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AGITU E IL MONDO MOSTRUOSO -di Nicola Zoller Giornale TRENTINO, 13 gennaio 2021 La preoccupazione maggiore della sorella e del fratello di Agitu, appena giunti in Trentino, è stata quella di raccomandare che la sua memoria non venga inquinata, “che non se ne faccia brandelli: Agitu resti come esempio positivo, che quello che ha fatto rimanga valorizzato senza che il delitto possa in qualche modo inquinare il suo ricordo”. Hanno anche ringraziato “tutti i trentini, la gente mochena di Frassilongo, e le istituzioni”, assieme alla comunità etiope, congiuntamente all’ambasciata etiope che ha collaborato ai contatti, anche in vista del rimpatrio della salma nella terra natale, in Etiopia. Forse qualcuno di noi non è stato all’altezza di questo equilibrio dimostrato dai famigliari di Agitu, i quali – sofferenti e sconvolti più di altri per la tremenda perdita della sorella – hanno chiesto che si raccontasse soprattutto della “gioia e positività della sua vita qui in Trentino”. Purtroppo risuonano ancora troppe frasi fuoriposto che richiamano l’ostilità, o la non vicinanza, dimostrata da taluni verso Agitu. Invece ha usato parole giuste Walter Pruner, difendendo la stessa terra mochena che Agitu aveva scelto come una meta, “un luogo originale ma normale”, con le sue “naturali fragilità” ma a cui non può essere applicata la definizione di “razzista”. C’è stato finalmente un articolo buono e onesto anche sulla stampa nazionale, e non poteva che essere una scrittrice con vena poetica a farlo, Dacia Maraini. Ha raccontato di Frassilongo, “il piccolo paese che ha avuto all’inizio qualche perplessità, ma poi, vista la gentilezza, la disponibilità e l’intelligenza costruttiva dell’ospite, ha finito per accettare Agitu con simpatia e affetto”. Poi anche Frassilongo è un luogo del mondo dove può succedere l’inosabile, dove un migrante – venuto anch’esso dall’Africa – può uccidere la persona amichevole che l’ha accolto; dove la violenza sessuale maschilista si manifesta – spiega Maraini – come “un atto di dominio: io ti umilio colpendoti nel luogo sacro dove nasce la vita”. Ma quella mano spietata – io credo – è il segno di un male ancor più profondo: è la bestialità che alberga ancora nell’umanità. Se abbiamo un autentico sentimento morale comprendiamo che quell’azione è una mostruosità del mondo. Perciò la malvagità dell’altro, che pure resta dell’altro, non ci appare totalmente estranea. Non è la malvagità di un alieno o di un nemico: è la malvagità dell’esistenza, delle cose, del genere umano. Riusciamo a fronteggiarla con l’amore, come direbbe il messaggio religioso; con la solidarietà, come proviamo ad aggiungere più sommessamente e laicamente noi. Nicola Zoller, collaboratore delle pagine letterarie della storica rivista “Mondoperaio” torna in alto |