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Contro i populismi LA DEMOCRAZIA AI TEMPI DEL WEB -di Nicola Zoller Giornale “TRENTINO” – sabato 17 giugno 2017, p. 1 s. È radicata nel tempo la sfiducia di conservatori e reazionari sulle capacità del popolo di esprimersi e agire liberamente. Una preoccupazione che comunque non poteva essere estranea anche a tanti sinceri riformatori, i quali - a differenza della destra storica - avevano davvero a cuore la crescita civile del popolo. Essi sapevano che la democrazia poteva vivere basandosi su un popolo emancipato culturalmente. Per tutto il Novecento fu questo l’orizzonte dei tanti riformisti cristiani e socialdemocratici europei e di grandi maestri democratici americani come John Dewey, che non casualmente individuò negli insegnanti - e quindi nella cultura - i soggetti più idonei a sostenere la democrazia. Dunque l’istruzione, la cultura, la formazione intellettuale e professionale, furono individuati come i mezzi per allargare alla maggioranza della popolazione le opportunità di accesso alla vita civile, al lavoro, alla politica democratica. Oltre che con l’educazione, la democrazia può svilupparsi con un dibattito critico. È stato il giurista Gustavo Zagrebelsky a riassumere in un sapido saggio, Il 'Crucifige!' e la democrazia, l’esigenza di organizzare un «vero pluralismo delle voci» con partiti trasparenti. Se Socrate era stato un seminatore di dubbi nella gente disposta ad ascoltare soltanto quello che voleva sentirsi dire e per questo era stato condannato, nella nostra epoca resta ancor più necessario rammentare che la verità è sempre sfaccettata, che le ragioni sono sempre parziali e possono essere reversibili. Ricordando che fra Cristo e Barabba il popolo scelse Barabba, Zagrebelsky scrive che fra la folla che gridava 'Crucifige!' non c’era posto per il dissenso: «Se fra i tanti, una voce si fosse potuta alzare per farsi ascoltare e fosse riuscita ad organizzare una discussione, se si fossero allora formati diversi partiti, forse la decisione si sarebbe orientata diversamente»: ecco scoccare la democrazia, quella che l’autore definisce «democrazia critica». Educazione, istruzione, partiti democratici! Quant’è lontana da questi approdi la nostra attualità. La politica non è interessata da dibattiti programmatici e critici fra partiti. Non solo, ognuno pensa che la propria ragione parziale sia la verità assoluta. Ma c’è di peggio. Ormai si costruiscono «post-verità», note come 'fake news', notizie false o bufale, grazie alle quali si possono vincere le elezioni: tanto che l’Oxford Dictionary ha designato «Post-Truth», appunto post-verità, come parola dell’anno 2016: un nuovo termine che «indica la supremazia dell’emotività sui fatti, la facilità con cui le bugie vengono raccontate - specie nelle campagne elettorali - e accolte dal pubblico». Ora, siccome il veicolo comunicativo principale, dopo il tempo della Tv, è diventato il Web, è qui che si esercita - senza ricerca reale di dialogo e di confronto - la contesa. Questa desolazione, se attanaglia ora l’America di Trump, trova e troverà sempre più spazio nel nostro Paese. Tullio De Mauro, l’illustre linguista da poco scomparso, definiva una «emergenza sociale» l’ignoranza dilagante, se «in un anno - secondo il Censis e l’Istituto Treccani - il 56% degli italiani non arriva a finire nemmeno un libro», se «sette italiani su dieci non capiscono la lingua», se «il 71% della popolazione si trova al di sotto del livello minimo di comprensione di un testo di media difficoltà». Come conseguenza succede quello che Nando Pagnoncelli - dirigente del centro di ricerca Ipsos - descrive nel libro Dare i numeri. Le percezioni sbagliate degli italiani (Ed. Dehoniane, 2016): «Noi italiani siamo un popolo che crede alle bufale, perché non sappiamo, non leggiamo, non ascoltiamo con attenzione, non ci informiamo bene, ci costruiamo un mondo di opinioni granitiche sospese in una bolla di sapone». Opinioni orecchiate al bar, sul lavoro, per strada, dal barbiere o dai talk-show televisivi e da qualche tempo in maniera imperiosa sui siti internet preferiti che veicolano panzane o verità parziali. Il risultato è che accanto ad una scarsa alfabetizzazione verbale e scritta, risulta diffuso «l’analfabetismo numerico»: così tanti italiani «non hanno dimestichezza con i numeri e le percentuali, faticano ad orientarsi e a formulare stime corrette finendo per deformare la realtà» come ha scritto il matematico Piergiorgio Odifreddi nel suo Dizionario della stupidità (Rizzoli, 2016). Come uscire da questa situazione che sembrerebbe dar ragione allo scherno e alla diffidenza mostrata storicamente dai conservatori verso il popolo? Proviamo a indicare queste possibilità. In primo luogo investire di più nella cultura e nell’istruzione, condizione basilare di una società aperta; favorire una politica alta - secondo il monito di Zagrebelsky - ricostruendo i partiti come «vere istituzioni di comunicazione attiva e circolare tra i cittadini»; infine applicare tre regole contro l’ignoranza ai tempi di internet e contro la facilità impressionante con cui si diffondono fandonie sui social network: domandarsi sempre quale sia la fonte di certe affermazioni; chiedersi qual è la reputazione di questa fonte; infine riflettere su chi trae vantaggio da quella stessa affermazione. Questa nota è un estratto dall’articolo di Nicola Zoller “Cristo e Barabba”, pubblicato sul n.4/2017 da “Mondoperaio” www.mondoperaio.net, storica rivista fondata da Pietro Nenni. torna in alto |