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Info SOCIALISTA – 25 aprile 2006 a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l’azione nazionale dei socialisti e del centro sinistra n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 – fax 0461-944880 – Trento/Bolzano www.socialistitrentini.it - www.socialisti.bz.it Quindicinale - Anno 3° www.rosanelpugno.it Grazie per la Rosa e per l’Unione-Svp AI CANDIDATI E MILITANTI DELLA ROSA NEL PUGNO Esprimiamo un sentito ringraziamento alle compagne e ai compagni che si sono attivate/i in questa campagna elettorale per la ROSA NEL PUGNO alla Camera e al Senato per l'UNIONE-SVP. Ora l'impegno continua... Un caro saluto. - Achille Chiomento (Bolzano) - Nicola Zoller (Rovereto) INVITO a ROVERETO Evviva il Primo Maggio Come da tradizione i socialisti invitano tutti i cittadini a festeggiare il Primo Maggio con un EVVIVA presso la “Stella d’Italia” in piazza Erbe a Rovereto. L’appuntamento quindi è per lunedì 1 maggio 2006 alle ore 11. SOMMARIO: - Grazie per la Rosa e per l’Unione-Svp - Invito a Rovereto per il Primo Maggio - Un libro, per cominciare : Non scambiate Zapatero per Che Guevara - Rosa nel Pugno: nasce la nuova Rosa -Dopo le elezioni, subito il nuovo soggetto politico. - Il nuovo premier tratti con l'Europa - Il rapporto di fiducia con Bruxelles è decisivo. - La ripresa c’è, prendiamola - Angeletti: “La legge Biagi non si tocca” - Intervista al segretario della UIL - L’etica laica e l’interesse del Paese - Ci spiegate che cos'è oggi la Lega? DOCUMENTI - Accordo tra i partiti dell’Unione, la SVP ed il PATT DOCUMENTI - Perché sono incostituzionali i Patti Lateranensi UN LIBRO, per cominciare “Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro” Jorge L. Borges Autore: Luis R. Zapatero Titolo: Il socialismo dei cittadini Feltrinelli ed., € 12,00 - 2006 Non scambiate Zapatero per Che Guevara • da La Repubblica del 13 marzo 2006, pag. 20 di Mario Pirani Pochi giorni or sono ero stato invitato a presentare un libro-intervista al premier spagnolo (“Zapatero, il socialismo ai cittadini”, di Marco Calamai e Aldo Garzia, ed. Feltrinelli). Avevo trovato il testo di notevole interesse, mentre mi sembrava inappropriato un certo tono, tra l’elegiaco e l’agiografico, del capitolo introduttivo. A riprova cominciai a leggerne alcuni brani, aggiungendo che una prosa siffatta mi ricordava l’ingenua ammirazione di cui trasudavano gli opuscoli con le biografie dei “grandi capi” diffusi da noi giovani comunisti in anni ormai lontanissimi. “Sembra parlino di Kim il Sung”, mi sussurrò sottovoce a quel punto una coetanea “storica”, seduta accanto a me, Luciana Castellina. Ma non avevo ancora finito di leggere che un manipolo di cinque-sei signore, la cui adolescenza doveva essere stata infiorata dalle contestazioni post sessantottine, si mise improvvisamente a urlare: “Basta!”. Non avrei potuto proseguire se un numero consistente di persone non si fosse levato per tacitare le eleganti erinni. Si tratterebbe di un gossip di nessuna importanza se non fosse rivelatore di quella ricorrente nostalgia, presente in strati non del tutto marginali della sinistra, per il personaggio carismatico che impersona la seduzione rivoluzionaria, sia esso Che Guevara, Mao, il sub-comandante Marcos ed oggi, appunto Zapatero. Che altra responsabilità non ha se non il nome che porta, un nome adatto a suscitare simbiosi inconsce tra Zapata e “sendero” e/o a richiamare lo “zappaterra” in rivolta eternato dall’iconografia di Pelizza da Volpedo. Con danno grave però per la percezione reale della personalità di Zapatero, che tale resterebbe anche se si chiamasse Sanchez. E cioè quella di un politico socialdemocratico di forte stampo liberale e laico, di grande levatura. Eppure esso viene dipinto con colori falsificanti non solo dall’estremismo sinistroide, mondano e sciocco, ma anche dal moderatume neo conservatore, dagli atei devoti, dai patiti delle radici cristiane che ad ogni iniziativa riformista nel nostro paese suonano l’allarme contro “la deriva zapaterista”, ultima versione dei cosacchi a S.Pietro. Con una rifrazione mediatica dall’una all’altra delle due sponde estreme. Eppure basta scorrere la bella intervista di Calamai e Garzia per vedere emergere un ben diverso profilo. Anzitutto di un uomo alieno da certezze apodittiche. “La politica”, dice, “è opinione, avanza a tentoni nell’oscurità, nessuno può possedere la vera risposta. Per questo la sinistra non può essere ‘scientifica’ (come pretendevano i comunisti, ndr.) deve essere democratica, non credere di possedere la verità. Noi non abbiamo un’ortodossia da offrire”. Partendo da questo credo profondamente liberale il suo agire politico si è inverato in una serie di azioni che dimostrano come egli, pur sviluppandone il pensiero e l’azione, si stia muovendo nel solco aperto da Felipe Gonzales: “La sua opera è stata gigantesca. E’ già iscritta nella Storia”. Poi si richiama, come lui, al modello tedesco e scandinavo e, per quanto riguarda la politica economico-sociale, anche a Blair: “Gli accordi tra