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https://www.avantionline.it/un-elogio-incompiuto-della-prima-repubblica/ NICOLA ZOLLER DEL 22 MARZO 2022 UN ELOGIO ‘INCOMPIUTO’ DELLA PRIMA REPUBBLICA Commento schietto al libro di Stefano Passigli (ed. La nave di Teseo) Carlo M. Cipolla – uno dei maggiori sto-rici economici internazionali – ha scritto in un manuale edito nel 1995 da “Il Sole 24 Ore” e Mondadori: «Il bilancio economico del quaran-tennio postbellico è, in termini quantitativi, a dir poco lusinghiero. Certo, nulla di simile era stato – anche lontanamente – nelle speranze dei padri della Repubblica. Un reddito naziona-le cresciuto di circa cinque volte dal 1950 al 1990 colloca l’Italia fra i Paesi a più elevato te-nore di vita nel mondo» . Il manuale è scritto in forma chiara e semplice tanto che potrebbe essere comodamente adottato e letto fin dai primi gradi delle scuole italiane ed è program-maticamente intitolato “Storia facile dell’economia italiana dal Medioevo ad oggi”. Si resta invece stupiti dalle non agevoli tortuosità grazie alle quali il politologo Stefano Passigli – docente universitario e parlamentare dapprima con il PRI e dopo il 1994 con l’area di centrosinistra – cerca di frammentare la storia della Prima repubblica, limitandola al periodo che scadrebbe nel 1978 con la morte di Aldo Moro, mentre tutta la pubblicistica anche ac-cademica definisce 'Prima repubblica' quella compresa tra il 1946 e il 1994. L’intento è chiaramente polemico: sic-come il politologo intende fare un “Elogio della Prima repubblica” (questo è il titolo del libro edito da La nave di Teseo a fine 2021) egli pro-verebbe a rendersi presentabile al circuito me-diatico e giudiziario che ha demolito partiti e istituzioni democratiche tra il 1992 e 1994. E allora per lui la Prima repubblica finisce nel 1978, al massimo potrebbe spingersi – si badi bene – al 1984, anno della morte del segretario comunista Enrico Berlinguer. Comunque sia chiaro, sentenzia: «il decennio degli anni Ottanta dei governi Craxi e Andreotti non ha nulla da spartire con la Prima repubblica». Forse il suo è un tentativo di penetrare nelle menti prevenute di tanti detrattori della storia repubblicana conclusasi con l’operazione 'Mani pulite': non si poteva parlar bene di tutta la Prima repubblica, smentendo la ragion d’essere della citata operazione che considera-va detestabile quella fase politica, specialmen-te quella dell’ultimo decennio! Di qui la 'frammentazione' proposta dal politologo, che gli permette di escludere i pluricondannati anni Ottanta, per poter meglio elogiare i decenni precedenti, senza il pesante assillo di finire sotto gli strali dei sostenitori di 'Mani pulite' o, meglio, di coloro che – sul piano politico, professionale, mediatico, economico e finanziario – hanno grandemente beneficiato di quella operazione. E allora per un qualche tratto assecondiamo Passigli e la sua ricostruzione che comunque contiene giudizi che contraddicono la veemente campagna denigratoria che si è estesa su tutto l’arco del primo cinquantennio repubblicano. Ecco alcuni passi conclusivi del saggio di Passigli che, dopo sei dettagliati capitoli, rappresentano il 'sugo' del suo Elogio. «I governi della Prima repubblica misero mano a significative riforme dell’intero sistema del welfare ampliando previdenza e ammortizzatori sociali, e – in particolare i governi del centro-sinistra – promuovendo importanti innovazioni in materia di fondamentali diritti civili, peraltro disciplinati dalla nostra Costituzione, quali il di-ritto di famiglia, il diritto all’istruzione e il dirit-to alla salute». «La Prima repubblica ha co-munque lasciato in eredità un paese ancora percorso da squilibri e disuguaglianze, ma infi-nitamente più ricco ed equilibrato che in pas-sato», in definitiva «la Prima repubblica ha rappresentato un ineguagliato momento di ''buon