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Antipolitica, il re è nudo
30.7.2024

“IL RE È NUDO” – Quando la politica perde metà seguito
-di Nicola Zoller
Giornale “Alto Adige”, 30 luglio 2024, p.1 e s.

Prima che l'Occidente democratico si arrenda o soccomba ad una guerra civile, provo ancora ad esprimermi secondo termini critici ma rientranti in una necessaria dialettica democratica. «Tutto ciò che inizia nella rabbia di solito finisce nella vergogna»: cosi Aldo Grasso – sulla prima pagina del Corriere della Sera del 23 giugno 2024 – spiega dove porta l’antipolitica. Tutto è iniziato più di trent’anni fa, da quando è stata operante in Italia una campagna antipolitica che ha fatto crescere la disistima verso i partiti democratici, che un tempo avevano varato la Costituzione dopo la disfatta morale e sanguinaria del fascismo; quei partiti avevano anche contribuito a portare «l’Italia fra i Paesi a più elevato tenore di vita nel mondo, con un reddito cresciuto di circa cinque volte dal 1950 al 1990», ricorda il maggior economista internazionale che l’Italia abbia avuto, Carlo M. Cipolla.
Certo – ha raccontato lo scrittore Pierluigi Battista in un articolo dell’8 marzo 2018 – «i partiti erano quel che erano… ma le sezioni dei partiti erano cose serie, lì ci si riuniva, si andava la sera, dopo il lavoro, si discuteva, ci si confrontava, si litigava. La sezione di partito era un corpo intermedio pieno di vita, un punto di riferimento, un luogo caro a cui appartenere». Per questo – aggiungeva - «una delle cose più stupide predicate in questi decenni è stata il disprezzo dei partiti». Ugualmente «il diluvio di Mani pulite» del 1993, si è basato su una potente «fake news, la falsa idea secondo cui questo sarebbe il Paese più corrotto del mondo», ha scritto il 7 febbraio 2018 l’accademico Angelo Panebianco.
Un falso costruito dal sistema mediatico-giudiziario, se si pensa a ciò che riporta il giurista Michele Ainis in un editoriale del 16 giugno 2014, secondo cui l’Italia – fino ai primi anni del 1990, quando scoccò quella che impropriamente venne definita l’operazione Mani pulite – si situava nella fascia medio-alta tra i Paesi migliori. «All’alba degli anni ’90 la classifica di Transparency International – l’Associazione che misura l’indice di percezione della corruzione, partendo dai Paesi migliori – situava l’Italia al 33° posto nel mondo sui 180 Paesi considerati; ora siamo precipitati alla sessantanovesima posizione», concludeva Ainis nel ventesimo anniversario di quell’operazione giudiziaria platealmente contraddittoria.
Questa lunga premessa serve a introdurre uno stringente argomento di attualità: quella rabbiosa critica ai partiti democratici della prima repubblica era largamente ingiusta, tanto che ha portato gli elettori alla cocente delusione verso la politica della cosiddetta “seconda repubblica”, quasi a vergognarsi della rabbia che era stata inoculata nel corpo elettorale. Lo testimonia la diserzione dalle urne di larga parte dei cittadini che si è verificata alle elezioni europee di giugno 2024. Fino a tutti gli anni Ottanta – quelli che a partire dal 1987 portarono l’Italia ad essere la quinta potenza economica mondiale – il consenso popolare al sistema partitico-democratico continuò ad essere elevato, mentre cominciò a cedere dopo quella “falsa rivoluzione” di Mani pulite, che si proponeva ipocriticamente di rinnovare la politica e il legame ad essa della cittadinanza. Ottenne invece il contrario, che è testimoniato dal crollo della partecipazione al voto. Citiamo l’andamento della percentuale dei votanti: alle elezioni europee del 1989 votò l’81,07 %; nel 1994 c’è un primo calo al 73,60%, aumentato poi di decennio in decennio: nel 1999 vota il 69,73%; nel 2009 il 65,05 %; nel 2019 il 54,50 %; fino al 49,69 % del recente 10 giugno 2024. Dunque un crollo di oltre il trenta per cento dal 1989!
Questo andamento certifica la sfiducia montante verso il sistema della “seconda repubblica”. Se poi esaminiamo bene i dati del 2024, su oltre 47.000.000 di aventi diritto al voto, di questi hanno votato circa 23.500.000, meno della metà; di tale metà Fratelli d’Italia ha ottenuto il 28,8 %, meno del 14,5 % degli effettivi aventi diritto; il PD acquisisce una effettiva rappresentanza del 12 % della cittadinanza chiamata al voto; il Movimento 5 Stelle il 5 %; Forza Italia e Lega meno del 5 %; Alleanza VS meno del 3,5 % (un confronto sui voti ottenuti non solo in rapporto ai votanti ma anche agli aventi diritto al voto, può essere fatto anche per il passato: ma un conto è confrontarsi con un tempo in cui votava più dell’ 80 % degli aventi diritto, altro conto è con la situazione odierna in cui vota meno del 50%).
Ora “il re è nudo”: se il partito di maggioranza relativa non arriva e rappresentare neanche il 15% della popolazione con diritto di voto e se il maggior partito d’opposizione ne rappresenta solo il 12 %, questi dati segnalano l’involuzione da una democrazia più partecipata – che pur con tanti limiti esisteva durante il primo cinquantennio repubblicano – ad un sistema più spento e meno condiviso dalla cittadinanza. Un grande regista, come Giuliano Montaldo, avrebbe potuto dire che gli hanno rubato l’ottimismo, e che questi ladri di ottimismo sono dei criminali.
Da questa citazione drasticamente raffinata, passando alla prosa della vita civile corrente, ricaviamo comunque che occorre ridare ottimismo e fiducia alla nostra società e ritornare a valori democratici più alti. Partendo dall’abbandono di «una delle cose più stupide predicate in questi decenni, il disprezzo dei partiti», come sopra rilevava Pierluigi Battista. Non mi stanco di ripetere quanto sostenuto dal più autorevole giurista democratico del Novecento, Hans Kelsen: «La democrazia può esistere solo se gli individui si raggruppano secondo le loro affinità politiche, allo scopo di indirizzare la volontà generale verso i loro fini politici, cosicché, fra l’individuo e lo Stato, si inseriscono quelle formazioni collettive che, come partiti politici, riassumono le uguali volontà dei singoli individui… solo l’illusione o l’ipocrisia può credere che la democrazia sia possibile senza i partiti politici». I partiti vanno dunque promossi e protetti, non infamati come nell’ultimo trentennio. Vanno resi più autorevoli, non lasciati in preda di chi li usa come taxi per fini personali (nell’ultima legislatura quasi un terzo dei parlamentari cambiò casacca); vanno finanziati adeguatamente, come in tanti altri paesi europei. La loro vita interna va integrata con nuove forme sociali di comunicazione attiva fra i cittadini, come suggerisce lo storico inglese Martin Conway, creando un modello «misto tra vecchio e nuovo», tra forme organizzate e spontanee che garantiscano – secondo i tempi nuovi - l’attuazione dell’ art. 49 della nostra bella Costituzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Nicola Zoller, collaboratore della storica rivista socialista “Mondoperaio”



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