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RICORDIAMOCI DELL’IMPEGNO DI BATTISTI -di Alessandro Pietracci* Giornale “Trentino”, martedì 31 maggio 2016, p.1 Oggigiorno i toni retorici non godono di un grande successo. Eppure, a ben guardare, mai come ora il linguaggio politico è intriso di luoghi comuni, battute ad effetto che non fanno più ridere, di affermazioni enfatiche o grossolane escogitate soltanto per bucare lo schermo. Un tempo, nei discorsi dei politici, l’abilità retorica non si disgiungeva quasi mai da una solida cultura – per lo più letteraria o storica – e da un orizzonte valoriale forte a cui ispirarsi. Le parole, forse un po’ accese ed evocative, significavano qualcosa. C’era un progetto chiaro a cui puntare. Ci riferiamo agli anni a cavallo tra l’800 e il 900, il periodo in cui si completava il sogno risorgimentale di un’Italia unita. Erano gli anni in cui Cesare Battisti, allora studente all’Università di Firenze, metteva le basi per il suo futuro impegno politico e culturale. Un gruppo di “animosi intelletti”, per dirla con Foscolo, si riuniva sulle rive dell’Arno e lungo il Mugnone intorno a un giovane meridionale, Gaetano Salvemini. Erano socialisti, fondavano riviste, scrivevano infuocati articoli, si battevano per il riscatto delle masse popolari, per il suffragio universale, per i diritti dei lavoratori, per l'emancipazione delle donne, per dare un’istruzione a tutti. Era il tempo del “socialismo evangelico” come lo definì lo storico Piero Pieri in un celebre saggio su Battisti. La prosa di questi giovani “rivoluzionari” (o meglio riformisti visto che non caddero mai in quel massimalismo sempre foriero di disastri per la sinistra) era sicuramente gonfia di retorica: il “sole dell’avvenire” sarebbe davvero potuto sorgere da un momento all’altro. Non si trattava però di un ardore ideale fine a se stesso: accanto alla tensione politica, questi giovani socialisti si caratterizzavano per il rigore intellettuale, l’approfondimento sul campo (ricordiamo qui il Battisti geografo) e per una precisa analisi storica. A leggere certi testi si rimane davvero stupefatti nel trovare una visione di futuro che oggi sembra essere in grande parte perduta. Battisti, non ancora trentenne, all’inizio del novecento, rivendicava l’autonomia trentina con quelle caratteristiche che poi , mezzo secolo più tardi, si sarebbero realmente concretizzate: competenze legislative, autogoverno del territorio, presenza di istituzioni culturali (Battisti fu il primo a immaginare un’università a Trento, lottando poi concretamente per una facoltà italiana a Trieste). Il revisionismo odierno, condito con dosi di vera e propria ignoranza, vorrebbe raccontare un’altra storia, quasi che fossero stati soltanto alcuni radicali esaltati a combattere per una autonomia non voluta invece dal popolo. Così non fu. Battisti divenne invece l’esponente di punta di un movimento decennale che coinvolgeva non solo i socialisti ma anche i liberali e i cattolici. Cesare Battisti allora deve essere considerato un Padre dell’autonomia, al pari di Alcide Degasperi. Rincresce dover constatare che proprio dal partito autonomista di oggi vengano i commenti più ingenerosi su Battisti: altro che traditore, altro che rinnegato! Gli autonomisti dovrebbero sapere che la speciale autonomia, che ha garantito al trentino al un cosi' alto livello di progresso,esiste anche grazie al suo sacrificio. Non si può però fermarsi soltanto alla prospettiva trentina e all’irredentismo: il deputato socialista aveva uno sguardo rivolto all’Europa. Un continente che avrebbe potuto trovare un cammino di pace e di collaborazione se si fosse imposta la concezione di un nazionalismo che definiremmo come “aperto”, cosmopolita, socialista, basato sull’uguaglianza e sull’estensione dei diritti. Era questo il “nazionalismo” battistiano. Non era una prospettiva guerrafondaia. Certamente oggi rigettiamo la guerra in maniera molto più netta, mentre 100 anni fa l’esaltazione per le gesta belliche era condivisa da quasi tutti. Va ricordato che l’interventismo di Battisti nasce a guerra già incominciata, come risposta al militarismo austriaco e germanico. Egli aveva intuito che il sogno di un Impero asburgico multietnico e multinazionale era soltanto un’illusione, poiché non era fondato sulla concordia di popoli diversi e neppure sui diritti delle minoranze, ma sul predominio austriaco e soprattutto su una arretratezza politica inemendabile. Soltanto la caduta di un Impero ormai decrepito poteva far sorgere un ordine nuovo, democratico, rispettoso delle nazionalità, forse più giusto, sicuramente più moderno. La storia stava voltando pagina e Battisti, per temperamento e per ponderata scelta, non poteva essere neutrale. Tutta la sua vita precedente lo chiamava, forse lo obbligava, a varcare il confine il 12 agosto 1915. A viso aperto porterà questa scelta fino alle estreme conseguenze. Di questo il Trentino, l'Italia, l'Europa gli saranno per sempre grati. *Segretario provinciale del PARTITO SOCIALISTA ITALIANO torna in alto |