governo''». Viceversa, commenta anco-ra Passigli riferendosi al 2021, «l’Italia odierna è meno giusta, meno stabile e nutre meno spe-ranze nel futuro dell’Italia della Prima Repub-blica». La conclusione di Passigli è perfino sperticatamente elogiativa: «Spero che questo libro abbia sufficientemente dimostrato che dobbiamo alla volontà e alla capacità della grande classe politica della Prima repubblica non solo scelte di politica internazionale che hanno garantito al nostro paese sicurezza e libertà, ma anche decisioni che hanno prodotto crescita economica e diffusione del benessere, e una stagione di riforme che ha assicurato maggiore eguaglianza sociale e lo sviluppo dei diritti civili». Dobbiamo considerare che tanta inten-sità emotiva può essere sorta per far fronte al superficiale dileggio e alla smemoratezza degli italiani: «Siamo un popolo – annota infatti l’autore – senza memoria o almeno senza una memoria condivisa». Appare dunque meritorio l’ampio lavoro di Passigli che rinverdisce la memoria degli innumerevoli detrattori. Assolu-tamente meno comprensibile è il suo tentativo di non considerare la Prima repubblica nel suo complesso. Inevitabilmente la storia non segui-rà la sua cervellotica distinzione in due periodi quasi contrapposti e i suoi giudizi positivi fini-ranno – bon gré mal gré – per riversarsi su tut-to l’arco tradizionale della Prima repubblica come fatto da altri studiosi. Abbiamo già riferito all’inizio la valuta-zione del professor Cipolla. Ora possiamo dare la parola a due competenti studiosi di Bankita-lia, L. Federico Signorini e Ignazio Visco, quest’ultimo attuale Governatore della Banca d’Italia, che nel saggio “L’economia italiana” (il Mulino, 1997) hanno scritto: «Tra il 1970 e il 1995, il prodotto reale pro capite è cresciuto del 75 per cento in Italia, contro il 62 per cento della Francia, il 59 per cento del Regno Unito, il 55 per cento degli Stati Uniti, il 32 per cento della Germania». E commentano: «L’Italia è dunque una delle maggiori economie al mondo per dimensione del PIL; ha avuto anche negli ultimi venticinque anni una crescita soddisfa-cente rispetto agli altri paesi industriali; ha un reddito pro capite elevato e una ricchezza cre-scente». Come si nota i due autori, scrivendo nel 1997, si riferiscono pienamente anche agli anni Ottanta del 1900. Perché mai Passigli si sarà ostinato nel dissociare quegli anni dal suo 'elogio' repubblicano? Inoltre, sottovalutando questo periodo forse per riverire chi aveva co-niato per quel periodo lo spregevole epiteto di 'Milano da bere', Passigli finisce per ignorare che i governi Craxi (1983-1987) riuscirono a domare l’inflazione riportandola dal 16 per cento del 1982 al 4 per cento del 1987. In que-sta battaglia antinflazionistica rientrerà anche il referendum sulla scala mobile promosso dal PCI e appoggiato dal MSI: col governo Craxi si schierarono anche i sindacati CISL, UIL e la componente socialista della CGIL: l’iniziativa comunista, appoggiata dalla destra, «sottopo-sta a referendum – ricordano Signorini e Visco – fu respinta nel giugno 1985». Merita anche un nostro inciso la martellante questione del debito pubblico: è vero che nel corso degli anni ’80 c’è stato un notevole incremento dovuto a molteplici pressioni di rappresentanze partiti-che di tutto l’arco costituzionale, di istanze sin-dacali e corporative, di componenti della co-siddetta società civile. Eppure i dati sono que-sti: alla fine del 1987, ultimo anno del governo Craxi, il rapporto Debito/PIL era del 89,1%; alla fine del 2013, ultimo anno del governo “lacri-me e sangue” Monti il rapporto era salito ver-tiginosamente al 129%; per finire nel 2019, ul-timo anno pre-Covid al 134%. Insomma, beata repubblica degli anni Ottanta. Una ultima questione rilevante è stata inclusa nel saggio di Signorini e Visco: la lunghezza della vita – scrivono – «può essere utilizzata come utile