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infoSOCIALISTA
10 gennaio 2006

Info SOCIALISTA – 10 gennaio 2006
a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l’azione nazionale dei
socialisti e del centro sinistra
n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 – fax 0461-944880 – Trento/Bolzano
Quindicinale - Anno 3°



UN LIBRO, per cominciare “Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro” Jorge L. Borges

Autore: Francesco Giavazzi
Titolo: Lobby d'Italia
Rizzoli Bur, € 8,20 - 2005



Perché i taxi da noi costano più che a New York? Perché l’aspirina può essere venduta solo in farmacia?

di Dario Di Vico

Il maggior pregio di Francesco Giavazzi, economista ed editorialista del Corriere, è anticipare i tempi. Portare avanti tesi e giudizi che inizialmente paiono restare inascoltati, ma che nel giro di poco tempo diventano altrettanti argomenti dell’agenda politico-economica. E’ stato così per il dibattito sugli ordini professionali, su imprenditori e rendita e, più di recente, sui conflitti di interesse delle banche. Lobby d’Italia (pp. 176, 8,20), il pamphlet che la Rizzoli Bur ha mandato in libreria in questi giorni, è una dimostrazione dell’incisività di Giavazzi. L’elogio del capitalismo concorrenziale non è mai bolsa retorica del business e del profitto, è invece l’indicazione pragmatica del sistema migliore per produrre benessere e insieme distribuirlo. I privilegi sono dei «tappi» e le lobby sono le forme organizzate che i padroni dei tappi si sono dati per perpetuare lo status quo. Perché in Italia non ci sono tassisti extracomunitari e le corse costano il doppio che a New York? Perché l’aspirina può essere venduta solo in farmacia? Perché il trasferimento di proprietà di un’auto usata ha bisogno della firma di un notaio? Quanti sono i casi di espulsione dall’ordine di giornalisti, medici, avvocati, farmacisti? Nessuno. E perché gli imprenditori italiani trovano più semplice rifugiarsi nelle rendite invece che battersi sui mercati esteri? Risiede in questi esempi - che abbracciano l’attività delle élite, ma anche la vita dei cittadini comuni - la radice del declino dell’Italia, un Paese destinato a diventare la Disneyland del Mediterraneo se seguirà le scelte che gli amministratori comunali - annota polemicamente Giavazzi - hanno fatto per Venezia.

Qual è la ricetta per invertire la rotta? Il sistema Italia deve riscoprire l’adrenalina della concorrenza, deve ripetersi che sarebbe stato meglio cento volte che l’Alfa Romeo non fosse andata alla Fiat, che la battaglia per l’italianità delle banche è una solenne sciocchezza, che il capitalismo della golden share e delle poison pill è l’accanimento terapeutico di chi non vuol far morire definitivamente le Partecipazioni statali. Guai quindi se alla perenne ricerca di un modello le classi dirigenti - magari proprio quelle che puntano a sostituire Berlusconi - si facessero affascinare dal modello francese. Di un colbertismo trasversale non abbiamo bisogno. Per sopravvivere alla concorrenza di India e Cina la scelta più giusta non è certo quella di ri-affidarsi allo Stato e alla capacità dei governanti di decidere dall’alto i progetti vincenti e i campioni nazionali. Se lo facessimo scopiazzeremmo l’Europa renana proprio quando mostra, forse definitivamente, la corda. Meglio quindi la prospettiva di Wimbledon, abbandonare per sempre l’idea dell’italianità e cercare di attrarre intelligenze e capitali, così come il torneo tennistico londinese è il top del suo genere anche se non lo vince da tempo immemore un tennista britannico.

Il libro di Giavazzi va consigliato prima di tutto al centrosinistra, a quanti contribuiranno a quel programma dell’Unione che ancora aspetta di veder la luce. Una convincente strategia d'uscita dal declino non si vede, ma esempi da seguire ce ne sono: Alessandro Profumo che porta l’Unicredit nel cuore della finanza renana, Sergio Marchionne che taglia i ponti con ogni tentazione neo-statalista. L’etica del capitalismo è questa: e il vero rischio, sostiene Giavazzi, è che le mille lobby che si arricchiscono bloccando il Paese e impedendogli di funzionare, dopo aver prevalso sotto Berlusconi, l’abbiano vinta anche se dovesse arrivare un governo Prodi.