sindacati, imprenditori e governo sono stati, fin dalla transizione (cioè dal tempo dei governi Suarez e di Gonzales, ndr) un valore fondamentale per lo sviluppo positivo del nostro modello economico. In questo autunno la disoccupazione è scesa per la prima volta al di sotto del 10 per cento. Lo dobbiamo al dinamismo dei nostri imprenditori, alla capacità dei nostri lavoratori, al realismo dei nostri sindacati, al rigore del governo nella gestione dell’economia, del mio come di quelli precedenti di Aznar e Gonzales”. Quando mai un leader italiano di sinistra come di destra è stato in grado di assumere la continuità come valore da arricchire e non da rigettare? Così la straordinaria rottura con il “machismo” iberico e la creazione di un governo formato per metà di donne si rifanno esplicitamente alla esperienza norvegese. Zapatero da questo punto di vista non solo è lontano dal socialismo latino. Più di tutto quando si richiama senza infingimenti e distinguo: “Né la chiesa né altre istituzioni religiose devono imporre i loro principi attraverso le leggi, ma attraverso le coscienze dei propri fedeli. Lo Stato non ha religione”. Un’ultima citazione, tra le molte che lo meritano: “Voglio essere il politico che strappa la televisione ai politici e la restituisce ai cittadini. Il mio impegno era quello di voltare pagina rispetto a una televisione dei partiti. Sto facendo ciò che avevo detto”. Zapatero non ha nulla del Che, ma molto di cui avremmo bisogno, qui e adesso. ********** Rnp, alleanza più solida: verso il partito unico • da Il Sole 24 Ore del 21 aprile 2006, pag. 10 Si consolida la Rosa nel pugno. Dopo due giorni di dibattito, a tratti anche acceso, e qualche nervosismo soprattutto in casa radicale, è arrivato il sì della direzione nazionale alla nascita del nuovo partito. Prima conseguenza sarà la corsa alle prossime amministrative con lo stesso simbolo delle politiche. La lunga discussione s'è conclusa con un documento già soprannominato testo Capezzone-Villetti: otto punti nei quali. fra l'altro, si stabilisce il raddoppio della direzione (passa quasi a quota cento membri) e l'allargamento della segreteria della Rosa nel Pugno, che accoglie Lanfranco Turci e Biagio De Giovanni. Superati, quindi, i dubbi di Emma Bonino che, nel suo intervento, aveva detto «no agli automatismi», tali per cui la corsa di radicali e Sdi fatta insieme alle politiche avrebbe dovuto portare di per sé all'alleanza alle amministrative. Su una cosa, comunque, sono tutti d'accordo: la Rnp «non è stata e non è solo una lista elettorale», ragion per cui via libera a una fase costituente che porti alla nascita di «un vero e proprio soggetto politico». Direzione della Rosa nel Pugno: nasce la nuova Rosa Dopo le elezioni, subito il nuovo soggetto politico. Roma, 20 aprile 2006 La Direzione nazionale della Rosa nel Pugno, riunita a Roma il 19 e il 20 aprile 2006: 1. Ringrazia il milione di elettrici e di elettori che hanno scelto di sostenere con il proprio voto e la propria fiducia il progetto "Blair-Fortuna-Zapatero" della Rosa nel Pugno laica, socialista, liberale e radicale. 2. Accoglie, fa propria e rilancia la proposta della Segreteria, confortata e sostenuta da intellettuali, personalità, rappresentanti del mondo della scienza e della cultura, di aprire una vera e propria fase costituente, che porti alla nascita di un vero e proprio soggetto politico. La Rosa nel Pugno non è stata e non è solo una lista elettorale: si apre ora, e la Segreteria riceve il mandato a definirne entro il 30 giugno tappe e scadenze, la costruzione di un partito laico, liberale, socialista e radicale. 3. La Direzione denuncia l’aggressione contro i diritti civili e politici dei cittadini realizzata ai danni degli elettori italiani attraverso il tentativo di escludere gli eletti della Rosa nel Pugno dal Senato, e si impegna a mettere in atto ogni forma di lotta istituzionale e politica per ottenere il ripristino della legalità, facendone punto qualificante anche del dialogo in corso con l’Unione e i suoi vertici, finora del tutto omissivi se non conniventi. 4. La Rosa nel Pugno pone all'Unione e ai suoi vertici l'esigenza di superare una lunga fase di ostilità, ostracismo, non comunicazione. La Rosa nel Pugno è stata decisiva per l'alternanza e il successo elettorale della coalizione; è impegnata per un governo forte e sicuro guidato da Romano Prodi; ma giudica inconcepibile che, sin dalla sua nascita, la Rosa nel Pugno sia stata vissuta come un'insidia, e non -invece- come un'opportunità di rinnovamento della sinistra, sia sui diritti civili che sull'innovazione economica e sociale. E per queste stesse ragioni la Rosa nel Pugno intende partecipare al dibattito e alla discussione sul futuro Partito Democratico da costruire. 