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Tangentopoli, 30 anni dopo UN LASCITO DISASTROSO PER IL PPAESE -di Nicola Zoller, giornale l'ADIGE, 19 febbraio 2022 Aveva iniziato lo stesso capo della procura di Milano Francesco Saverio Borrelli a dare un giudizio impietoso sull’operazione Mani pulite. Nel 2011 intervenendo dalla platea durante la presentazione di un libro, chiese «scusa per il disastro seguito a Mani Pulite; non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Nel raccontare questo fatto qualche anno dopo, “Il Sole 24 Ore” aggiunse un commento politico facendo intendere che al magistrato Borrelli non piaceva il governo di centro-destra allora ancora in sella: e invece a lui probabilmente sarebbe piaciuto un governo più in linea con la sua azione giudiziaria. Noi notoriamente siamo persone radicate nel centrosinistra storico e non possiamo essere accusati di simpatie destrorse. Eppure quella battuta di Borrelli svela la forte motivazione di potere che mosse nel primi anni Novanta la procura di Milano: «rivoltare l’Italia come un calzino», come affermò un altro membro del pool giudiziario, mettendo al centro di tutto la magistratura inquirente, al di là e al di sopra dei partiti, di centro, destra o sinistra che fossero. Comunque sia fu un disastro, come affermato da Borrelli, tanto che oggi, nel febbraio 2022 è un altro influente magistrato, Gherardo Colombo a dichiarare il 15 febbraio a “La Repubblica”: invece che ricordare il 17 febbraio per l’arresto di Mario Chiesa, quello che avrebbe dato il via all’operazione Mani pulite, «forse sarebbe il caso di ricordare il 17 febbraio del 1600 quando è stato bruciato a Campo de’ Fiori Giordano Bruno piuttosto che Mani pulite; perché secondo me non è cambiato molto». Da laici impenitenti, non possiamo che plaudire alle considerazioni di Colombo, tranne però che nella conclusione finale, perché da allora è cambiato tutto, come rivela con rigore storico Simona Colarizi, nel suo recente libro “Passatopresente. Alle origini dell’oggi 1989-1994” (Laterza, 2022), spiegando che fu proprio allora «che si generò l’onda populista che ancora oggi stravolge la nostra convivenza civile». Colombo probabilmente voleva riferirsi alla corruzione, ma fosse anche in campo solo questo aspetto, sarebbe una valutazione impropria. Carlo M. Cipolla - uno dei maggiori storici economici internazionali – ha scritto: «Il bilancio economico del quarantennio postbellico è, in termini quantitativi, a dir poco lusinghiero. Certo, nulla di simile era stato - anche lontanamente - nelle speranze dei padri della Repubblica. Un reddito nazionale cresciuto di circa cinque volte dal 1950 al 1990 colloca l’Italia fra i Paesi a più elevato tenore di vita nel mondo». Anche sulla base di questi dati Carla Collicelli, vicedirettore del CENSIS poteva dichiarare esattamente quanto segue: «Il periodo fino al 1992 indicato come più corrotto è anche quello nel quale l’Italia è cresciuta di più. Ora, siccome è senz’altro vero che è la corruzione a bloccare lo sviluppo nei paesi poveri, l’Italia non doveva essere poi così corrotta» (cfr. giornale “l’Adige” del 22 agosto 2002). Esisteva invece, questa sì, la pratica del finanziamento irregolare dei partiti: un problema non solo italiano ma europeo; ma mentre in Europa per superarlo si seguì la strada del confronto istituzionale, in Italia si preferì la via della criminalizzazione giudiziaria. Con l’esito descritto dagli stessi Borrelli e Colombo. Ma è bene anche commentare più ampiamente la considerazione di Colombo. «Non è cambiato molto»? Tanto invece è cambiato! In una ricerca che ho svolto pochi anni orsono “La caduta di Tangentopoli (1993): come un paese può tornare indietro di mezzo secolo” (chi vorrà potrà leggerla per intero qui: www.avantionline.it/la-caduta-di-tangentopoli-1993-come-un-paese-puo-tornare-indietro-di-mezzo-secolo-2) scrivo: Il professor Fadi Hassan, nato a Pavia da genitori siriani, docente di macroeconomia internazionale presso il Trinity College Dublin – considerando che il dato per cogliere la traiettoria economica del nostro Paese è il PIL pro capite in relazione agli Stati Uniti a parità di potere d’acquisto – ha rammentato sul “Corriere della Sera” del 6 aprile 2017 che «nel 1991 il nostro reddito pro capite era l’86% di quello americano, nel 2016 è sceso al 63%; è lo stesso livello - commenta - che avevamo nel 1961: nell’ultimo ventennio siamo tornati indietro di 55 anni». Cosa insegna questa storia, al pari di tutte le storie? Insegna – come ribadisce il politologo Angelo Panebianco – «a cercare lumi per comprendere cosa sia meglio fare nel presente». Comprendendo, ad esempio, che le operazioni mediatico-giudiziarie con finalità estranee alla giustizia giusta ma legate alla rivendicazione di un giustizialismo sommario a vantaggio della primazia della propria casta o di una parte politica, possono essere dannose per la stabilità democratica ed economica del Paese. Nicola Zoller, segretario Psi del Trentino-Alto Adige torna in alto |