CURRICULUM DI FRANCESCO GIAVAZZI
Si è laureato in ingegneria al Politecnico di Milano nel 1972. Insegna economia politica all'Università Bocconi, della quale è stato pro-rettore alla ricerca tra il 2000 e il 2002.
Tra il 1992 e il 1994 è stato dirigente generale del Ministero del Tesoro, responsabile per la ricerca economica, la gestione del debito pubblico e le privatizzazioni. Dal 1992, anno della privatizzazione, alla conclusione dell'OPA lanciata dalle Assicurazioni Generali, è stato membro del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo di INA s.p.a. e, in rappresentanza di INA spa, vice-presidente del Banco di Napoli dal 1998 al 2000.
Fa parte del Gruppo dei consulenti economici del Presidente della Commissione europea e collabora con il Corriere della Sera e con Project Syndicate (http://www.project-syndicate.cz), un archivio on-line di articoli scritti da economisti di vari paesi.
I suoi editoriali e altro possono essere letti su http://www.igier.uni-bocconi.it/giavazzi.



PUNTO DI VISTA SOCIALISTA SULL’ATTUALITA’


Boselli:l'unità dei socialisti solo nella Rosa nel pugno

martedì 10 gennaio 2006

“Basta con la diffidenza nei nostri confronti. Stiamo nell'Unione e vogliamo rispetto. Il nostro ruolo è determinante per vincere”. Enrico Boselli in un'intervista a Repubblica, ribadisce il ruolo della Rosa nel pugno all’interno del centrosinistra e risponde a Bobo Craxi che nei giorni scorsi aveva auspicato la presentazione di una lista socialista alle politiche.

"Basta risse – ha affermato il leader dello Sdi -, basta scissioni dell'atomo. Questo è il momento di unire. Non solo i socialisti, ma anche i laici, i radicali. La Rosa nel pugno nasce per questo. Il Garofano appartiene ad una stagione del socialismo italiano che ormai risale a 30 anni fa. Una stagione con molte luci e anche con qualche ombra. E' una stagione chiusa. Stiamo aprendo per il socialismo italiano una pagina nuova, adatta all'Italia di oggi. E' paradossale che ci si chieda di tornare indietro. I socialisti sono stati sempre innovativi. Dovremmo camminare con la testa indietro? Dovremmo far nascere un partito craxiano o post craxiano?". "L'unita' dei socialisti - sottolinea Boselli - deve avvenire nella Rosa nel pugno".


«La Rosa nel pugno aggreghi l’Italia civile».
L'appello lanciato da Biagio De Giovanni


Che la Rosa nel Pugno non si spenga sul nascere, per questo noi ci appelliamo alle donne e agli uomini civili di questa Italia che ha bisogno di una forza liberale, socialista, laica e radicale, punto di convergenza di nobili tradizioni, le quali divise, disperse, introverse non riescono più a far sentire la loro voce, e rischiano di rimaner sottoposte a sistemi di potere nei quali sempre più pericolosamente si riducono le possibilità del confronto pubblico democratico.

Che alla Rosa nel Pugno sia data la possibilità di vedersi affidata dagli elettori la forza necessaria per aggregare quell’Italia civile che vuole la rinascita del paese. La Rosa nel Pugno ha già fatto, con assoluta convinzione, la sua scelta di campo per le prossime elezioni politiche. Ora vuole contribuire a dare a quel campo un contenuto liberale socialista, laico e radicale, capace di parlare a chi vuole la vittoria di una religione civile che possa far uscire l’Italia dal vicolo cieco in cui sembra rinchiusa.

Che sulla Rosa nel Pugno si riapra il dibattito pubblico, oscurato da un’informazione che ha rinunciato a interpretare le ragioni della sua costituzione, e sembra anche così aver scelto invece di esprimere quelle di un sistema politico che si involve sempre più, guardando solo al proprio interno.

I firmatari di questo appello, di diversa provenienza culturale e politica, e forti proprio di questa diversità, invitano gli italiani a far sentire la loro voce, di liberali e di democratici, di credenti attenti alla laicità dello Stato, di radicali memori delle grandi battaglie civili che hanno cambiato il paese, di socialisti eredi di una tradizione che non si è mai riusciti ad oscurare e che oggi può avere tutta la forza per tornare in campo.

Queste forze, queste idee tornano a manifestarsi dopo una lunga apparente eclissi, finalmente unite, rinforzate come annunci di una evoluzione radicalmente civile e democratica. Sono, questi, annunci di un futuro ben diverso da quello che troppe rovine del passato sembravano cancellare dall’orizzonte italiano, e non solo.