5. La Direzione sostiene la proposta della Segreteria di deliberare la presentazione di liste della Rosa nel Pugno alle prossime elezioni amministrative del 28 maggio (con il sostegno a Rita Borsellino e all'esperienza dell'Aquilone in Sicilia), con identico simbolo presentato alle elezioni politiche. Contestualmente, in vista di questo appuntamento, dà mandato alla Segreteria di definire regole che affermino la reciproca autonomia tra eletti nelle istituzioni comunali, provinciali e ragionali da una parte, e responsabilità locali del partito dall'altra. In particolare, è sin d'ora stabilito che i gruppi consiliari non conterranno la denominazione "Rosa nel Pugno", ma acquisiranno altra denominazione autonomamente stabilita. E' infatti necessario e urgente non solo per la Rosa nel Pugno, ma per l'intera politica italiana, riaprire il dibattito sulla "forma partito", e compiere un passo che ci distingua da un crescente processo di "assorbimento" istituzionale dei soggetti politici, e di progressiva negazione del loro specifico apporto di elaborazione e lotta politico-sociale. La Direzione accoglie l’impegno di ciascuno dei soggetti costituenti della Rosa nel Pugno e della Segreteria in quanto tale ad escludere ogni forma di sostegno a qualsiasi lista elettorale presentata sotto altro simbolo. 6. La Direzione chiede agli eletti della Rosa nel Pugno di presentare subito al nuovo Parlamento una proposta di legge per una amnistia ampia quale primo atto di una Grande Riforma della Giustizia perché ritorni nei binari della legalità e che servirà innanzitutto ai magistrati perché liberati dai reati più lievi destinati a cadere in prescrizione possano proficuamente impegnarsi a processare quelli gravi, garantendo i diritti e la sicurezza dei cittadini rispetto alla macro e alla microcriminalità. Chiede altresì di presentare una proposta di indulto di almeno due anni che consenta il rientro nella legalità e nella decenza del nostro carcere, sgravando il suo carico umano di sofferenza che opprime non solo i detenuti, ma anche il personale amministrativo e di custodia. ********** Il nuovo premier tratti con l'Europa Il rapporto di fiducia con Bruxelles è decisivo. • da Corriere della Sera del 21 aprile 2006, pag. 1 di Ernesto Galli Della Loggia Ormai non resta che governare. Con il risultato proclamato dalla Cassazione — che Berlusconi farebbe bene ad accettare senza indugi invece di inscenare un ambiguo surplace — Romano Prodi è insediato definitivamente al comando. Ma governare non sarà facile. Per almeno tre motivi: per l'esiguissima superiorità di cui il nuovo governo potrà disporre in una delle due Camere; per la forte disomogeneità politico- programmatica della sua maggioranza; per le condizioni presumibilmente abbastanza critiche in cui esso troverà i conti dello Stato ereditati. In queste condizioni la principale carta che Prodi ha da giocare è la sua leadership. La vittoria del centrosinistra non è stata certo strepitosa ma si deve ammettere che solo la presenza di Prodi ha permesso di mettere e di tenere insieme l'estesissimo arco di forze dell'Unione, solo la sua figura ha rappresentato un'immagine in cui ognuna di quelle forze ha potuto bene o male riconoscersi; il centrosinistra, insomma, è riuscito concretamente a esistere solo in quanto c'era Prodi. Al di là del risultato elettorale egli, dunque, è investito della guida della coalizione in maniera politicamente piena, e dunque deve anche sentirsi autorizzato a esercitare quella guida in maniera altrettanto piena. Il che significa innanzitutto non esitare ad affermare la propria iniziativa nella formazione del governo. Uno dei maggiori punti deboli del centrodestra è stata la mediocre qualità degli uomini e delle donne del suo esecutivo. Proprio a partire da qui, pertanto, il Paese si aspetta dal nuovo presidente del Consiglio una decisa inversione di rotta: cioè che non badi ad alchimie partitiche, a equilibri di corrente, ma scelga sulla base delle qualità, affidandosi specialmente alle competenze e alla capacità dei prescelti di parlare all'opinione pubblica e di costruire consenso anche oltre i confini della coalizione. Ma la carta più efficace di Prodi è quella rappresentata dall'Europa, con la quale il suo passato di presidente della Commissione dovrebbe assicurargli un ascolto e una rete di rapporti preziosi. Il governo italiano avrà probabilmente un paio di mesi per presentarsi con le carte in regola ma c'è bisogno di costruire un rapporto di fiducia reciproca più stabile. È soprattutto dal dialogo con l'Europa che egli può ottenere i margini di manovra economica e l'accesso a risorse di cui l'Italia necessita per raddrizzare i suoi conti e migliorare la propria posizione con l'estero. Ed è poi dallo stretto rapporto con i Paesi partner dell'Europa che il governo di centrosinistra può attingere l'ispirazione e la forza per attuare una politica estera che sappia evitare tentazioni di terzomondismi, neutralismi e disimpegni repentini che avrebbero il solo effetto di indebolirlo notevolmente. Incarnare il legame con l'Unione Europea del centrosinistra italiano sarebbe per Prodi un modo ideale per costruire quello spazio politico proprio che di per sé il ruolo di leader della coalizione non gli dà. Prodi, infatti, oggi è solo una leadership. Ma proprio attraverso questa egli può diventare qualcosa di molto di più, cioè