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Il cronista (con mascherina) davanti al Trivulzio, il nuovo Brosio di Tangentopoli • Il Foglio Quotidiano 22 Apr 2020 • Maurizio Crippa Milano. L’entrata è sempre quella / ma portiere io non ti conosco. O per cambiare cantautore: come un istante déjà vu. Non pareva vero, ai cronisti nostalgici di Mani pulite e ai pm, e a tutti quelli che hanno come impresso nelle cellule cerebrali lo schema unico del reato e della giustizia spiccia e simbolica, di poter tornare lì, nel battistero di tutte le tangenti. Dove tutto iniziò. Ventotto anni fa, ma sembra ieri. Tornare alla Baggina, il Pio Albergo Trivulzio, la Rsa ora divenuta obitorio di una “strage” generata, va da sé, dal malaffare. E mettersi lì, con la mascherina d’ordinanza e il gelato in mano, davanti alla facciata giallo Parma del glorioso palazzo di inizio Novecento. Dove i casi di anziani morti per il Covid-19 sarebbero circa duecento su mille ricoverati. E dunque scandalo, carte sequestrate, audio rubati, sirene della polizia come fosse una retata. Tg dopo tg. L’assembramento di giornalisti sul marciapiede a ripetere le stesse poche informazioni – che non escono dal portone della Baggina, ma direttamente dalla procura (un classico del genere giudiziario). Indagini e accusati, e sentenze mediatiche già emesse da una narrazione che pare suggerire, appunto, la strada è sempre quella. Incuranti tutti quanti, ma soprattutto i cronisti, che negli ehpad di Seine-et-Marne i morti sarebbero più del doppio, e ottomila nelle case di riposo francesi. E lo stesso strazio in Gran Bretagna, ma là senza il rigonfiarsi delle inchieste mediatico-giudiziarie. Prima si accertano i fatti. Ma siamo a Milano e la notizia (con la sua evidente gravità, che non si starà a sottovalutare) deve diventare un racconto, una rappresentazione, una tragedia in mascherina recitata a favore di telecamera. I cronisti davanti alla cancellata, le postazioni ormai diventate fisse. Le interviste prese al volo da chi va e viene, il contorno di dolore. Troppo ghiotta è l’occasione di evocare lo scenario, di far rivivere il ricordo d’epoca. Ma quando una notizia è troppo insistita, frammenti di un quadro ancora scomposto, giocoforza si passa dalla cronaca alla narrazione, ingrediente per talk della sera o della mattina. Ieri mattina, davanti alla facciata elegante del Trivulzio, c’era, in mascherina, l’inviato di “L’Aria che tira”, il talk di La7. Nel grande vuoto. Con la parente di una vittima. Da studio, Myrta Merlino: “L’ho conosciuta l’altro giorno, la conosco bene” (non è colpa loro, e ci duole per loro: è la tv che trasforma le persone in comparse, nei “parenti delle vittime”). Altro collegamento: che succede? “Le tre volanti della polizia sono appena andate via… forse hanno consegnato nuovi avvisi di garanzia”. Ha colto al volo su Twitter un cronista di vecchia scuola come Carmine Fotia: “Quando ho visto il povero cronista con annessa mascherina davanti al Pio Albergo Trivulzio, come muta comparsa, ho pensato con orrore all’onda giustizialista del ’92”. Il cronista con mascherina e Baggina dietro alle spalle, più che Tangentopoli evoca in effetti il povero Paolo Brosio, l’icona più tragicomica di quell’ordalia oscena che fu Mani pulite in tv. Brosio praticamente costretto a vivere sulla banchina del tram davanti al tribunale, per i collegamenti (con folla di tricoteuse a fare pubblico). Incalzato con sadismo dalle domande da studio di Emilio Fede, al tempo non ancora approdato al garantismo adamantino d’epoca berlusconiana. Quell’immagine grottesca e però tragica, che si replica ora dinanzi al fondale del Trivulzio delle malefatte Covid, è l’immagine che deve entrare nella zucca della gente. Se non altro, perché è fissa nella testa dei giornalisti. Ma non è colpa solo dei tg e dei talk. Lunedì sera, su Rai 1, il programma d’approfondimento “Frontiere” era dedicato a: “Pio Albergo Trivulzio, da Tangentopoli a oggi”, aperto da uno spezzone di tg in bianco e nero. Poi la prima intervista di Craxi, quella famoso del “mariuolo”. Serviva? Era pertinente? C’era un anniversario? No. Ma come un istante déjà vu, l’importante è che il pubblico si rinfreschi “quella” memoria. torna in alto |