La Rosa nel Pugno appare oggi come il concepimento in corso di una nuova possibile grande Riforma, anziché il continuare a raschiare il fondo consunto della botte del vecchio possibile. Occorre, vale la pena accorrere per soccorrerne quanto meno il difficile, prezioso, inizio del cammino della Rosa nel Pugno.

È quanto, con questo appello, decidiamo noi stessi di tentare, di fare, di proporre a quanti condividessero questi nostri sentimenti e valutazioni.

Biagio De Giovanni

Primi firmatari

Salvatore M. Aloj, Ordinario di Patologia Molecolare Universita' di Napoli Federico II
Amedeo Alpi, Ordinario di Agraria all'Università di Pisa
Giuseppe Anichini, Ordinario di Analisi Matematica -- Fac. Ingegneria --Firenze
Paolo Beltrame, Ordinario di Processi e Impianti chimici all'Università di Milano
Carlo Bernardini, Ordinario di Fisica all'Università di Roma La Sapienza
Sergio Bernasconi, Ordinario di Pediatria
Pierangiolo Berrettoni, Professore Ordinario di Linguistica Generale Università di Pisa
Corrado Bohm, Professore Emerito di Teoria e Applicazione delle macchine calcolatrici all'Università "La Sapienza" di Roma
Fabrizio Bolletta, Ordinario, Preside della Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali all'Università di Bologna
Franco Brezzi, Ordinario di Analisi Matematica all'Università di Pavia
Mario Ciampolini, Prof. Università di Firenze
Antonio Cavicchiascalamonti, Professore Ordinario di Sociologia presso l'Università "La Sapienza" di Roma
Gilberto Corbellini, Professore di Storia della Medicina presso l'Università "La Sapienza" di Roma
Giulio Cossu, Professore Ordinario di Istologia ed Embriologia Medica presso l'Università 'La Sapienza' di Roma
Paolo Costantino, Professore ordinario di Biologia Molecolare all'Università "La Sapienza" di Roma.
Daniele Cusi, Professore ordinario di nefrologia Università di Milano.
Ernesto Damiani, Ordinario di Informatica, Dipartimento di Tecnologie dell'informazione Università di Milano
Luciano Debonis, Associato di Tecnica e Pianificazione Urbanistica, Università del Molise
Niccolo' Figa'talamanca, Giurista
Alessandro Figa'talamanca, Professore Ordinario di Analisi Matematica presso l'Università "La Sapienza" di Roma
Bruno Filippone, Professore Ordinario di Lingua Inglese presso l'Università degli studi di Napoli
Carlo Flamigni, Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università di Bologna.
Membro Comitato Nazionale per la Bioetica.

Antonino Forabosco, Professore di Genetica medica all'Università di Modena e Reggio Emilia
Giorgio Gambosi, Ordinario di Informatica, Dipartimento di matematica presso l'Università
di Tor Vergata di Roma

Giacomo Ghiringhelli, Associato di Fisica Sperimentale
Politecnico di Milano

Valerio Giannellini, Docente Universitario Univ. Firenze
Carlo Alberto Graziani, Ordinario di Diritto Privato, Università di Macerata
Angelo Gilio, Professore Ordinario di Calcolo delle probabilità presso l'Università degli studi "La Sapienza" di Roma
Anthony L. Johnson, Ordinario di Letteratura inglese all'Università di Pisa
Stefano Marchiafava, Professore Ordinario di Geometria presso l'Università "La Sapienza" di Roma.
Gabriele Mazzacca, Emerito di Gastroenterologia all'Università Federico II di Napoli
Antonello Miranda, Professore Straordinario di Diritto Privato Comparato presso l'Università degli studi di Palermo.
Gian Carlo Montanari, Ordinario di Tecnologie Elettriche Innovative all'Università di Bologna
Mario Montorzi, Ordinario di Storia del diritto medievale e moderno -Facoltà di Giurisprudenza all'Università di Pisa
Augusto Muracchini, Professore Ordinario di Fisica Matematica presso l'Università degli studi di Bologna.
Demetrio Neri, Professore Ordinario di Bioetica presso l'Università di Messina.
Francesco Orzi, Prof. Ordinario di Neurologia Università di Roma La Sapienza
Gianfranco Pasquino, Ordinario di Scienze Politiche - Università di Bologna,
Luigi Pepe, Ordinario di Storia delle matematiche all'Università di Ferrara
Gino Roghi, Ordinario di Analisi Matematica
Carla Rossi, Professore Ordinario di Statistica presso l'Università "tor Vergata" di Roma
Antonio Scalia, Ordinario di Fisica Matematica all'Università di catania
Romano Scozzafava, Professore Ordinario di Calcolo delle Probabilità presso l'Università 'La Sapienza' di Roma.
Giovanni Sindona, Ordinario di Chimica Organica, Dipartimento di Chimica all'Università di Calabria
Gian Domenico Sorarù, Ordinario di Scienza e Tecnologia dei Materiali all'Università di Trento
Renato Spigler, Professore Ordinario di Analisi Matematica Facoltà di Ingegneria a "Roma Tre "
Mino Vianello, Ordinario di Sociologia Economica all'Università di Roma "La Sapienza"
Alfonso Vignoli, Ordinario di Matematica, Università Tor Vergata di Roma
Vittorio Villa, Ordinario di Filosofia del Diritto all'Università di Palermo