un programma omogeneo, una linea politica. Ciò che tra l'altro è proprio quello che oggi manca al centrosinistra che di linee politiche ne ha pure troppe, e conta un programma che giustamente Pietro Scoppola ha paragonato a un'«enciclopedia». Prodi può rappresentare il rimedio a tutto ciò, dando vita, ci si passi l'espressione, al prodismo. L'alternativa è limitarsi a capeggiare un ammasso disordinato e conflittuale di ambizioni e di vocazioni: allora sì che lo striminzito vantaggio elettorale apparirebbe in tutta la sua problematica esiguità. La ripresa c’è, prendiamola • da Il Riformista del 21 aprile 2006, pag. 2 Nel giorno del redde rationem sulle presidenze di Camera e Senato, Romano Prodi smentisce che sul tavolo delle trattative con gli alleati ci siano già le poltrone di ministri, viceministri e sottosegretari. Eppure, un segnale forte, il prossimo presidente del Consiglio, lo ha dato proprio ieri. Invitando a pranzo nella sua residenza romana Tommaso Padoa Schioppa. Quella del ministero dell’Economia è una delle poche caselle assegnate da tempo all’ex membro del board della Bce, e quindi semi ufficializzabile nonostante l’attuale faticoso valzer delle poltrone. Ma, soprattutto, è evidente che con la pletora di messaggi devastanti nei confronti del nostro paese che continuano a piovere sui mercati internazionali, sotto forma di aggressivi articoli di quotidiani o pesanti moniti degli organismi internazionali (ieri è stato di nuovo il turno del Fmi, che ha definito «problematiche» le prospettive di medio termine del nostro paese), era importante per Prodi dare un segnale forte. Primis, Mr. Confindence: questa la novità di ieri, per economisti e affini. In questo clima in cui l’incarico a via Venti Settembre sta diventando di giorno in giorno più gravoso, non piove sempre sul bagnato. Ieri dall’Istat è arrivata la conferma che la ripresa italiana c’è. A febbraio gli ordinativi dell’industria hanno registrato un aumento congiunturale del 4,3%, il più alto dal dicembre 2000, e tendenziale del 14,1%, il più alto da marzo 2004. Il fatturato è cresciuto dell’1,9% mensile e dell’8,1% tendenziale. Se consideriamo che nei mesi successivi il clima di fiducia delle imprese ha registrato un balzo e che tiene anche l’indice di fiducia dei consumatori, ma soprattutto che la Germania della Kanzlerin continua a accelerare i suoi ritmi di crescita, il quadro sembra davvero migliorare, a livello macroeconomico. Ma proprio per questo, dopo la scelta di Mr. Confidence, la seconda mossa dovrà essere il provvedimento di rilancio dell’economia. Proprio sul Riformista alcuni esponenti dell’Unione lo avevano inserito nell’agenda dei primi cento giorni di governo. Speriamo che non passino invano, altrimenti la locomotiva tedesca rischia di sganciare il vagone italiano nei secondi cento. Angeletti: “La legge Biagi non si tocca” Intervista al segretario della UIL Luigi Angeletti. • da Il Messaggero del 18 aprile 2006, pag. 8 di Luciano Costantini «Le dure critiche del Financial Times? Più che una preoccupazione, mi sembra una constatazione. Temono che il centrosinistra possa aumentare la spesa pubblica, con interventi statalisti. Ma si tratta, ripeto, di una preoccupazione. Non vedo tutti questi rischi per il Paese, anche se, questo è più probabile, ci potrebbe essere un aumento dei tassi». Luigi Angeletti, segretario della Uil è determinato. Dopo aver affrontato il tema del giorno, va all’attacco sulle questioni più scottanti. «Noi - dice - di veti non ne accetteremo più. Però se sulla legge Biagi e la riforma dei contratti non riusciremo a trovare un accordo, be’ pazienza, andremo avanti lo stesso». Cerchiamo comunque di fare un po’ di chiarezza. Lei conferma il ”no” all’abolizione della legge Biagi? «E certo perchè se l’abolissimo, torneremmo ai Co.co.co. che sono la cosa peggiore. E sparirebbero quelle modifiche al collocamento che sono state positive. Anche se è ovvio che bisognerà correggere alcune parti del pacchetto che riguardano certe forme di assunzione assolutamente inapplicabili». E poi serviranno gli ammortizzatori sociali. «Naturalmente . Ricordo che si tratta di una misura concordata, ma che il governo non ha mai adottato per mancanza di soldi». Il vice presidente di Confindustria Bombassei ha invitato i sindacati al tavolo per avviare un confronto a tutto campo. Lei ha risposto «sì», ma ha anche detto «no» ai possibili veti. A chi alludeva? « Allora, volevo dire che ci sarebbe un grande bisogno di fare un accordo su un nuovo sistema di relazioni industriali, compreso il modello contrattuale. Ma il confronto è possibile solo se c’è una vera disponibilità a individuare soluzioni condivise». Ma in particole sui veti, a chi alludeva? A una parte del sindacato o alla Confindustria? «Io ho detto semplicemente che il diritto di veto esiste in quanto c’è qualcuno che lo riconosce. Faccio un esempio, poichè sul sistema di contrattazione le posizioni di Cgil, Cisl, Uil non sono uguali, e presumo che non cambieranno, be’ bisogna accettare l’idea che si può avviare una trattativa anche in