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Tragedie italiane nel Friuli martoriato 0 NICOLA ZOLLER DEL 12 FEBBRAIO 2024 CULTURA Commento al libro di Carlo Sgorlon “La malga di Sîr”, Mondadori Carlo Sgorlon è stato uno dei primi scrittori a “rompere il silenzio sulle sofferenze italiane” sul fonte nordorientale, come ha rilevato lo storico progressista Gianni Oliva: Sgorlon nel 1992 aveva pubblicato “La foiba grande”, purtroppo in un clima in cui chi “azzardava qualche riferimento a tali sofferenze era immediatamente sospettato di nostalgie fasciste”. Mano a mano le sensibilità sono cambiate ed ora – con la “Giornata del Ricordo” – è possibile inserire la tragedia delle foibe istriane negli orrori del Novecento, a partire dalle angherie sanguinarie dei nazionalismi estremisti di destra e sinistra. Sgorlon scrisse qualche anno dopo un romanzo storico ispirato a fatti realmente accaduti, dedicato alla tragico assassinio da parte dei partigiani comunisti italiani – ma agli ordini di Tito – dei partigiani della Brigata Osoppo, formazione di orientamento cattolico e laico-socialista: fra il 7 e il 18 febbraio 1945 intorno alla malga di Porzûs, furono trucidati tra gli altri il fratello di Pier Paolo Pasolini e lo zio di Francesco De Gregori. La Osoppo rivendicava la primazia della bandiera italiana su quella della stella rossa titina, assegnando alla Resistenza un compito di nuovo risorgimento nazionale. Sgorlon scrisse un racconto toccante, il luogo dell’eccidio è sempre una malga friulana,ora denominata nel romanzo come “La malga di Sîr”. In questi giorni di “Ricordo” può essere inserito come testimonianza letteraria che integra tante dimenticanze. … Dunque, Marianna, nel Friuli travagliato dalla seconda guerra mondiale scatenata dai nazi-fascisti, amava Fabio ma questi preferì la rivoluzione proletaria e… altre donne. Marianna sposò il fratello di Fabio, Urbano, il quale finì nelle steppe russe e nel gulag: a casa venne recapitata la sua piastrina, come ultimo atto di pietà e di memoria per il soldato morto. Intanto gli stupratori – incessantemente all’opera in ogni occasione in cui gli uomini si cingano di un’arma – ingiuriano Marianna. Lei resistette alla vergogna ma poi finirà preda dello scherno dei bacchettoni. Per sentirsi viva amò ancora – furtivamente – come si poteva amare in tempo di guerra, e di guerra civile. Finì la guerra. Fabio, il rivoluzionario, scoperse che anche la rivoluzione aveva fallito. La “sua” rivoluzione era sempre diversa da quelle che vedeva realizzate: era come Moby Dick, la balena bianca di cui si conoscevano sempre le tracce e le segnalazioni ma che non si riusciva mai a raggiungere. La rivoluzione “realizzata” era invece un’orgia burocratica, militaresca e terroristica, che nelle sue diramazioni – fin su la Malga di Sîr – giungeva ad assassinare “i compagni di lotta per la libertà” pur di imporre il proprio orripilante, invasivo sigillo sugli eventi: come fecero i comunisti di allora contro i partigiani di altra fede politica. Inaspettatamente sopravvisse Urbano. Sfuggito alle spire della Medusa, sdentato e quasi calvo ritornò da Marianna: si accolsero e si risanarono. Anche gli “antichi pensieri” – dopo la gelata totalitaria e guerresca – tornarono a scorrere nella mente di quell’uomo colto e mite: egli si chiese invano perché e dove se ne fossero andati per un così lungo periodo. Si rispose che, come i bambini, anche i pensieri dovevano avere un loro nascondiglio, inaccessibile alle ricerche della ragione umana. torna in alto |