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CESARE BATTISTI, UN UOMO GRANDE DEL SUO TEMPO Un giorno venne Silvius Magnago a spiegare sul Corriere della Sera che “Cesare Battisti fu un uomo che sacrificò la vita per i suoi ideali e dunque è degno della stima anche di coloro che come austriaci lo condannarono a morte”. Lo ha ricordato di nuovo a tutti Gian Antonio Stella il 16 luglio 2014. Era stato un altro illustre sudtirolese, lo storico Claus Gatterer, a far conoscere al mondo austro-tedesco un uomo lì conosciuto solo come “alto traditore”, con queste parole: “Gli ideali battistiani attingono a due fonti: il Risorgimento italiano e il socialismo d’Austria-Ungheria. In Battisti questi ideali si erano pienamente fusi. Rappresentavano le direttrici per una vita e un’opera di rara coerenza”. Avremmo potuto reputare che tali parole, per la loro fonte, avrebbero posto fine a polemiche insultanti, che tuttavia a volte riemergono, ritorcendosi peraltro contro chi le attizza. Non a caso Gatterer ha posto ad introduzione del suo libro battistiano la citazione dello sferzante scrittore austriaco Karl Kraus: “Chi giudica farabutto il patriota dell’altrui patria, dev’essere un imbecille della propria”. Invece non è finita. Ora ci sono tra i più valenti storici trentini a valutare con nuove sottolineature quella vicenda storica, ed è normale che sia così, visto che compito dello storico è scavare, riscoprire, revisionare i passaggi cruciali del nostro passato. Così il prof. Fabrizio Rasera - che mantiene un altissima considerazione dell’opera battistiana - intravede nella ricerca di Gatterer un “eccesso di difesa” nei confronti di Battisti o addirittura qualche tratto apologetico. E’ una recente pubblicazione della Fondazione Museo Storico del Trentino a proporci queste osservazioni, all’interno di una intervista a Günther Pallaver, docente all’Università di Innsbruck: il quale tuttavia - considerando gli studi di Gatterer come “antitesi della storiografia di stampo nazionalistico”, in quanto “bisogna sempre scrivere la propria storia anche con gli occhi degli altri” – non contraddice l’opinione di Rasera, ma la “relativizza”, valorizzando invece la figura “dell’uomo Battisti”. Egli afferma che “Gatterer si avvicina a Battisti inserendo la sua figura nel contesto sociale, politico e culturale in cui viveva; in tal modo costruisce un ritratto di Battisti nella pienezza della sua dimensione umana, con tutta la sua forza e la sua debolezza”. Ecco dunque: importante è “il contesto” in cui viveva. Adesso è stato lo storico Quinto Antonelli, su l’Adige del 25 maggio, a citare riflessioni autorevoli, espresse successivamente a quella temperie guerresca che “abbagliò” tutta una generazione. Citazioni che contengono ripensamenti radicali sulla partecipazione come interventisti a quella che era considerata “l’ultima guerra risorgimentale dell’Italia”, da Pietro Nenni, a Gaetano Salvemini, a Carlo Rosselli: quest’ultimo confesserà più avanti che “nel giusto” non stavano loro come interventisti ma solo il socialista riformista Filippo Turati che “previde l’abisso nel quale stavamo precipitando”. Eppure sia Turati che Salvemini nel “contesto” vissuto negli anni della guerra, ebbero parole d’elogio per Battisti. Il primo alla Camera dei deputati il 5 dicembre 1916 commemorò Battisti come “socialista di principi e di azione”, sottolineandone “la coerenza della vita” e lo “splendore del carattere” tale da renderlo “uno dei simboli più significativi di altissima umanità”. L’anno seguente Gaetano Salvemini, antico amico di studi fiorentini, dichiarò che la sua morte era “per la parte sana e consapevole della democrazia italiana, una perdita funesta” impedendogli di svolgere nella nuova vita italiana “una funzione benefica di prim’ordine”. E’ proprio il caso di ripetere che “il contesto” conta e che le pur sacrosante “riflessioni” successive alla guerra, non possono essere usate come un giudizio imperituro, restando sempre suscettibile anch’esso di essere revisionato. Peraltro va rammentato che ci sono considerazioni “successive agli eventi” più meditate e complesse. Ad esempio in quella tormenta epocale si trovarono due socialisti esemplari come Giacomo Matteotti e Cesare Battisti che tennero un comportamento molto discorde: pacifista intransigente l’uno, interventista democratico l’altro. Eppure, come riporta la ricerca dello storico Mirko Saltori, ci doveva essere una base comune per le due personalità: “il socialismo non era stato né per Battisti né per Matteotti un’etichetta o una superficiale infatuazione, bensì un impegno costante e rigoroso, e certo nella concezione della realtà e della politica dell’uno e dell’altro vi sarà stata una larga identità di vedute”. C’è infine l’ultima testimonianza di Salvemini, che negli anni della maturità, rivolgendosi agli amici di studi universitari Cesare ed Ernesta Battisti, si disse sicuro che tutti loro “avevano conservato il rispetto di se stessi: poter chiudere gli occhi dicendo ‘cursum consummavi, fidem servavi’, quale migliore successo nella vita”. Ecco dunque che l’impresa umana di Battisti viene riportata su quel piano di coerenza e di rispetto per i propri ideali, citati anche da Magnago: il quale probabilmente pensava - piuttosto che a sottolineare gli “abbagli” della vita – che era meritevole trovare una strada di riconciliazione giusta e gentile tra le diverse esperienze. Nicola Zoller (segretario regionale Psi) torna in alto |