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Anniversari GIUSTIZIA: PESI E MISURE DIVERSI -di Nicola Zoller Giornale “Trentino”, 19 gennaio 2018, p.1 s. Voltaire, parlando di un processo che si concluse con la condanna di una persona per un solo voto, racconta come l’avvocato spiegasse che sarebbe stato assolto in un’altra camera di giustizia. “E’ davvero comico - rispose il malcapitato - quindi una camera, una legge”. “Sì - disse l’avvocato - ci sono venticinque commenti diversi sulla ‘consuetudine’ di Parigi... e se ci fossero 25 camere di giudici, ci sarebbero 25 giurisprudenze diverse”. Questa vicenda era stata riproposta dall’ ex magistrato Ferdinando Imposimato, scrivendo un articolo sull’ “Avanti della domenica” del 3 maggio 1998 intitolato “Giustizia, la riforma non decolla” col quale ammetteva drammaticamente che “le cose non sono affatto mutate da allora”. Imposimato - lo citiamo anche per riconoscere al magistrato da poco scomparso questo suo filone d’impegno, che si sovrappone a molti altri e d’altro segno - continuava il suo ragionamento citando l’illuminato giurista Cesare Beccaria: “Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o di una cattiva logica del giudice, di una facile o malsana digestione, dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice con l’offeso, e da tutte quelle minute forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell’animo fluttuante dell’uomo. Quindi veggiamo la sorte di un cittadino cangiarsi diverse volte nel passaggio che fa a diversi tribunali, e le vite dei miserabili essere vittime dei falsi raziocini, o dell’attuale fermento degli umori di un giudice”. Queste terribili parole sembrerebbero confinate in altro tempo. Purtroppo così non è - lo rilevava Imposimato - e le cronache giudiziarie continuano a confermarlo, usando pesi e misure diverse, pronte a ribaltare verdetti precedenti fino alla sentenza definitiva, salvo poi ricorsi in alte sedi sovranazionali. E’ che da sempre, fin dai tempi di Socrate, “in tribunale come in teatro non conta tanto la realtà ma come essa viene rappresentata” e quindi come tale rappresentazione può influenzare il giudizio. Ma il problema è che eternamente la giustizia risente oltre che degli umori degli apparati giudiziari anche e soprattutto dello spirito del tempo: le leggi sono costruzioni umane, non hanno una impronta divina e una validità assoluta per sempre: “le leggi sono correnti di pensiero” sintetizzava mirabilmente un padre costituente come Piero Calamandrei e spesso la loro applicazione si confonde con la morale. Ecco il punto: la morale. Il sociologo Francesco Alberoni vi ha scritto sopra un libro intitolato ‘Valori’. La morale dovrebbe collegarsi a ciò che è generoso e altruista. Ma per l’opinione prevalente, invece, la morale non significa virtù e bontà. Significa sdegno, rimprovero, punizione. Ecco - scrive - li vedete tutti costoro sfilare nel corso della storia cupi, collerici, intransigenti che urlano, che esigono punizioni esemplari per i malvagi, per i corrotti! Ciascuno prende un sasso per lapidare l’adultera, ciascuno si getta sul reo per linciarlo. Così si tagliano le mani ai ladri, si torturano, si martoriano, si crocifiggono i criminali, si bruciano gli eretici, si spezzano le ossa e si squartano i banditi. Quanta giustizia è stata fatta in questo modo! La storia è stata un succedersi ininterrotto di atti di ‘giustizia’. Così nel passato e così in epoca recente nella lotta politica, aggiunge senza sorpresa Alberoni. Perché tutti vivono il loro avversario come un essere repellente, crudele. Mentre vivono se stessi come virtuosi e giusti, costretti a difendersi. La lotta politica è praticamente tutta combattuta con accuse di immoralità. Ma perché confondere la morale con la lotta politica? E’ incredibile - aggiunge Alberoni - che non si capisca, non si voglia capire che quando in un movimento, in un partito politico, il capo, il demagogo urla: “Facciamo giustizia”, di solito non ha nemmeno lontanamente in mente la giustizia morale. Il suo vero scopo è minare la legittimità di chi è al potere per rovesciarlo e prendere il suo posto. Il linciaggio morale è stato ed è strumento abituale di conquista del potere. Si guarda sempre il male degli altri e non si vede il proprio. Perché in realtà non c’è un sentimento morale, ma una manifestazione di aggressività. Ricorre in questi giorni - il 19 gennaio - l’anniversario della morte di Craxi da rifugiato in Tunisia. Parlo di lui con un riferimento generale, citando lo storico Angelo Panebianco. Questi commentando nell' ottobre 2016 sul Corriere della Sera il libro di Paolo Mieli ‘In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia’, scriveva: «Non si è mai estinto il vizio di mettere in piedi processi per corruzione o sottrazione di denaro pubblico contro gli avversari politici». Cita un caso antico ma efficacemente emblematico: «Il processo contro Verre, ex propretore il Sicilia, che diede tanto lustro al suo inflessibile accusatore Cicerone, non sarebbe stato imbastito se Verre non fosse stato legato alla fazione politica perdente, quella di Silla». E conclude: «Nelle cronache degli ultimi decenni, qui in Italia, anche se non solo, possiamo trovare diversi casi che hanno affinità con quella vicenda storica». Dall’antichità all’età contemporanea è detto parecchio in queste poche parole, svelando un meccanismo che regola spesso la cattiva contesa pubblica. Nicola Zoller - collaboratore della storica rivista Psi “Mondoperaio”, fondata da P. Nenni torna in alto |