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25 aprile brentonicano
25.4.2016

UNA TESTINONIANZA - NON GRIDATA MA VALOROSA - IN CUI SI INTRECCIANO LE VIRTU' CIVILI DI UNA FAMIGLIA BRENTONICANA, TRA SOCIALISMO,IRREDENTISMO E ANTIFASCISMO.

Per ricordare il 25 aprile FESTA DELLA LIBERAZIONE con una testimonianza - non gridata ma valorosa - di libertà civile e politica espressa da una famiglia di Brentonico nel corso del Novecento, il Comune di Brentonico ha promosso domenica 24 aprile 2016 una "cerimonia di riconoscimento civile e consegna delle Chiavi della Città agli eredi della Famiglia Bianchi (Milanési).

Diversi membri della Famiglia Bianchi (Milanési) sono stati protagonisti di rilevanti vicende storiche locali durante la Grande Guerra ed il primo periodo fascista. In particolare durante quest’ultimo, per la loro fede socialista, sono stati oggetto di ripetute vessazioni e violenze da parte dei fascisti locali, che li hanno costretti ad abbandonare Brentonico ed a cedere, a seguito del mancato rinnovo della licenza, l’Albergo Vittoria Nazionale, diventato in seguito il Municipio di Brentonico.
La memoria storica che segue è stata redatta - sulla base di ricerca documentaria e di ricordi - dal Dott. Alessio Less, che l'ha illustrata anche a nome e per conto degli altri nipoti:

Vicende della famiglia di Giovanni Bianchi nella memoria dei nipoti:
La famiglia Bianchi di cui si parla è quella dei“Bianchi Milanesi”, venuti forse un tempo dal Milanese a Brentonico, dove tuttavia sono presenti da oltre 400 anni e dove molti di loro furono muratori o maestri muratori.
Angelo Bianchi (1841-1917),nostro bisnonno, era maestro muratore e costruì con Costante Bianchi e Ippolito Andreolli il rifugio del Monte Altissimo nell’estate del 1891; ricostruì inoltre con il figlio Giovanni l’oratorio di San Bartolomeo; costruì infine il grande edificio, ora sede del Comune.
Cenni sulla famiglia di Giovanni Bianchi.
Giovanni (Francesco) Bianchi (1878–1926), figlio di Angelo, divenne “maestro muratore” e lavorò con il padre nell’impresa edile. Giovanni sposò Rosa (Maria) Giovanazzi (dei Fereri) (1877 –1959), dalla quale ebbe 5 figli, Angelo (1901-1971), Leone (1903 - 1966), Angelina (1905 - 1958), Argia (1910 - 2004) e Rinaldo (1914 - 1961). La famiglia abitò una parte della nuova grande casa costruita a Lera, sul Palù.
Giovanni, come forse suo padre, era socialista e frequentava gli altri socialisti di Brentonico e del Trentino. La sua posizione politica era vicina a quella di Cesare Battisti e di Antonio Piscel divenne così, con l’approssimarsi della Guerra, socialista irredentista.
Negli ultimi mesi del 1914 e nei primi mesi del 1915 l’impresa di costruzioni Bianchi lavorò anche per l’esercito Austriaco e in particolare alle opere militari di Corna Piana; Giovanni non partì infatti militare nel luglio del 1914, probabilmente perché lui o l’impresa furono militarizzati.
Giovanni Bianchi, forse attraverso altri irredentisti, aveva intessuto rapporti con militari italiani a Malcesine ai quali nel giugno 1915 portò appunti e disegni sulle opere militari e sui sentieri del Monte Baldo. Suo figlio Angelo era al corrente di quanto il padre e altri facevano per l’Italia e talora l’accompagnava e l'aiutava, anche con il fratello Leone.
Il 19 o il 20 di giugno 1915, nell’imminenza della dichiarazione di guerra dell’Italia, Giovanni Bianchi fu informato che sarebbe stato arrestato e fuggì di notte da Brentonico scendendo a Malcesine da Bocca di Navene per evitare, con l’arresto, una condanna a morte e ciò in seguito alla denuncia di qualche compaesano.
Il giorno successivo vennero arrestati i figli Angelo di anni 13 e Leone di anni 11 e furono portati nelle prigioni del Castello del Buon Consiglio di Trento. Angelo fu interrogato ripetutamente, ma non rivelò i nomi e i fatti che conosceva; fu tuttavia condannato dal tribunale militare di Trento “per aver insegnato la via ai reparti di truppa italiani”. Angelo e Leone furono allora internati nel Lager di Katzenau, presso Linz, dove arrivarono anche altri trentini e brentegani (e in particolare i parenti Bianchi Canèla).
A Katzenau Angelo e Leone erano i piu giovani internati in seguito a una condanna, mentre gli altri ragazzi e bambini presenti nel campo erano figli di internati. I due ragazzi maturarono un’esperienza drammatica di fame e malattie lontano dai propri cari.
Il resto della famiglia Bianchi si trasferì ad Avio e poi a Saccone dove il vecchio Angelo morì nel 1917 “di crepacuore” viste le sorti della famiglia; allora Rosa, moglie di Giovanni si trasferì con i 3 figli più piccoli da una sua sorella, che era sposata a Lissago di Varese, fino al termine della guerra; si trasferì a Lissago anche il suo fratello Benedetto Giovanazzi.
La grande casa dei Bianchi sul Palù fu sede prima degli ufficiali dell’esercito austriaco e poi, probabilmente, diufficiali italiani.
L’Albergo Vittoria Nazionale.
La famiglia di Giovanni Bianchi si riunì a Brentonico alla fine del 1918.
Giovanni ricostituì l’impresa edile con i figli Angelo e Leone e per alcuni anni partecipò alla ricostruzione, costruendo o restaurando molti edifici di Brentonico e delle frazioni danneggiati dalla guerra. L’attività edilizia fu molto prospera.
Giovanni ricostruì anche la propria grande casa sul Palù, la dipinse di bianco,rosso e verde e divenne l’Albergo Vittoria Nazionale.
La parte nord dell’edificio era affittata ai carabinieri per la caserma e inoltre al piano superiore c’era un appartamento per la famiglia del maresciallo.
Nella parte sud c’era l’abitazione dei Bianchi e un altro appartamento affittato ad un dottore (?).
L’albergo aveva almeno 15 camere; aveva l’acqua corrente e i servizi più moderni del tempo. Davanti c’era il giardino e dietro c’era l’orto, coltivati dal Becalegn di Vigo, che teneva anche la grande cantina dietro l’albergo dove si faceva il vino; davanti c’era una cantina più piccola con l’acqua corrente, dove si teneva in fresco la birra; c’erano i campi da bocce, la rimessa dell’autocorriera e altri servizi. Il ristorante aveva una buona cucina, vino e birra erano ottimi e il sabato nella grande sala si ballava.
L’Albergo Vittoria Nazionale godette di una certa fama nel corso dei 6 – 7 anni della sua vita e d’estate ospitava illustri famiglie, come i Canestrini o i Piscel; l’avvocato Piscel vi teneva inoltre i raduni con i socialisti di Rovereto; nel corso dell’anno, ospiti di passaggio erano i baroni Salvotti, quando andavano a S. Giacomo, e molti altri personaggi del tempo che per lavoro o affari salivano sull’altipiano.
Il regime fascista.
Dopo la Guerra riprese progressivamente a Brentonico l’economia, la cooperazione e la vita politica del paese. Popolari, liberali, socialisti, clericali e anticlericali, austriacanti e irredentistisi di un tempo furono travolti dalla guerra; ma nei primi anni ’20 si ricostituirono le associazioni economiche e le simpatie politiche particolarmente per i popolari, per i socialisti e per i fascisti; questi ultimi divennero sempre più numerosi e spesso trasversali rispetto alle classi sociali.
Quando i fascisti presero il potere restò poco spazio per le altre opinioni politiche e per l’opposizione, che tuttavia trovò nell’albergo dei Bianchi un luogo d’incontro e di discussione; furono inoltre sempre più frequenti episodi di piccolo squadrismo e prepotenze personali o amministrative.
Il Commissario Prefettizio di Mori Giuseppe Cavatorta era il capofila dei fascisti locali. Cavatorta convocò i suoi accoliti di Mori e di Brentonico all’Albergo Vittoria Nazionale e volle arringarli dal balconcino verso sud, forse suggestionato da altri più famosi balconi.
Informati, accorsero Angelo e Leone per impedire il comizio fascista dalla casa dei Bianchi, adducendo il motivo che il balcone era dell’appartamento privato e non faceva parte dell’albergo e che pertanto il funzionario non aveva diritto di accedervi. Nacque una vivace discussione sul balcone e in vista di tutti e vi furono spintonamenti e forse schiaffi.
Il funzionario se ne andò profondamente contrariato e iniziarono o aumentarono in paese le maldicenze e le prepotenze verso i Bianchi. All’uscita di chiesa Rosa, che era con il figlio più piccolo, venne minacciata estrattonata. Alcuni “fascisti”, quando non c’erano i figli maggiori, aggredirono Rosa e il figlio piccolo anche nell’albergo.
Non venne infine rinnovata la licenza annuale per l’albergo. Allora i Bianchi, di fronte all’ostilità aperta dei fascisti più facinorosi e al boicottaggio delle loro attività economiche e soprattuttodi fronte all’indifferenza o all’ostilità malcelata da parte di alcuni compaesani, concorrenti e clericali in particolare, decisero di andarsene da Brentonico.
Giovanni Bianchi era molto ammalato;riuscì tuttavia a intavolare la trattativa di vendita dell’albergo al Comune di Brentonico, che aveva bisogno di una nuova sede più grande e confortevole; riuscì inoltre, con i figli Angelo e Leone, a programmare il trasferimento della famiglia a Desenzano.
Giovanni morì; la moglie Rosa e i figli conclusero quella che considerarono un’affrettata svendita, alla quale erano stati costretti, e si trasferirono prima a Desenzano e poi a Milano, dove avviarono delle latterie.
Nel 1943 a Milano imperversavano i bombardamenti e Angelo Bianchi portò moglie e figli a Brentonico; ma alcuni compaesani minacciarono di denunciarlo e di farlo deportare (in Germania). Temendo allora per la sua famiglia, riportò moglie e figli a Milano ritenendoli più al sicuro nell’anonimato della grande città, nonostante i bombardamenti.
Dopo il 25 aprile 1945 fortunatamente molte cose cambiarono.
Nella consapevolezza che quanto è stato esposto sono solo degli appunti che potrebbero essere sviluppati e arricchiti e che richiederebbero ulteriori ricerche e documentazioni, sottoscrivono questa memoria i nipoti di Giovanni Bianchi e di Rosa Giovanazzi, in ordine di età: Giovanni Bianchi, Giovanna e Franco Andreolli, Ricciotti e Rosamaria Bianchi, Alessio Less, Aldo Bianchi.



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