presenza di posizioni diverse. Non si può dire ”si discute solo se passa la mia posizione o se siamo tutti d’accordo”. E dall’altra parte si subisce questo veto...Non so se ho reso l’idea». Può essere più chiaro? «Ci sono argomenti che la Cgil non vuole discutere e la Confindustria ha l’atteggiamento di chi dice ”io sono pronta a discutere, ma poichè quelli non vogliono, io non discuto”. Amen. Questo è il risultato di ciò che è avvenuto nell’ultimo anno e temo possa avvenire in futuro». Riforma dei contratti. Ci arriverete o no? «Le posizioni sono note per quanto diverse. Abbiamo discusso per un anno e non c’è alcun ragionevole motivo per continuare a discutere. Facciamocene una ragione. Viviamo pure senza riforma dei contratti. Vuol dire che faremo tanti contratti dei metalmeccanici». Cosa si aspetta dal nuovo governo? «La prima cosa è che tagli le tasse sul lavoro. Sui salari». Magari attraverso la riduzione del cuneo fiscale? «E certo. I benefici devono andare ai lavoratori dipendenti, sono loro che hanno subito i maggiori sacrifici in questi anni. Ridurre le tasse sul lavoro significa ridurre il cuneo fiscale». Quei cinque punti di riduzione del cuneo, promessi da Prodi, come e dove dovrebbero essere distribuiti? «Intanto un punto alle imprese arriverà quest’anno. E a noi non è stato dato nulla. Il minimo, per decenza, è che a noi arrivino tre punti». Cioè tre ai lavoratori e due alle imprese? «Sì, ripeto, sarebbe il minimo della decenza». E i soldi dove si trovano? «Non è un problema. Basterebbe la ricetta della Uil di non tassare gli aumenti contrattuali». Un’ultima domanda. Anzi, tre titoli: legge Biagi, riforma dei contratti, legge sulla rappresentanza sindacale. Altrettante opinioni diverse tra Cgil, Cisl, Uil. «E’ evidente, abbiamo di fronte uno scenario molto complicato. Però ci siamo abituati. Strada insieme possiamo farne anche se la vedo dura. Intanto la Cgil dovrebbe smettere di costruire unilateralmente delle posizioni e poi pretendere di esportarle. Solo così potremo fare qualche passo in avanti. Per una politica unitaria occorre che ci sia la disponibilità a cambiare opinione. Altrimenti non si va da nessuna parte». L’etica laica e l’interesse del Paese • da La Stampa del 13 aprile 2006, pag. 2 di Gian Enrico Rusconi Incautamente qualche clericale si è rallegrato del mancato successo elettorale della Rosa nel Pugno come del segnale del venir meno della rilevanza della questione della laicità nel nostro Paese. E’ un errore di valutazione perché la questione rimane. E’ in gioco l’etica pubblica che è di interesse generale e che forze politiche del centro-sinistra hanno eluso durante la campagna elettorale. Con reticenze e un po’ di cattiva coscienza. Ci sono sul tappeto problemi irrisolti che dovranno essere affrontati non con equilibrismi diplomatici ma con fermezza di principi temperata dalla moderazione. Per affrontare la questione del riconoscimento giuridico delle unioni di fatto (etero e omosessuali); per sciogliere una volta per tutte in maniera univoca la questione dei simboli religiosi in luogo pubblico; per fare dell'ora facoltativa di religione nella scuola un contributo qualificato alla conoscenza del fenomeno religioso; perché si possa discutere serenamente sull’opportunità o meno di rinegoziare alcuni aspetti attuativi del Concordato. Per fare tutto questo occorre chiarezza di idee e coraggio istituzionale per ridare all'etica pubblica la pienezza della sua autonomia. L’etica pubblica si esprime laicamente in normative che non potranno soddisfare tutti i cittadini. Ma nessun cittadino deve trovarsi in posizione di svantaggio (o addirittura di sofferenza) perché non condivide le convinzioni di una presunta «maggioranza morale». Da tempo sotto la mannaia ideologica dell'accusa di «relativismo» si è intimidito e stravolto il valore della pluralità degli stili morali di vita che è il modo concreto di realizzare il principio (condiviso apparentemente da tutti) della libertà di coscienza. Su tutto questo nell’Unione è mancata una riflessione programmatica all’altezza della situazione. E’ prevalsa la preoccupazione di sdrammatizzare, di assicurare senza mai veramente entrare a fondo nel merito dei problemi. Ciascun leader, maggiore o minore, si è preoccupato del proprio profilo - con un occhio più alla Cei che alla collettività dei cittadini diversamente credenti. L’Unione è divisa al suo interno su molti dei punti qualificanti elencati sopra. Ma se vuol governare deve cominciare a dare l’esempio di superare le proprie differenze interne. Essere laici (come tutti zelantemente dicono di essere) significa non proiettare la propria identità su quella degli altri ma accettarle tutte - e saperle governare saggiamente. E’ un compito difficile, naturalmente. Soprattutto perché i clericali sono maestri nell’approfittare delle divisioni interne all’Unione. La questione laica (o specularmente la questione clericale) potrebbe esplodere in modo incontrollabile e distruttivo più di quanto non sospetti. Ci spiegate che cos'è oggi la Lega? • da Il Riformista del 18 aprile 