugno, anzi la sta facendo fallire. Molti socialisti, io compreso, hanno creduto fortemente nella Rosa nel Pugno, nel suo progetto originario. Oggi la Rosa nel Pugno nell’intenzione di Pannella ed in questo è fermo, si vuole che diventi un partito radicale più grande, mi dispiace ma non sono e non siamo d’accordo. Sarebbe stato più serio e trasparente – conclude Buemi - lanciare una grande campagna di tesseramento al partito radicale e vedere chi ci stava”. PARTITO DEMOCRATICO, RESTANO LE CONTRADDIZIONI 7 ottobre 2006 “Le contraddizioni si vedono a occhio nudo”. Lo ha detto il segretario dello SDI, Enrico Boselli, riferendosi all'incontro di Orvieto sul partito democratico che ha visto l’assenza della sinistra diessina.“Il tema dei laicità - ha proseguito Boselli - è un problema di fondo, in Europa non c'è nessun partito che faccia riferimento al Pse che non abbia al proprio interno il principio della laicità dello Stato e della politica”. ”Le leggi civili, e lo dobbiamo dire a Rutelli, a Binetti, a tutti i parlamentari cattolici - ha aggiunto Boselli - si fanno per garantire diritti ai cittadini non per difendere una morale religiosa. 'Per noi - ha concluso - tra peccato e reato non c'è alcun rapporto, c'è invece in quelle nazioni fondamentaliste dove le leggi civili vengono fatte sulla base della fede maggioritaria”. Nella due giorni di Orvieto i leader dell'Ulivo - da Prodi a D'Alema, da Fassino e Rutelli passando per Veltroni - hanno ripetuto che il partito democratico esiste già. Ma per il resto i punti di distanza sono ancora molti. a cominciare dal Correntone, grande assente del seminario di Orvieto, fino alla decisione sulla collocazione europea del partito, nel Pse o al di fuori di esso. IL TRENO È PARTITO, D'ACCORDO, MA DOV'È DIRETTO? • da Il Riformista del 9 ottobre 2006, pag. 1 di Paolo Franchi Dunque, per riconoscimento pressoché unanime, da Orvieto il treno democratico è finalmente partito. E, dal momento che la cosa non era affatto scontata, e anzi era impressione diffusa che il convoglio in questione rischiasse di andarsi a cacciare su un binario morto, è giusto non solo prenderne atto, ma predisporsi a seguirne il movimento con l'attenzione vigile e critica che merita. Non come dei tifosi, si capisce, anche perché onestamente non lo siamo e neanche possiamo provare a spacciarci per tali, perché oltretutto non ci crederebbe nessuno. Ma con animo aperto, sì. Non foss'altro perché a questo punto, se il treno che si è messo faticosamente in moto deragliasse, le conseguenze a sinistra sarebbero assai pesanti, anzi, drammatiche, per tutti. Noi compresi, è ovvio. Un giornale è un giornale, non un partito in sedicesimo, non una mosca cocchiera: il discorso, anche questo è (o dovrebbe essere) ovvio, vale pure per un foglio non certo di nicchia, ma di tendenza sì, come il Riformista. Attenzione vigile e critica, dopo Orvieto, significa allora cercare di mettere a fuoco, senza pregiudizi politici o ideologici, i limiti e le contraddizioni che continuano a gravare su un processo che pure è stato ufficialmente aperto, e dal quale né Romano Prodi né la Quercia né la Margherita possono più ritrarsi: nello spirito di chi fa la propria parte, modesta quanto si vuole, perché i limiti vengano, per quanto possibile, superati e le contraddizioni, per quanto possibile, sciolte. È il caso di cominciare da subito. A quanto sembra di capire, il problema della collocazione in Europa del partito nascituro è stato, per il momento, rimandato a data da destinarsi, affidando alla diplomazia ulivista il compito di mettersi in cerca di un compromesso del quale, al momento, fatichiamo a individuare i contorni. Il socialismo sarà pure un cane morto, ma decine di milioni di elettori in Europa (e noi con loro) continuano a non darsene per intesi, e i riformismi e i riformisti europei cambiano eccome, sì, in Gran Bretagna come in Germania come in Spagna, e sempre meno assomigliano alle socialdemocrazie per così dire classiche, ma chissà perché insistono a battere bandiera socialista e socialdemocratica, e a quanto si capisce non intendono ammainarla. E, in Italia, Piero Fassino (e Massimo D'Alema) avrebbero i loro problemini, anche se lo volessero, a spiegare ai Ds (a tutti i