indicatore delle condizioni generali di salute di una popolazione». Ebbene, se nel 1951 la speranza di vita il Italia era di 65 anni, «nel 1993 la speranza di vita alla nascita era pari a 77,6 anni in Italia (contro i 76 di USA e Germania)» con un allungamento «di quasi sei anni» proprio a cavallo tra 1980-1990. A dare un ulteriore scossa ai vuoti di memoria sopra denunciati a proposito di quan-to si stava meglio quando a detta dei detrattori – Passigli compreso – si doveva a tutti i costi stare peggio, è venuto il professor Fadi Hassan, nato a Pavia da genitori siriani, docente di ma-croeconomia internazionale presso il Trinity College Dublin. Questi – considerando che il dato per cogliere la traiettoria economica del nostro Paese è il PIL pro capite in relazione agli Stati Uniti a parità di potere d’acquisto – ha rammentato sul “Corriere della Sera” del 6 a-prile 2017 che dopo gli 'strapazzati' anni Ot-tanta dei governi Craxi e Andreotti (come li de-finisce Passigli) «nel 1991 il nostro reddito pro capite era l’86% di quello americano», mentre a seguito delle variegate cure post-Mani pulite della Seconda repubblica «nel 2016 è sceso al 63%; è lo stesso livello – commenta – che ave-vamo nel 1961: nell’ultimo ventennio siamo tornati indietro di 55 anni». Ci venga infine concesso un ulteriore nota che contraddice l’astioso distacco verso gli anni Ottanta di Passigli, dovuto – riteniamo – al desiderio inconfessato di segnalarsi ai faci-tori e agli eredi dell’operazione 'Mani pulite' come loro alleato nella ''lotta alla corruzione''. Eppure, a quest’emblematico proposito, Carla Collicelli, vicedirettore del CENSIS dal 1993 al 2015, ebbe a dichiarare esattamente quanto segue: «Il periodo fino al 1992 indicato come più corrotto è anche quello nel quale l’Italia è cresciuta di più. Ora, siccome è senz’altro vero che è la corruzione a bloccare lo sviluppo nei paesi poveri, l’Italia non doveva essere poi così corrotta» (cfr. giornale “l’Adige” del 22 agosto 2002, in risposta a Marco Travaglio e Gian Car-lo Caselli). Quest’ultimo argomento introduce an-che ai motivi del crollo dei partiti tra il 1992 e 1994. «L’interpretazione più diffusa – scrive Passigli – è che tale crollo sia stato determinato dall’intervento della magistratura». È anche la nostra più convinta opinione, come parimenti aderiamo alla constatazione di Collicelli sulla corruzione. Esisteva invece, questa sì, la pratica del finanziamento irregolare dei partiti: un problema non solo italiano ma europeo; ma mentre in Europa per superarlo si seguì la stra-da del confronto istituzionale, in Italia si preferì la via della criminalizzazione giudiziaria che portò alla fine della Prima repubblica. Passigli con nonchalance sorvola sulla questione per ritenere che «le reali ragioni del crollo del si-stema dei partiti tradizionali vadano piuttosto viste in due fattori concomitanti: il venir meno della minaccia dell’URSS e il drastico cambia-mento del sistema elettorale con il passaggio – grazie all’adozione della legge Mattarella nelle elezioni del 1994 – dal sistema proporzionale a un sistema misto ma per tre quarti maggiorita-rio». Ora, è giusto considerare questi due fattori, ma come concause, restando primaria l’estrema invadenza giudiziaria, inconsueta nei regimi democratici occidentali. Tuttavia è significativo che Passigli annoveri il fattore URSS: la contrapposizione all’Unione Sovietica è una caratteristica dei partiti democratici di tutta la Prima repubblica, sia nella sua versione che si ferma incredibilmente al 1978 sia in quella più convenzionale che si conclude nei primi anni Novanta. Ed è significativo che due personalità si siano ben segnalate rispetto ad altre: dapprima De Gasperi, atlantista ed europeista della prima ora; e poi Craxi, fiero sostenitore del dissenso antisovietico, in appoggio al sindacato polacco Solidarność, ai dissidenti cecoslovacchi