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Montanelli, estremista per forma mentis
17.6.20

Montanelli, maestro di estremismo, non di giornalismo
-di Nicola Zoller, giornale TRENTINO, mercoledì 17 giugno 2020, p.1 s.
(...se qui c’è una morale, è questa: bisognerebbe essere miti, sempre).
http://www.avantionline.it/montanelli-maestro-di-estremismo-non-di-giornalismo/

Si guarda il dito, mentre si dovrebbe scrutare la luna che quel dito indica. Per Indro Montanelli si biasima l’attacco alla sua statua. Giusto, i vandali sono spregevoli. Ma si sorvola sul resto di Montanelli, come è stato fatto per anni, per passarlo alla storia come nume tutelare di più generazioni di giornalisti. Ci si dilunga a spiegare che il suo ‘affaire’ con la ragazzina africana era una consuetudine dei tempi, assai incivili anch’essi tuttavia. Si sorvola invece sulla questione politica. Montanelli aveva da anni l’uso della ragione quando partecipò alla guerra coloniale etiopica del 1936 e alle cruenti carneficine. Lascia ancor più amareggiati l’incredibile sua ‘critica’ alla politica coloniale del fascismo, ma non per considerarla troppo sanguinaria: viceversa, per ritenerla troppo tenera. Fa l’oltranzista. Scrive sulla rivista “Civiltà fascista” del gennaio 1936 : “La nostra condotta verso queste popolazioni è straordinariamente blanda… Il soldato italiano bene è che ecceda in dignità razziale… Non si sarà mai dei dominatori , se non avremo mai la coscienza esatta della nostra superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può. Non si deve”. Aggiunge inverecondo: “Niente indulgenze, niente amorazzi”(povera ragazzina nera…). Quanto alla guerra, guai a terminarla presto con un trattato di pace qualsiasi: “Nessuno di noi si augura che finisca. Noi soldati non abbiamo che un desiderio: continuare, afferrare questo nemico fantomatico e stroncarlo”. Un frasario incendiario a cui si stenta a credere se non si legge il testo originale che allego. É un prevedibile dispiacere vederlo finire anch’esso nel cestino di coloro che magnificano il loro maestro in eterno. Ma aveva la ‘forma mentis’ bacata di un maestro d’estremismo, che non poteva diventare maestro di giornalismo! Dirlo dopo aver riletto quel frasario può diventare scontato. Ora però mi viene un dubbio. Anche Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari hanno scritto spropositi - se non proprio infamie – di quel genere: erano solo un po’ più giovani. E allora, cosa pensare dei nostri campioni di giornalismo con un passato così crudele, come dei tanti intellettuali che la storica Mirella Serri descrive in un suo studio come “i redenti che vissero due volte”? Furono tecnicamente bravi, ma corrotti dal clima dittatoriale e umanamente meschini, come molti di noi. Solo pochi si salvarono, e in pochi anche oggi si salvano dall’essere volubili secondo le situazioni. Se qui c’è una morale, è questa: bisognerebbe essere miti, sempre.
Nicola Zoller (Rovereto, tel. 338 2422592)
-collabora alle pagine letterarie della storica rivista “Mondoperaio”



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