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Uso distorto della giustizia
9,12.2017

Il direttore del giornale “l’Adige” ha dedicato recentemente un articolo molto critico alla recente “discesa in campo” di Piero Grasso. Sabato 9 dicembre 2017 sempre su l’Adige, interviene in generale sull’argomento Nicola Zoller, con un intervento intitolato “Uso distorto della giustizia: un male dell’Italia”, che di seguito riportiamo:


L’editoriale del direttore Giovanetti di domenica 3 dicembre 2017 è straordinariamente condivisibile: i magistrati devono essere indipendenti ed anche apparire tali. Non a caso la Costituzione – che in generale tutela i diritti di tutti – all’art. 98 introduce un bilanciamento, prevedendo la possibilità di “stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i magistrati…” proprio in considerazione del loro delicato ruolo. Convincente poi è l’esortazione finale a ricordare le parole del grande scrittore perseguitato Alexander Soljenitzin: “Una società senza un sistema legale obiettivo è terribile. Ma una società basata solo sulla lettera della legge sprigiona un’atmosfera paralizzante di mediocrità spirituale ed è destinata a fallire”. Secondo Giovanetti sono parole che sembrano scritte “per l’Italia di oggi”. E’ una critica al giustizialismo, che in maniera nefasta può intrigare la vita democratica del Paese. Analogo giudizio contro l’uso distorto della giustizia è stato espresso recentemente dall’on. Piero Fassino presentando a Trento il suo nuovo libro. Per amore della verità però non ci si può solo riferire all’Italia “di oggi”: è un giudizio senza tempo, che vale per molti luoghi e situazioni. Per schiettezza, come scordare la vicenda di Mani pulite degli anni Novanta? Mattia Feltri, attuale editorialista de “La Stampa”, vi ha scritto sopra un libro dal titolo evocativo: “Novantatré. L’anno del Terrore di Mani pulite”. Eccone l’incipit: «Quella che sembrava un’epoca di catarsi e rinascita si è rivelata un periodo cupo, meschino, di furori e di paure, di follia collettiva, in cui una cultura politica era stata spazzata via in modo dissennato». Dominata da mass-media legati a poteri economico-finanziari irresponsabili, da politici e tecnici riciclati, da esponenti di partiti e movimenti finora esclusi dall’area governativa, da arrivisti nuovisti, e soprattutto da «una magistratura che si sentiva a capo di un moto rivoluzionario», l’Italia è precipitata in un arido ventennio privo di speranze esaudite. C’era senza dubbio - sul finire della prima repubblica – il problema sempre più emergente del corretto finanziamento della politica: un problema non solo italiano ma europeo. Ma mentre in Europa (in Germania, in Francia, in Spagna) si seguì la strada del più civile confronto parlamentare, in Italia si preferì la via giudiziaria: coi risultati sopra descritti. Anche i numeri parlano chiaro. Il bilancio della “moralizzazione” per via giudiziaria, si è risolta con effetti opposti: il giurista Michele Ainis in un editoriale del 16 giugno 2014 ha ricordato che «all’alba degli anni ’90 la classifica di Transparency International – l’Associazione che misura l’indice di percezione della corruzione, partendo dai Paesi migliori – situava l’Italia al 33° posto nel mondo; ora siamo precipitati alla 69.a posizione». Una “legalità obiettiva” è necessaria, possiamo dire con Soljenitzin, ma – sempre con il grande scrittore russo – dobbiamo aggiungere che appunto deve essere obiettiva, non di parte pronta cioè a sommergere gli uni ed a salvare gli altri: e inoltre dev’essere giusta, non soverchiante, altrimenti “fallisce”.


Con questo vogliamo riferirci a molteplici situazioni, che gli storici hanno via via trattato: quella di Soljenitzin può essere comparata alla sentenza latina “summum ius, summa iniuria”, il sommo diritto è somma ingiustizia, cioè “l’uso rigoroso e indiscriminato di un diritto o l’applicazione rigida di una norma può diventare un’ingiustizia”. Lo storico Angelo Panebianco, commentando nell' ottobre 2016 sul “Corriere della Sera” il libro di Paolo Mieli “In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia”, scriveva: «Non si è mai estinto il vizio di mettere in piedi processi per corruzione o sottrazione di denaro pubblico contro gli avversari politici». Cita un caso antico ma efficacemente emblematico: «Il processo contro Verre, ex propretore il Sicilia, che diede tanto lustro al suo inflessibile accusatore Cicerone, non sarebbe stato imbastito se Verre non fosse stato legato alla fazione politica perdente, quella di Silla». E conclude, turbando forse gli scrupoli di molti passati e odierni giustizialisti: «Nelle cronache degli ultimi decenni, qui in Italia, anche se non solo, possiamo trovare diversi casi che hanno affinità con quella vicenda storica». Dall’antichità all’età contemporanea è detto parecchio in queste poche parole, svelando un meccanismo che regola spesso la cattiva contesa pubblica.


Nicola Zoller - collaboratore della storica rivista Psi “Mondoperaio”, fondata da P. Nenni



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