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ALTRA STORIA DI TANGENTOPOLI -25.2.2017

Riflessione a partire dal fatto che il reddito nazionale cresceva di circa cinque volte dal 1950 al 1990 collocando l’Italia fra i paesi a più elevato tenore di vita nel mondo…
TANGENTOPOLI E L’ “ALTRA” STORIA

-di Nicola Zoller
Giornale “TRENTINO”, sabato 25 febbraio 2017, p.1
(Estratto da un commento pubblicato su “MONDOPERAIO”, n.2 febbraio 2017)
ORA ANCHE IN: http://www.avantionline.it/2017/02/la-societa-civile-dopo-la-prima-repubblica/#.WL8qvukzWZR

A commento del 25° anniversario di “Mani pulite” riemerge un pensiero del grande filosofo Norberto Bobbio che su “La Stampa” del 20 gennaio 1993 scriveva: «La prima Repubblica è proprio finita. Non lo dico, come la maggior parte degli italiani, con un sospiro di sollievo o addirittura con aria di trionfo. Lo dico con un senso di amarezza, non perché creda che non meriti di fare la fine ingloriosa che sta facendo, ma perché una conclusione così miseranda è l’espressione del fallimento di tutta intera la nazione, e non solo della classe politica che è ormai continuamente e rabbiosamente messa sotto accusa da parte di coloro che per anni l’hanno sostenuta e le hanno offerto il consenso necessario per governare. Come paese democratico, come Stato di liberi cittadini, abbiamo fatto, bisogna riconoscerlo, una pessima prova».
Dov’è finita infatti nel corso di oltre un ventennio tutta la cosiddetta «società civile» che pretendeva di essere così «antropologicamente differente» dai politici detronizzati? È passata di mano in mano da un demagogo populista all’altro, scoprendo volta a volta che si metteva in mani sempre peggiori. La storia ci ha spesso raccontato passaggi simili, ma quanti conoscono la storia, e se anche la conoscono, quanti la meditano? “Quante volte un uomo deve guardare verso l’alto prima che riesca a vedere il cielo?” avrebbe poeticamente sentenziato Bob Dylan in Blowin’ in the Wind.
Al proposito lo studioso Angelo Panebianco, commentando il recente libro di Paolo Mieli ‘In guerra con il passato. Le falsificazioni della storia’, scrive: «Non si è mai estinto il vizio di mettere in piedi processi per corruzione o sottrazione di denaro pubblico contro gli avversari politici». Cita un caso antico ma efficacemente emblematico: «Il processo contro Verre, ex propretore il Sicilia, che diede tanto lustro al suo inflessibile accusatore Marco Tullio Cicerone, non sarebbe stato imbastito se Verre non fosse stato legato alla fazione politica perdente, quella di Silla». E conclude in maniera che sarà considerata dissacrante dai nostri moralisti mendaci: «Nelle cronache degli ultimi decenni, qui in Italia, anche se non solo, possiamo trovare diversi casi che hanno affinità con quella vicenda storica». Dall’antichità all’età contemporanea è detto parecchio in poche parole, svelando un meccanismo che regola spesso la contesa pubblica.
Per esempio, il bilancio di “Mani pulite” - a partire dalla pretesa moralizzazione, si è risolto con effetti opposti: il giurista Michele Ainis pochi anni orsono ha ricordato che «all’alba degli anni ’90 la classifica di Transparency International – l’Associazione che misura l’indice di percezione della corruzione, partendo dai Paesi migliori – situava l’Italia al 33° posto nel mondo; ora siamo precipitati alla 69.a posizione». D’altronde cosa poteva esser successo fino ai primi anni ’90 in una situazione come quella italiana, che se appariva per diversi aspetti problematica, non era radicalmente dissimile dagli altri paesi progrediti d’Europa? Carla Collicelli, vicedirettore del Censis, ebbe a dichiarare - sulla scorta del fatto che il reddito nazionale era cresciuto di circa cinque volte dal 1950 al 1990 collocando l’Italia fra i paesi a più elevato tenore di vita nel mondo - esattamente quanto segue: «Il periodo fino al 1992 indicato come più corrotto è anche quello nel quale l’Italia è cresciuta di più. Ora, siccome è senz’altro vero che è la corruzione a bloccare lo sviluppo nei paesi poveri, l’Italia non doveva essere poi così corrotta». Un invito alla riflessione, che avrebbe dovuto portare ad affrontare con una condivisa soluzione politica il problema sempre più emergente del finanziamento della politica, un problema anch’esso non solo italiano ma europeo. Ma mentre in Europa si seguì la strada del confronto istituzionale e civile, in Italia si preferì la via giudiziaria.
Fortunatamente un numero sempre maggiore di osservatori imparziali si è interrogato sulla «pessima prova» data dall’Italia nei primi anni ’90, secondo le accorate osservazioni di Norberto Bobbio. Porre rimedio a quella «prova», cercare di non ripeterla con strepiti e danni miserabili, resta il compito di un'avvertita opinione pubblica e di una politica mite e democratica pronte – secondo il magistero di Benedetto Croce - «a cercare lumi nel passato per comprendere cosa sia meglio fare nel presente».
*collaboratore di “Mondoperaio”, storica rivista fondata da Pietro Nenni



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