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Sommario proposto: -L’invidia dilaga, l’autonomia trentina non è popolare. E allora? L’autonomia va continuamente giustificata, ripensata, adeguata ai mutamenti della società -L’autonomia non può essere nostalgia dell’Austria imperiale, che mai concesse al Trentino l’autonomia riconosciuta invece dall’Italia repubblicana -La speciale condizione del Trentino va investita in sviluppo umano, culturale ed economico usufruibile da tutti (n.z.) SVILUPPIAMOCI SRUTTANDO LA SPECIFICITA’ -di Alessandro Pietracci, giornale Trentino, 3 ottobre 2017, p.1 s. Ancora una volta, dall’ inizio di questo secolo, l’autonomia trentina viene messa in discussione. L’ ultima pesante bordata è arrivata da Enrico Mentana direttore del TG della 7, ospite a Trento per il Festival “Resistenze”. Mentana, tra il serio e il faceto, tra un ragionamento pacato e una battuta da show di intrattenimento, ha detto in soldoni che l’autonomia speciale trentina non ha più senso. Andrebbe estesa a tutte le Regioni. Una frase che significa in realtà: a nessuno. Perché è evidente che il particolare assetto istituzionale del Trentino Alto Adige/ Sudtirol non può essere allargato ad altri territori, pena la crisi di tutto il sistema italiano. Diverso sarebbe il discorso per nuove forme di federalismo o di decentramento. Ma per Mentana queste sono probabilmente sottigliezze, che sfumano lontano da qui. Al di là di quello che si pensi di Mentana però, la sua notorietà e la sua influenza sono fuori discussione. Quando Mentana parla, la gente ascolta e si fa un’opinione. E applaude. Come i trentini che hanno approvato con scroscianti consensi le sue parole contro il Trentino. Non si può però liquidare tutto accusando di superficialità chiunque obietti sulla nostra autonomia. Dobbiamo invece registrare un dato di fatto: si è rotto un incanto. Quello per cui gli italiani – siano essi stati cittadini normali o intellettuali o politici – guardavano di buon occhio, con ammirazione, la specificità del Trentino. Lo consideravano di certo un territorio fortunato, quasi straniero, ma che in un certo senso meritava di essere diverso dagli altri. E non solo per la sua storia. Per la sua capacità di buon governo e rigore amministrativo, di innovazione, di accoglienza. Il Trentino – spesso confuso con l’Alto Adige – stava pure simpatico, perché era stato in grado di risolvere difficili questioni etniche. Molti ricordavano gli anni 50 e 60 quando gli eventi ci potevano portare in tutt’altra direzione, quella dello scontro e del conflitto, anche drammatico, tra italiani e tedeschi. Oggi dobbiamo fare i conti con un nuovo scenario. Un nuovo mondo, una nuova Europa. Diversa, oscillante tra la cooperazione inter regionale e la rivendicazione di piccoli o grandi patrie, comunque nazionaliste. Il voto tedesco, per fare solo un esempio, influenzerà pesantemente il voto austriaco del 15 ottobre. E quindi il voto del prossimo anno in Sudtirolo. Già si ricomincia a parlare di “autodeterminazione”. Da Sud invece spirano violenti venti centralisti. E soprattutto si è diffusa l’idea che il Trentino è ricco, ingordo, spendaccione. Un “paese della cuccagna” che non ha senso. L’invidia dilaga e si nutre di stereotipi. Che pure contagiano i trentini stessi. Giustamente su questo giornale Sergio Fabbrini si mostrava sconcertato dalla circostanza che neppure dentro i nostri “confini” l’autonomia sia popolare. Come mai è accaduto questo? Che cosa abbiamo sbagliato? Forse, come succede, per la democrazia quando la si considera una condizione ormai acquisita e irreversibile, anche per l’autonomia trentina accade la stessa cosa: è un dato scontato, banale, quasi metafisico. Ma, come faceva notare il professor Gaspare Nevola, la nostra specialità è un prodotto storico che va continuamente giustificato, ripensato e adeguato ai mutamenti della società. Per far fronte a questa situazione, il primo livello di intervento è quello culturale. Non bastano le pubblicità del Trentino sui grandi giornali per sostenere l’autonomia. Funziona per attirare turisti increduli davanti a un “bengodi” che credono essere soltanto conseguenza dei “soldi che arrivano da Roma”. Un benessere determinato da un’ingiustizia. Il Trentino deve fare di più e meglio, molto meglio, per valorizzare tutte le risorse della sua autonomia, anche a vantaggio dell’intero Paese, come chiede, proprio da queste pagine Mauro Marcantoni. Fare i conti con la propria storia, senza cadere in nostalgie o in ricostruzioni al limite della mitologia, che irritano una parte tutt’altro che minoritaria tra gli stessi trentini. Mostrare la difficoltà di una convivenza inter etnica, di una terra di confine tra il mondo germanico e quello latino. La consapevolezza della specificità non può dimenticare la lotta per l’autonomia, rivolta contro l’Impero Austro ungarico. Ricordando che l’autonomia il Trentino l’ha avuta, nel dopoguerra, dall’Italia democratica e repubblicana e non dall’Austria imperiale bigotta e pedante. Sicuramente l’Euregio e i più fecondi rapporti transfrontalieri, il trilinguismo, l’inclusione dei migranti, sono punti programmatici che il centro sinistra autonomista può e deve rivendicare con maggiore convinzione. D’altro canto – dobbiamo ammetterlo – il Trentino non è più l’avanguardia di un tempo. Non è più il primo territorio italiano a dotarsi di un piano urbanistico provinciale, (il famoso PUP, di cui si stanno rievocando i 50 anni, forse con parole troppo autocelebrative), non è più un modello dal punto di vista della legislazione sull’ambiente. Anche noi spesse volte finiamo per rincorrere le altre regioni e addirittura accade che siamo gli ultimi. Abbiamo però tutti gli strumenti politici per collocarci ancora ai primi posti per un innovativo sviluppo umano, culturale ed economico, proprio utilizzando sapientemente gli strumenti di questa speciale condizione. La nostra autonomia si giustifica certo per la storia di questa terra, ma soprattutto per un presente capace di anticipare i tempi. ALESSANDRO PIETRACCI, Segretario Provinciale del PSI torna in alto |