e russi, tra cui segnaliamo Jiří Pelikán e Andrej Sacharov, e infine artefice insieme al cancelliere socialdemocratico tedesco Helmut Schmidt della risposta occidentale ai missili SS-20 sovie-tici. Il 'cessato' pericolo sovietico – o averlo percepito allora come tale (con un grande disastroso abbaglio, visto che nel secondo e terzo decennio del XXI secolo il leader russo Vladimir Putin ha ripreso con brutalità la contesa con l’Occidente) – può aver fatto cadere la fiducia nazionale verso i tradizionali partiti democratici. Ma domandiamo: perché in tanti altri Paesi europei questo non è accaduto? E perché l’unico partito che doveva soccombere al crollo del comunismo, il PCI, è uno dei pochi partiti che attraverso successive filiazioni in PDS-DS-PD è sopravvissuto? L’ex magistrato Tiziana Perenti in una intervista a “Il Giornale” del 22 febbraio 2022 ritorna sulla causa principale, quella giudiziaria, considerata invece secondaria da Passigli: quel partito fu salvato perché il pool 'Mani pulite' «aveva bisogno di un sostegno politico» mentre stavano procedendo alla demolizione di tutti gli altri partiti. Anche l’altro fattore indicato da Passigli come causa del crollo dei partiti – la fine del sistema elettorale proporzionale – include significativamente tutto l’arco che va dal 1946 al 1994: con buona pace della bizzarra distinzione che fermerebbe la Prima repubblica al 1978. Tutt’altro che bizzarre sono invece le puntuali critiche che Passigli muove alle nuove formule elettorali para-maggioritarie, accompagnate da liste bloccate con candidati imposti dai capi partito. L’autore dapprima rammenta quanto succedeva in passato: «Al contrario di quanto avviene oggi – argomenta – la selezione della classe politica non era in Italia – in particolare nella Prima repubblica – frutto di una mera cooptazione per volontà di ristrette oligarchie di partito, ma sottoposta al vaglio popolare, sia che questo avvenisse attraverso il voto di preferenza (per la Camera dei Deputati) sia con il ricorso ai collegi uninominali» per il Senato. In nota tiene a precisare: «Nella massima parte dei casi, il cursus honorum prevedeva che la candidatura in un collegio uninominale al Senato venisse attribuita o a personalità di grande rilievo o a parlamentari già eletti in precedenza alla Camera e che avevano dunque riportato in passato un elevato numero di voti di preferen-za. Anche nel caso dei collegi uninominali la massima parte degli eletti era così il risultato di una selezione popolare e non di una coopta-zione da parte delle segreterie di partito». In-vece ora «a riprova della ipocrisia della nostra attuale classe politica, l’essere ricorsi alle liste bloccate nelle ultime quattro elezioni costitui-sce una tale negazione della democrazia rap-presentativa da impedire da sola a qualsiasi esponente della Seconda repubblica il diritto di volgere critiche alla classe politica della Prima repubblica, la cui legittimità riposava almeno su di un effettivo mandato popolare». E qui Passigli si dovrà riconciliare un poco con noi: non potrà negare che tale legittimità si poteva estendere anche alla Prima repubblica post-1978, quella che si protrasse per tutti gli anni Ottanta fino alle elezioni del 1992. Due ultimi non marginali temi contri-buiscono a dichiarare assurda la ripartizione grazie alla quale Passigli finisce per sostenere una decisa distinzione tra primo centro-sinistra e il 'pentapartito', la formazione governativa che dal 1981 al 1992 ha associato il Partito Li-berale Italiano ai partiti storici del centro-sinistra: DC-PRI-PSDI-PSI. Eppure è lo stesso Passigli a fornirci la motivazione che non ci de-ve essere stato uno iato reale rispetto alla for-mula precedente impostasi per tanti anni tra il 1960 e il 1980: era sbagliata la precedente po-sizione assunta dal PLI di «porsi all’opposizione dei governi aperti al Partito Socialista, assu-mendo