Ds, non solo alla sinistra interna in procinto di fare le tende) che non solo hanno da sciogliersi, ma debbono anche evitare di porre ai condomini dell'erigenda casa comune questioni identitarie troppo stringenti. Ma quella dei rapporti con il socialismo europeo, che non è una storia di ieri o dell'altroieri come crede Eugenio Scalfari, non è nemmeno l'unica controversia che Orvieto ci riconsegna intatta. Aperto, apertissimo, è anche il problema di quale partito nuovo si intende effettivamente mettere in campo. Lasciamo volentieri ai politologi la discussione su quanto abbia da essere o non essere leggero, limitandoci ad osservare che di ectoplasmi politici sorti (e dissolti) tra gazebo e banchetti, nonché in rete, la scena è già così affollata da suggerire di pensare a qualcosa di più sanguigno, e pesantuccio. E constatiamo, piuttosto, che nella ridente città d'arte umbra di partiti prossimi venturi se ne sono intravisti due, l'uno, a dire il vero, meno appassionante dell'altro. Il primo è, per intenderci, quello prodiano, in alto il leader (oggi il professore, domani chissà) espresso dal popolo ulivista secondo il sacro principio di una testa un voto, sotto una multiforme umanità che sarebbe poi il popolo ulivista medesimo, per intenderci la gente delle primarie: per quanto il relatore prodiano al seminario Sebastiano Vassallo (che guarda caso insegna a Bologna ed è vicedirettore dell'Istituto Cattaneo) si sia sforzato, in un'intervista alla Stampa, di dimostrare il contrario, partiti così in Europa non ce ne sono, e un motivo magari ci sarà pure. Il secondo modello è quello caro a D'Alema (ma anche, e comprensibilmente, a Franco Marini e ai popolari). Un modello più realistico, certo, perché dei Ds e della Margherita intesi come gruppi dirigenti, apparati, militanti ed elettori il Partito democratico non potrà fare a meno, ma che comunque assomiglia come una goccia d'acqua, comunque lo si infioretti, a una sorta di compromesso storico bonsai (e stavolta sotto il medesimo tetto) tra postdemocristiani e postcomunisti: ma è davvero immaginabile che un partito così possa ambire non solo a un ruolo guida nel centrosinistra, ma a guadagnare credito e consensi tra gli elettori non populisti, non conservatori, non reazionari che continuano a votare per il centrodestra? Si potrebbe continuare a lungo, fermiamoci qui. Il treno è partito, ma la sua destinazione tanto chiara non è. Due valorosi amici e compagni roveretani ci hanno lasciato nell’ultimo periodo. Cosi li ricorda lo SDI di Rovereto UN RICORDO DEL CONSIGLIERE VITO FILIPPI Ricorre in questa settimana il trentesimo giorno della morte di Vito Filippi. I Socialisti di Rovereto e di Borgo Sacco lo ricordano con affetto e riconoscenza per l’opera svolta in una lunga vita dedicata alla famiglia e al lavoro, alla comunità di Borgo Sacco e di Rovereto, oltre che al nostro partito. Vito Filippi infatti è sempre stato impegnato nella attività sociali della zona, è stato presidente del Consorzio irriguo, presidente della Famiglia cooperativa, Consigliere comunale di Rovereto e quindi anche punto di riferimento della popolazione e dei socialisti di Borgo Sacco. Quest’ultimi in particolare lo ricordano per il suo impegno volto a difendere le condizioni di vivibilità ambientale della frazione grazie ad uno sviluppo urbanistico oculato e ad una verifica costante sulle fonti di inquinamento.. Grazie caro Vito, per quello che hai fatto come ammnistratore e cittadino, per la mitezza e generosità del tuo animo, per l’amicizia che ci hai donato. L’ULTIMO SALUTO AD ARMANDO BERTAMINI I Socialisti democratici di Rovereto e del Trentino danno l'estremo affettuoso saluto ad Armando Bertamini, un uomo valoroso che ha sostenuto con coerente onestà la tradizione e le idea socialdemocratiche in Consiglio e Giunta comunale della nostra città. Eletto alla fine degli anno '60 in Consiglio come rappresentante del partito Socialista unificato, rappresentò poi il PSDI per tanti anni come Vicesindaco e assessore alle attività economiche. A livello trentino fu vicesegretario proviciale del Psdi e consigliere d'amministrazione della società Atesina. Gli amici e i compagni lo rimpiangono per le sue qualità politiche e per il tratto umano