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GRETA, IL CLIMA E LA DECRESCITA -di Nicola Zoller Giornale "Trentino", 20 aprile 2019, p. 1 s. La giovanissima Greta ha riportato con grande efficacia all’attenzione mondiale – ora anche attraverso l’intercessione papale – la questione dei cambiamenti climatici. Una tematica rilevante, sostenuta e analizzata anche in tempi passati e più prossimi da tanti movimenti e pensatori. Qui vorrei darne una pur parziale testimonianza, proponendo delle riflessioni non passeggere, meditate attraverso la ricerca dell’economista e filosofo Serge Latouche descritta nel “Breve trattato sulla decrescita serena”. 1) Partiamo da due considerazioni. L’economista Nicholas G. Roegen ha sostenuto una verità incontrovertibile: «una crescita infinita è impossibile su un pianeta finito»; mentre Gandhi ha osservato che «il mondo è abbastanza grande per soddisfare i bisogni di tutti ma non abbastanza per soddisfare l’avidità di tutti, o anche di pochi». In verità, non è un problema solo di avidità. Ad esempio noi abitanti del Nord del mondo consumiamo troppo, «troppo grassi, troppo zucchero, troppo sale; siamo minacciati dal sovrappeso, rischiamo il diabete, la cirrosi epatica, l’eccesso di colesterolo e l’obesità». Sarebbe dunque molto meglio usare l’abbondanza in modo 'frugale'. 2) «La nostra 'sovracrescita' economica si scontra con i limiti della finitezza della biosfera… Ogni volta che bruciamo un litro di benzina, abbiamo bisogno di 5 metri quadrati di foresta per assorbire il CO2». In generale «lo spazio bioproduttivo consumato procapite dalla popolazione mondiale è in media di 2,2 ettari… Una civiltà sostenibile richiederebbe di limitarsi a 1,8 ettari a persona, ammesso che la popolazione attuale rimanga stabile. Inoltre, questa impronta media nasconde disparità enormi. Un cittadino degli Stati Uniti consuma 9,6 ettari, un canadese 7,2, un europeo 4,5, un francese 5,26, un italiano 3,8». E inoltre: «ogni americano consuma circa 90 tonnellate di materiali naturali vari, un tedesco 80, un italiano 50 (cioè 137 chili al giorno). In altre parole, l’umanità già consuma circa il 30 per cento in più della capacità di rigenerazione della biosfera. Se tutti vivessero come i francesi ci vorrebbero 3 pianeti, e 6 se tutti vivessero come i nostri amici americani». 3) È possibile un cambiamento in un contesto liberal-capitalistico? Latouche ricorda il programma del Partito socialdemocratico tedesco (SPD) del 1989, che prevedeva «la riduzione del tempo di lavoro settimanale a trenta ore su cinque giorni, a cui dovrebbe aggiungersi il diritto all’anno sabbatico e ai congedi pagati addizionali per i genitori di bambini piccoli e per parenti di persone bisognose di cure». La SPD sosteneva anche la necessità della decrescita: «Deve diminuire e scomparire quello che minaccia di distruggere le basi naturali della vita», tra cui il nucleare e, in parte, l’automobile privata. Tuttavia il programma si fondava sull’idea che la razionalità ecologica e la razionalità economica (cioè capitalistica) potevano coincidere, secondo la famosa strategia del win-win (tutti vincono). "Alla lunga – si leggeva – ciò che è ecologicamente irragionevole non potrà essere economicamente razionale… Le esigenze ecologiche devono diventare i principi di base dell’attività economica". 4) Queste intuizioni non sono state attuate, ma restano delle buone idee da coltivare. Occorre provare ancora con un programma ragionato e ragionevole. Spiega obbiettivamente Latouche: «La politica non è la morale e il responsabile politico deve fare dei compromessi con l’esistenza del male; la ricerca del bene comune non è la ricerca del bene assoluto ma quella del male minore, anche se il realismo politico non consiste nell’adeguarsi alla banalità del male ma nel contenerla all’interno dell’orizzonte del bene comune». Di conseguenza, qualsiasi politica ambientale - se non vuole sprofondare nell’estremismo violento oppure vanamente inconcludente - non può che essere riformista, e deve esserlo. Nicola Zoller (collaboratore della storica rivista “Mondoperaio” fondata da Pietro Nenni) torna in alto |