così – contrariamente ad altri partiti liberali europei – un inevitabile profilo conservatore… Sia in Germania nell’ultimo dopoguerra sia in Gran Bretagna fin dalla prima guerra mondiale, liberali e socialisti hanno governato insieme. In Francia radicali e socialisti hanno formato coalizioni sin dagli inizi del Novecento». Spesso si associa la sopracitata formula di 'pentapartito' al cosiddetto CAF, ad un accordo di potere tra Craxi-Andreotti-Forlani. Invece il primo governo 'pentapartito' fu nel 1981 quello presieduto – su incarico del Capo dello stato Sandro Pertini – da Giovanni Spadolini, il primo presidente del Consiglio laico ad ottenere tale nomina come esponente del PRI, il partito che sarà anche di Passigli. Altro conclusivo tema legato alla fissa-zione del termine della Prima repubblica con la morte di Aldo Moro e con la fine della politica di 'solidarietà nazionale' che dal 1976 al 1978 vide il PCI appoggiare dall’esterno due governi Andreotti, è il rimpianto che Passigli fa emer-gere per quella effimera stagione, presentando quella successiva – che guarda caso poi si di-spiegò col primo governo 'pentapartito' del re-pubblicano Spadolini – come un periodo di de-cadenza. E invece è il PCI che si ridusse in una posizione decadente e retrograda, che lo ripor-tò all’opposizione nella primavera 1979: essa è descritta plasticamente dall’intervento alla Camera dei deputati di Giorgio Napolitano che il 13 dicembre 1978 fece una dichiarazione di voto avvilente quando sostenne con un’enfasi retriva l'opposizione del PCI all'ingresso dell'I-talia nello Sme, il sistema monetario europeo dal quale è poi nato l'euro. Al termine di questa nota si può affer-mare che le buone ragioni del centro-sinistra storico e pentapartitico siano state dimostrate dagli atti e dalle cifre riportate. Peccato che Passigli si sia fermato al 1978, escludendo dalla fase positiva di questo ciclo politico tutti gli anni Ottanta che hanno visto all’opera – per incarico di un ammirato presidente come Sandro Pertini – anche i governi guidati da due laici come Spadolini e Craxi che contribuirono significativamente a promuovere l’Italia nel 1987 come sesta potenza industriale del mondo! Ci dispiace davvero e ci domandiamo come abbia fatto, nel presentare il suo libro, a ringraziare «per l’accuratezza della loro lettura e l’acutezza delle loro osservazioni» due perso-nalità come Giuliano Amato e Giorgio La Malfa, che negli anni Ottanta tanto disdegnati da Passigli furono, il primo, collaboratore davvero acuto (qui il termine è molto pertinente) di Craxi nella sua azione governativa e politica, mentre il secondo fu ministro del Bilancio e segretario del PRI, un partito partecipante ai governi di tutto quel decennio. Rileggendo i miei appunti stesi nel corso della lettura di questo libro, resto ancora incredulo; poi trovo conferma di aver colto bene le tesi di Passigli rivedendo il lungo titolo dell’articolo del “Corriere della Sera” del 3 febbraio 2022 che così recita: «Il saggio di Passigli anticipa al caso Moro l’epocale crisi di sistema - L’assassino non fu Mani pulite: la Prima Repubblica morì nel 1978». E riprendendo in mano il libro trovo in una noterella prima sfuggitami il compiacimento di Passigli nel veder confermata la sua ricostruzione con quella analoga di Walter Veltroni nel suo nuovo saggio “Il caso Moro e la Prima repubblica”: anche per lui «la Prima Repubblica finisce con la morte di Moro». È la triste conferma che la manipolazione della cronaca storica a fini politici è sempre possibile. Ma costoro hanno ragione? Gli storici nel prossimo futuro li contraddiranno, impe-dendo che facciano seri proseliti. Ma fin d’ora, noi, che nell’agorà della Seconda repubblica siamo seduti dalla parte del torto, possiamo nondimeno sbertucciare le loro presunte ra-gioni e la loro sicumera. Come qui abbiamo provato a fare. torna in alto |