discreto e - al tempo stesso - apertamente cordiale. Ci uniamo ai tuoi cari per dirti l'ultimo commosso: Ciao Armando. SDI di Rovereto LETTERA CASO TELECOM, TRA ROMANO PRODI E FRANCO DE BATTAGLIA • “Servirebbe il buon funzionamento di un mercato con regole chiare e trasparenti (Socialisti della Rosa nel Pugno); “Il mercato trasparente è una finzione” (F.de Battaglia); “L’interesse pubblico sarà assicurato non dalla proprietà ma da un insieme certo di regole chiare e trasparenti” (R. Prodi) • L’attualità del Socialismo liberale: leggiamo “A future for Socialism” dell’americano John E. Roemer “In questa società il mercato trasparente è una finzione. Un’utopia. Può andare bene per i seminari universitari. Non per la politica”. Così Franco de Battaglia risponde nel suo Diario sul quotidiano Trentino del 2 ottobre alle mie note sul caso Telecom con le quali ribadivo la posizione dei Socialisti secondo cui “servirebbe il buon funzionamento di un mercato con regole chiare e trasparenti” (si veda il Trentino del 28 settembre a pag. 12): un mercato quindi che non faccia pagare al bilancio pubblico i debiti privati con la scusa di un presunto primario interesse generale intravisto solo da posizioni estremiste oltre che dai soliti pescecani interessati “a pubblicizzare le perdite dopo aver privatizzato gli utili”. Va bene che i Socialisti riformisti sono oggi costretti – anche per le irresistibili conseguenze delle loro passate cadute politico-giudiziarie – ai margini della politica, e relegati a fare testimonianza culturale e a leggere qualche libro, cose peraltro molto dignitose. Eppure – a proposito di politica attiva, sopra richiamata da de Battaglia – è stato proprio il leader più eminente dell’attualità politica, il presidente Romano Prodi, a ribadire autorevolmente gli stessi nostri concetti proprio sul caso Telecom. Leggendo la prima pagina del Corriere della Sera del 29 settembre (dunque il giorno successivo della mia letterina ospitata dal Trentino appunto il 28.9.2006) lo vediamo scandire che “l’interesse pubblico sarà assicurato non dalla proprietà ma da un insieme certo di regole chiare e trasparenti”. Sono parole di Prodi pronunciate non in un ristretto “seminario universitario”, ma di fronte al Parlamento e all’opinione pubblica. E’ un utopista pure lui? Oppure un astuto bugiardo, come malignano taluni oppositori? Non crediamo né all’una ne all’altra ipotesi. Crediamo che abbia detto una cosa saggia. Caro Franco verrei in conclusione a questioni ancora più importanti. Per me oltre che un giornalista esperto e sapiente tu sei anche – se me lo concedi – un fratello maggiore putativo. Ti lascerò dunque volentieri sempre l’ultima parola ma permettimi di riaffermare che di fronte alla società iperconsumistica di oggi non è che il socialismo sia restato all’età bucolica o nei circoli seminariali, come tu paventi. Eduard Bernstein e Carlo Rosselli sono stati gli alfieri del socialismo riformista-liberale all’inizio del ‘900, ma poi sono venuti tanti altri dirigenti e pensatori che si sono misurati via via con la contemporaneità stringente. Uno di questi, ad esempio, viene proprio da quella realtà macroinformatica rappresentata dagli Usa. Parliamo di John E. Roemer, il pensatore americano che nel 1994 ha pubblicato “A future for Socialism”, un futuro per il socialismo. Questo autore è un “socialista orwelliano”, in nome di chi, sostenendo un ideale di socialismo anti-autoritario (rileggiamo dunque anche il George Orwell de “La fattoria degli animali” e “1984”), di quello totalitario ha saputo denunciare tutti i pericoli. E viene a proporre “un socialismo dal forte sapore liberale, basato sulle ragioni del fallimento delle economie statalizzate dell’est europeo, che è bene siano fallite perché con esse sono falliti dei regimi tirannici”. Con Roemer – ho scritto nella mia ricerca “Breviario di politica mite” - prosegue sul piano ideale verso il 21° secolo l’opera di Rosselli, per un socialismo che ponga sull’educazione e sulla formazione intellettuale e professionale, le basi per allargare ai “segmenti sociali più svantaggiati” le opportunità di accesso al lavoro e ad una decente vita civile. Rovereto, 5 ottobre 2006 Nicola Zoller @@@@@@@@@@@@@@@@ torna in alto |