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CORONAVIRUS: Il populismo ha ucciso la politica

Il populismo ha ucciso la politica
MARCELLO SORGI
GIORNALE LA STAMPA - 27 Febbraio 2020, p.1 s.

Anche se non è detto, ancora, che possa portare alla nascita di un governo di salute pubblica (se ne parla da giorni, e probabilmente ne parleranno presto al Quirinale Mattarella e Salvini), ciò che sta accadendo in Italia a causa del coronavirus è qualcosa di mai visto. Se non fosse per il senso di responsabilità che sempre si deve mostrare in certi momenti, verrebbe da gridare: aiuto! Salvateci! Si salvi chi può! Sebbene non sia dato sapere dove e come, dato che man mano che l’Italia scala le classifiche del coronavirus, le frontiere si chiudono, diventiamo indesiderabili, chiusi qui, nel recinto dei propri confini, costretti nelle case piene di cibo e litri e litri di acqua minerale saccheggiati nei supermercati, circondati dal muro invisibile dell’ansia che il governo si ostina a inseguire, e in qualche caso a incoraggiare, mentre dal Colle scende un velo pesante di perplessità.
Si poteva, si doveva fare qualcosa di diverso? Certo. Invece di bloccare i voli diretti, e non quelli indiretti, dalla Cina, s’imponeva un controllo accurato di ogni cinese in arrivo in Italia da qualsiasi destinazione: non sarebbe stato razzismo, ma realismo. Il razzismo è semmai incoraggiato dal sapere che non tutti coloro che provengono dal continente malato, dove il virus si è manifestato per la prima volta, sono stati esaminati, così che da Nord a Sud, per strada, sugli autobus, nei supermercati, la gente si abbandona all’isteria contro chiunque abbia occhi a mandorla, incurante se si tratti di filippino, coreano, giapponese, e non di cinese.
Si poteva e si doveva immaginare che il blocco di gran parte delle attività di svago come cinema, teatri, stadi, e la messa al bando dei luoghi aperti al pubblico, come centri commerciali, aeroporti, stazioni, per non dire delle navi da crociera dove pure qualche caso di affezione da virus si è verificato, avrebbe comportato inutili generalizzazioni e la crisi dei rispettivi settori, esercenti, produttori e distributori cinematografici, compagnie teatrali e attori, armatori, operatori del turismo, albergatori, ristoratori, e la lista è destinata ad allungarsi: di questo passo, presto si fermeranno le fabbriche e perfino le esportazioni. D’altra parte, se solo si dà la sensazione che l’Italia è diventata ricettacolo del contagio, non ci viene più nessuno e nessuno vuol ricevere qualcosa proveniente dal Paese infetto.
Si poteva e si doveva, insomma, avere un atteggiamento più cauto, riflessivo, prudente? Ma sicuro. Anche se il premier Conte e i ministri del suo governo lo negano, riaffermando la linea dell’emergenza e della quarantena nazionale come l’unica possibile. Non è vero. Se fosse vero, dovremmo concludere che Francia, Germania, Inghilterra, dove l’incubo del virus ha avuto limitate conseguenze (cinquecento tamponi di controllo somministrati ai francesi, contro i quasi diecimila italiani), sono guidate da governi incoscienti, e invece non è così. Se si genera il panico, e se un piano d’emergenza radicale lo stimola, magari involontariamente; se si mette un numero verde che ciascuno può comporre per chiedere soccorso, e solo dopo ci si ricorda di raccomandare di telefonare unicamente se si avvertono chiari sintomi (tra l’altro, va ricordato, simili a quelli di un pesante raffreddore o di un’influenza), è chiaro che la gente corre a chiamare. Può sopravvenire una suggestione, questa sì, contagiosa: una serie di starnuti, il naso chiuso, un doloretto, possono diventare ragioni valide per farsi portare in ospedale con l’ambulanza da medici e infermieri in tute asettiche.
Conte e i ministri, che sull’emergenza si stanno giocando il posto, tuttavia, ribattono: non c’era altra strada, il verdetto di medici e scienziati era univoco, il rischio massimo, la sicurezza prima di tutto. Ma a parte il fatto che gli esperti, mai come in questi giorni presenti in tv, dicono tante cose differenti, un governo, se c’è, esiste per valutare, approfondire e decidere, non per farsi sostituire da rispettabili dottori, a cui pure va il plauso per essersi messi a disposizione e lavorare ininterrottamente da giorni e giorni. Altrimenti, mandiamo a governare gli esperti, e a casa il governo.
Nella storia recente della Repubblica, purtroppo, questo non è il primo caso di crisi sanitaria internazionale che mette a rischio la salute degli italiani. Il pensiero va a Chernobyl, l’incidente nella centrale nucleare sovietica del 26 aprile 1986, che generò una pericolosa nube radioattiva, avvelenando l’aria di mezza Europa. Anche allora la carenza di informazioni da parte russa, come oggi da quella cinese, fu colpevole. Il timore era forte. Gli scienziati - ma solo loro, il test non era aperto alla popolazione - misuravano il grado di radioattività delle suole delle scarpe, ricavandone dati allarmanti. Ma il governo si limitò a vietare per qualche giorno - e successivamente a sconsigliare - il consumo di lattuga, frutta e ortaggi, suggerendo in seguito di lavarli a lungo prima di mangiarli. Azzardo, incoscienza o niente di tutto ciò? La politica serve per questo. Ma di politico, in Italia, al tempo del populismo, è rimasto ben poco.




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