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PRAGA 1968
21 agosto 2018

SESSANTOTTO DAVVERO LIBERALE
- di Nicola Zoller
Giornale “Trentino”, martedì 21 agosto 2018, p.1

Cinquant'anni fa, tra il 20 e il 21 agosto 1968 i carri armati sovietici entravano in Cecoslovacchia per spegnere quella che era stata definita la "Primavera di Praga", una speranza di socialismo umanitario nel chiuso mondo comunista. "Il Sessantotto fu come un Giano bifronte - ha scritto recentemente Francesca Pini sulla rivista "Sette" - da una parte toglieva la libertà, come a Praga, e dall'altra la esaltava, come a Parigi, dove l'immaginazione andava al potere". In realtà il '68, anche quello "occidentale", pensato come libertario, manifestò pulsioni diverse, alcune delle quali - intrise di ideologismi marxleninisti e perfino stalinisti - confliggevano con il messaggio di liberazione tanto invocato: l'esaltazione del libretto rosso di Mao e della rivoluzione culturale cinese - che fu una macelleria politica infamante - faceva passare per liberatori i carnefici comunisti, tanto che la stessa Primavera di Praga fu guardata con indifferenza se non con disprezzo. Ce l'aveva ricordato Raymond Aron, il grande pensatore liberale francese che fu accompagnato nella sua opera da una costante simpatia per il socialismo democratico. Alla fine del secolo scorso aveva pubblicato un saggio - Il concetto di libertà- dedicato alla "nuova" sinistra rivoluzionaria, che serve ancor oggi a fare i conti col Sessantotto, o almeno serve molto a me che nel 1968 avevo tredici anni e, in sovrappiù, non appena arrivato all’età della ragione mi iscrissi, nell’ottobre 1972, ad una formazione non proprio rivoluzionaria - almeno secondo i canoni d’allora - come la Federazione giovanile socialista.
E’ piacevole trovare in questo liberale un atteggiamento aperto verso la Nouvelle Gauche, nonostante il dissenso esplicito con l’esperienza concreta dell’estremismo di sinistra. Ma Aron è un liberale autentico, che non si accontenta della libertà formale garantita dalla legge: “in alcune circostanze - rileva - è richiesto l’intervento dello Stato affinché la maggior parte degli individui se ne possa avvalere”; insomma, “gli individui devono possedere i mezzi per esercitare talune libertà”. Ecco, dunque, un liberale difendere i diritti economici e sociali che molti - in epoca di presunto liberalismo integrale - vorrebbero conculcare.
Si capisce dunque perché Aron non guardi con disprezzo al movimento che cerca di mettere in discussione l’autorità nell’impresa e nell’università: dare allo studente e al lavoratore, nella “città professionale”, gli stessi diritti del cittadino nella “città politica”, sarebbe un atto di autentico liberalismo. Ma Aron non può tranquillamente accettare che la lotta per limitare il potere costituito sia in mano a settari, animati “dall’inesorabile volontà dei giusti o dei puri” che ritengono di incarnare il proletariato e di essere gli unici a poterlo guidare verso la terra promessa: costoro si trasformano in “teologi della violenza” che, rifiutando il mondo “corrotto” e nella certezza di essere gli unici a possedere la vera fede, manifestano il loro pensiero attraverso il fanatismo. Così ben presto una lotta di liberazione si può trasformare in una impresa autoritaria per conquistare la guida del movimento rivoluzionario, e di lì il controllo del nuovo potere.
Può succedere dunque che la rivolta contro “la repressione, la manipolazione e l’alienazione” della società capitalistica, consumistica e paternalistica - per usare i termini di Herbert Marcuse - diventi il pallino di insoddisfatti e inesorabili romantici alla testa di una schiera di “ragazzi viziati in cerca di una causa da servire e di un despota da combattere”. E quando non è così, può succedere che “la ricerca della libertà pura sbocchi nell’atto gratuito, talvolta nella droga, talvolta nel ritiro lontano dall’ambito serio e da quello lavorativo, verso le foreste, i prati, i campi”.
Qual’ è l’alternativa? Per battere questi estremismi occorre una “resistenza” liberale, che non neghi la funzione positiva del conflitto nei cambiamenti sociali, nei rapporti tra i sessi e tra padri e figli, ma agevoli la sola vittoria possibile, cioè “il recupero liberale delle rivendicazioni libertarie, in parte realizzabili”.
Sì, tali rivendicazioni saranno realizzabili solo in parte. Chi vuole “tutto e subito” prepara una soluzione violenta. Viceversa, la “resistenza” di Aron non implica il rifiuto delle riforme possibili. Riforme che hanno come prima condizione la difesa della sintesi democratico-liberale contro l'incoscienza “a-democratica” che ha spinto la Nouvelle Gauche “fino al disprezzo o all’indifferenza nei confronti della Primavera di Praga”, come sopra ricordato: all'opposto, è bene rimarcare che uno dei lasciti migliori di quel '68, oltre al netto allargamento dei diritti femminili e sessuali in genere, è proprio la scintilla libertaria che venne dall'Est a predire l'emancipazione dal giogo sovietico. Inoltre - continua il magistero di Aron - serve il recupero del rispetto per l’esperienza e per il sapere: se genitori, insegnanti, superiori non destano più rispetto, non resta che l’imposizione della nuda autorità oppure l’anarchia. Infine occorre abbandonare il culto della giovinezza: questo, quando non manifesta un tratto “vitalistico” tipico di ogni regime totalitario, nasconde un atteggiamento puerile; gli adulti che praticano tale culto, che predicano l’indulgenza anche nei confronti delle peggiori smoderatezze, scivolano nel paternalismo e non aiutano i giovani a crescere, anzi non fanno che contribuire alle loro sventure.
Cosa può fare una società liberaldemocratica? Proseguire nel dare all’individuo oltre alla cittadinanza e alla sicurezza, anche i mezzi per usare i propri diritti e per non soccombere alla sorte. E ciò pur sapendo che la vicenda umana è una “immensa lotteria” determinata da diversi e conflittuali casi genetici, familiari e sociali. “Sono rari - ammette Aron - quelli che possono dire, secondo il mito platonico, di aver scelto liberamente il proprio destino”, ma è solo un ordine mite, come quello liberale, che lascia a ciascuno la possibilità di trovare il senso della propria vita.

Nicola Zoller*
*collaboratore di “Mondoperaio”, storica rivista PSI fondata da Pietro Nenni



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