2006, pag. 2 di Emanuele Macaluso Una delle misure della qualita dell'attuale ceto politico della destra italiana è certamente l'ex ministro Roberto Calderoli. Il quale testimonia anche la qualità del sistema politico italiano. Dopo l'ignobile sceneggiata televisiva, con l'esposizione della maglietta con quelle vignette che avevano provocato violente (anche se non giustificate) proteste nei paesi arabi, il ministro avrebbe dovuto sparire dalla scena politica. Invece è ricomparso con la battuta sulla “porcata” della legge elettorale da lui voluta per conto del Cavaliere, e ora si esibisce come interprete autorizzato della “porcata” stessa, per fare, sempre per conto del Cavaliere, un po' di casino sul risultato elettorale. Il quale è pesante proprio per la Lega, se pensiamo che il 4,5% è stato raggiunto grazie all'alleanza federalista con il siciliano Lombardo, che avrebbe dovuto sconvolgere gli assetti politici dell'isola e del Meridione, e con Cecchi Gori, che si è presentato a Roma come il grande unificatore di nord e sud. Cialtronate. Tuttavia ne scriviamo perché consideriamo serio il fenomeno leghista, e ci pare venuto il momento di porre un interrogativo: cos'è oggi la Lega, e quali sono le sue prospettive? ********** DOCUMENTI Accordo tra i partiti dell’Unione, la SVP ed il PATT SOTTOSCRITTO PER LE ELEIONI POLITICHE La SVP, il PATT ed i partiti dell’Unione affrontano insieme le prossime elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 seguendo il comune obiettivo di rafforzare la rappresentanza autonomista nel parlamento. Un futuro governo guidato da Romano Prodi, amico dell’autonomia, funge da garante per il percorso di riforma per il rafforzamento della nostra autonomia speciale. Sono passati oltre trent’anni dalla riforma dello Statuto di Autonomia e quattordici dalla conclusione della vertenza che aveva opposto Italia e Austria sulla questione sudtirolese. Nel corso di questo tempo sono intervenute riforme costituzionali, che non possono essere ignorate, proprio per la loro diretta influenza sull’attuale statuto speciale. La costante ricerca d’equilibrio tra eguaglianze e differenze, tra tutela dei diritti individuali e salvaguardia delle caratteristiche linguistiche e culturali dei gruppi, costituisce il fondamento giuridico della convivenza. Questo comporta un confronto sui contenuti dell’autonomia, considerandone lo sviluppo dinamico come un processo importante. Questo processo può anche implicare un aggiornamento delle regole, salvaguardando comunque i principi fondamentali della tutela delle minoranze linguistiche tedesca e ladina. Stabilizzate le garanzie di tutela per le minoranze, si possono allargare i margini dell’autogoverno, al fine di rendere partecipi allo sviluppo e alla gestione del territorio tutti i gruppi linguistici. La nostra autonomia ha bisogno di fare un passo avanti e vedere la piena partecipazione dell’intera popolazione. I partiti dell’Unione, la SVP e il PATT s’impegnano ad insediare all’indomani del voto per le elezioni politiche del 9 e 10 aprile 2006 un tavolo politico, aperto al contributo delle cittadine e dei cittadini, per arrivare a una proposta di aggiornamento dello Statuto di autonomia del Trentino-Alto Adige/Südtirol, adeguandolo alle riforme costituzionali approvate e alla evoluzione culturale, di stili di vita ed al mutamento degli assetti economico sociali. Nel caso della non conferma, per effetto del risultato del referendum popolare, della revisione della parte seconda della Costituzione, voluta dalla maggioranza di governo di centrodestra, si riconferma l’impegno a una modifica costituzionale tendente a garantire la formalizzazione del principio d’intesa tra Stato e Regioni e Province autonome, come condizione anche per le revisioni dei rispettivi statuti speciali, ritenendo che il nucleo intangibile della specialità è costituito dalle procedure paritetiche e dalle vicendevoli garanzie di cooperazione tra il livello statale e quello provinciale. Senza pretesa di esaurire gli argomenti della riforma dello Statuto e senza scartare l’ipotesi che il rinnovamento della autonomia possa in parte realizzarsi anche da subito, con gli strumenti delle norme di attuazione e di legislazione provinciale ordinaria, si elencano alcune coordinate di principio entro le quali muoversi per l’azione di aggiornamento e di riforma della specialità del Trentino-Alto Adige/Südtirol. 1. La riforma costituzionale del 2001 comporta la necessità di rivedere il rapporto tra Stato e Regioni e Province autonome. L’art. 117, ridefinendo le competenze legislative, attribuisce alle Regioni e alle Province autonome una potestà legislativa e regolamentare generale-residuale, consente un’estensione nell’ambito della competenza legislativa e amministrativa dell’autonomia provinciale nelle materie attribuite alla potestà concorrente e di incrementare la potestà legislativa della Regione o, rispettivamente, delle Province. Inoltre alle Regioni e alle Province autonome sono attribuite nuove competenze in materia di rapporti con Stati ed Enti esteri e in materia comunitaria. Tutto questo comporta responsabilità sempre più ampie per l’autonomia del Trentino-AltoAdige/Südtirol, che obbligano a rivedere lo Statuto, anche con riferimento alle regole di governo e alle procedure di garanzia per le cittadine e i cittadini. 2. La riforma costituzionale del 2001, prevedendo la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà, sia verticale tra i livelli istituzionali, sia orizzontale tra istituzioni e società, va attuata anche attraverso norme per la Regione, le Province e i Comuni in modo da favorire la partecipazione dei cittadini singoli e associati per lo svolgimento d’attività di interesse generale. Il nuovo art. 118 della Costituzione, prevedendo la competenza generale dei Comuni nell’esercizio delle funzioni amministrative, pur con le limitazioni previste dal 1°comma, attribuisce ai Comuni la potestà primaria di governo del territorio e presuppone che essi diventino tramite il Consiglio dell’Autonomia (Trento) e il Consiglio dei Comuni (Bolzano) attori e partecipi con le Province nell’elaborazione delle leggi e dei regolamenti provinciali nelle materie che li riguardano, attribuendo loro risorse adeguate per l’esercizio delle funzioni amministrative conferite, riconoscendo loro competenze regolamentari autonome in materia di organizzazione e svolgimento delle funzioni e, infine, prevedendo adeguate forme di garanzia per il rispetto del ruolo e delle competenze dei Comuni, tenendo anche conto della loro capacità amministrativa e gestionale. 3. Nell’ambito del cosiddetto sistema tripolare di governo, l’individuazione per la Regione di un ruolo per questioni d’interesse sovra-provinciali concordate tra le due Province che, nell’assoluto rispetto delle prerogative e delle funzioni delle due Province, che sono i soggetti costitutivi della Regione, sia concretamente operativo come fattore di cooperazione nell’ambito regionale. 4. Confermando gli elementi di garanzia presenti nell’attuale Statuto e avvertendo l’esigenza di muoversi in armonia con i principi dell’Unione Europea, si ritiene che debbano essere affrontati i seguenti aspetti: a. Il bilinguismo e gli strumenti per attestarlo, avendo l’obiettivo di valorizzare la conoscenza sostanziale delle lingue. b. Il ruolo della scuola e il rafforzamento dell’autonomia scolastica nella formazione del cittadino europeo. Questo obbiettivo va raggiunto nel rispetto dell’insegnamento in madrelingua come previsto dall’art. 19 dello Statuto e nel rafforzamento dell’autonomia scolastica e formativa. c. Si conferma il principio della proporzionale: Tale strumento, previsto come misura positiva, ha riportato equilibrio nel sistema di distribuzione delle risorse, ma incontra anche difficoltà in alcuni settori e livelli di carriera. Il problema va affrontato avendo a cuore la giusta ripartizione delle risorse pubbliche, l’efficienza e la qualità dei servizi pubblici, la stabilità del rapporto di lavoro, con l’obbiettivo di garantire la presenza di tutti i gruppi linguistici in tutti i livelli e avendo anche riguardo al merito. d. Il diritto di voto dei nuovi residenti merita attenzione, salvaguardando le garanzie conquistate grazie allo Statuto di Autonomia con altri principi costituzionali e con l’ordinamento comunitario. 5. La SVP, il PATT ed i partiti dell’Unione concordano che l’autonomia è un bene condiviso che va a vantaggio delle cittadine e dei cittadini di tutti i gruppi linguistici. Essa andrà garantita, anche attraverso la salvaguardia del principio del finanziamento dell’autonomia come previsto dalla normativa vigente. Per garantire uno sviluppo della nostra autonomia nel quadro europeo e adempiere agli impegni internazionali, occorre procedere celermente alla ratifica dei Protocolli attuativi della Convenzione delle Alpi e degli atti aggiuntivi della Convenzione di Madrid sulla cooperazione transfrontaliera. Per quanto riguarda l’energia va salvaguardata la norma d’attuazione in vigore rispettando al contempo le normative comunitarie. Per quanto riguarda le leggi elettorali per il parlamento nazionale i partiti dell’ Unione, la SVP e il PATT riconoscono in pieno la necessità del principio di garanzia di rappresentanza delle minoranze linguistiche, nonché delle quote rosa e dell’espressione delle preferenze. Per quanto concerne la legge elettorale per il Parlamento Europeo è ferma volontà di garantire anche in futuro la rappresentanza della minoranza sudtirolese attraverso un collegio o una clausola preferenziale. Altresì va rivista la modalità di nomina degli assessori provinciali esterni al consiglio provinciale di Bolzano. Sono infine da affrontare con norme d’attuazione le questioni ancora aperte che nel corso di quest’ ultima legislatura il governo di centro-destra non ha saputo o voluto risolvere. ****************** DOCUMENTI Perché sono incostituzionali i Patti Lateranensi Concordato. Adesso si è aperta la questione vaticana. • da Il Riformista del 17 marzo 2006, pag. 7 di Michele Ainis 11 febbraio 1929: la doppia firma di Benito Mussolini e del cardinal Gasparri in calce ai Patti Lateranensi chiude la “questione romana". 1° gennaio 1948: l'entrata in vigore della Carta repubblicana apre la ”questione vaticana". E la apre in termini di illegittimità, d'una ferita mai cicatrizzata sulla legalità costituzionale. Ora è il momento di sanarla. Ma è possibile denunziare l'incostituzionalità dei Patti quando la Costituzione stessa li richiama al proprio interno, nel celeberrimo art. 7? E’ possibile, e per varie ragioni. In primo luogo l'assemblea costituente non si è mai pronunziata sulle ragioni del contrasto, nè ha mai deciso che Trattato e Concordato prevalgono sui principi fondamentali della Carta. In secondo luogo lo stesso De Gasperi - nel suo unico intervento alla Costituente, nel marzo del '47 - dichiarò che l'art. 7 non intendeva certo «arrestare la storia», inchiodando le lancette agli anni Venti. In terzo luogo la Consulta - a partire dalla sentenza n. 30 del 1971, e poi in altre occasioni - ha stabilito che le antinomie fra i Patti e la Costituzione vanno risolte in favore di quest'ultima. In quarto luogo anche la Cassazione ha maturato l'identico giudizio (per esempio nella decisione penale n. 22.516 del 2003, sull'elettrosmog causato da Radio vaticana). In quinto luogo la dottrina costituzionalistica è ormai unanime su un punto: ossia che l'art. 7 non costituzionalizza i Patti, bensì il “principio concordatario". E cioè il principio che i rapporti tra Stato e Chiesa vengano regolati in modo consensuale, ferma restando la possibilità per lo Stato italiano di disdire gli accordi precedentemente stipulati, ma in questo caso con le procedure scandite dall'art. 138 della legge fondamentale. E d'altronde, come mai potrebbe ritenersi che i Patti del 1929 siano parte integrante della Costituzione? Il vecchio Concordato ospitava una quantità di norme che vi contrastavano nel modo più sfacciato. Una su tutte: l'art. 5, circa il divieto di assumere negli uffici pubblici sacerdoti apostati e irretiti da censura; una disposizione che a suo tempo un giurista cattolico come Mortati definì «mostruosa». Poi, certo l'accordo del 1984 ha superato le norme più odiose e anacronistiche; ma anch'esso presta il fianco a varie critiche di compatibilità costituzionale (dall'8 per mille agli insegnanti di religione pagati dallo Stato e scelti dalla Chiesa, fino all'insegnamento nelle scuole della religione cattolica anziché della religione in generale, agli effetti civili delle pronunzie dei tribunali ecclesiastici). Peraltro esso si presenta come «Modifica» al vecchio Concordato, e non come un Concordato tutto nuovo, al solo scopo di continuare a fruire della copertura costituzionale. Peccato che l'art. 13 dell'accordo Craxi-Casaroli abroghi espressamente il vecchio Concordato. Ma è il Trattato la vera spina conficcata nel fianco del principio di laicità del nostro Stato. Ed è sempre il Trattato a negare i valori democratici della nostra convivenza, benché ancora nessuno si decida a porre la questione. Eppure basterebbe rievocarne l'apertura («In nome della Santissima Trinità»), e confrontarla con l'impalcatura laica della Costituzione. Oppure richiamare una norma come l'art. 8 del medesimo Trattato, che equipara il Papa al presidente della Repubblica, quanto a tutela penale. Con la conseguenza che le offese verso il primo sono trattate in modo più severo rispetto a quelle recate ai capi di Stato esteri. S'aggiunga che è stato depenalizzato il reato di «offesa all'onore o al prestigio di un capo di Stato estero», ma in forza dell'art. 8 del Trattato questo reato permane verso il Papa. Sicché se insulto Bush nessuno mi fa nulla, se violo l'etichetta verso il Papa rischio 5 anni di galera. Ecco perché l'Italia del terzo millennio non può tenersi sul groppone questa santa alleanza le cui radici affondano nell'Italia ottocentecca. Oltretutto il Vaticano rappresenta a tutti gli effetti uno «Stato teocratico» (la definizione è di D'Avack e di molti altri maestri del diritto ecclesiastico), vale a dire uno Stato in cui il potere politico coincide con quello religioso, e che nega la separazione dei poteri, la libertà di culto al proprio interno, le procedure democratiche, dato che la parola del Papa è essa stessa legge. E’ di quest'imbarazzante condominio che occorrerebbe liberarsi. Lo si può fare disdicendo il Trattato, revocandolo unilateralmente in nome della clausola “rebus sic stantibus”, secondo cui una profonda modifica della situazione di fatto autorizza ciascuno degli Stati contraenti a denunziare il trattato siglato in precedenza. E non è forse intervenuta qualche modifica nella situazione storica dal 1929 a oggi? La risposta è sì, e questa risposta si chiama Costituzione. Come diceva Paolo Barile il trattamento differenziato si traduce in pnvilegio per la Chiesa, e il privilegio in discriminazione per i fedeli di tutti gli altri culti, violando perciò la libertà di religione conclamata (all'art. 8) dalla Carta costituzionale. Ora si tratta di ripristinarla, in primo luogo nell'interesse dei credenti. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ torna in alto |