“Politica & Affari”

-"…non merita considerazione chi osi definirsi moralmente migliore di qualcun altro, poiché è proprio della condizione umana il fatto di essere tutti, ciascuno a suo modo, a seconda della sua ‘circostanza’, peccatori: non esistono razze elette" A. PANEBIANCO

“ …il vero peccato non è commettere infrazioni alle leggi di nostro Signore – ché tutti siamo dei deboli mortali – ma fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni” E. LUSSU


L'amico e compagno Mario Cossali intervenendo su l'ADIGE di sabato 7 gennaio 2006 contro "l'intreccio tra affari e politica", ammette il coinvolgimento dei DS in "operazioni disinvolte". Poteva dire diversamente dopo tante dichiarazioni e ammissioni, a partire da quelle fresche del tesoriere dei DS Sposetti per il quale l’ex presidente Unipol Giovanni Consorte "era e rimane uno bravo"? Già, stiamo parlando di situazioni intrecciate che - come annuncia la Procura di Milano - avrebbero già portato al sequestro di un "tesoro" che supera fin d'ora di quattro volte i fondi sequestrati ai tempi di "Tangentopoli": chissà con quali importi si finirà, peraltro l'ex-pm Di Pietro continua a ribadire che "Tangentopoli" si rivelerà cosa da ridere rispetto a questa "Bancopoli":
Comunque già con l’ammissione che fa l’amico Cossali assieme ad altri compagni dei DS, comincia il rimedio a tante cose. Nei giorni scorsi il prof. Angelo Panebianco in un editoriale del Corriere della Sera aveva scritto che "non merita considerazione chi osi definirsi moralmente migliore di qualcun altro, poiché è proprio della condizione umana il fatto di essere tutti, ciascuno a suo modo, a seconda della sua ‘circostanza’, peccatori: non esistono razze elette". Ecco, finirla di credersi "moralmente" superiori ad altri, quasi di essere e di un'altra razza e più elevata, è il migliore rimedio per la sinistra. Emilio Lussu – spirito libero della sinistra italiana - avrebbe commentato anche in questa occasione che il vero peccato non è commettere infrazioni alle leggi di nostro Signore – ché tutti siamo dei deboli mortali – "ma fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni".
Dopodiché – anche se, come diceva Lussu, non sarà il peccato peggiore – bisogna rispettare le leggi: in questo e in altri casi non utilizzare finanziamenti illeciti per la politica come hanno fatto tanti partiti della prima e della seconda Repubblica. Ma occorre anche fare leggi che - opponendosi alla propaganda populistica degli anni trascorsi - prevedano un ampio finanziamento legale alla politica (non già che lo abroghino…), impedendo che siano solo i riccastri, i gruppi economici-finanziari, le lobby corporative ed editoriali o - come fino ai tempi non lontani di Berlinguer – i partiti sovvenzionati con tangenti ultra-illegali fornite da Paesi avversari, a potersi permettere di orientare o di fare direttamente la grande politica.

Nicola Zoller


MEMENTO

Lettere a Sergio Romano
L'era di Craxi: un giudizio di Piero Ottone
Risponde Sergio Romano: “…Quale, fra i due reati, è il più grave? Accettare il denaro di una potenza straniera che schiera missili nucleari contro l'alleanza di cui l'Italia fa parte, o prenderli, sotto forma di tangenti, nelle tasche dei propri connazionali? Non pretenda una risposta, caro Ottone. Non saprei darla”


• da Corriere della Sera del 5 gennaio 2006, pag. 31


Scrive Piero Ottone:

La sua recente riabilitazione di Bettino Craxi mi ha profondamente sorpreso.
Lei ha citato alcune mosse indovinate del personaggio quando era Primo ministro: scala mobile, Sigonella.
D'accordo: gli uomini di governo, per lo più, fanno cose buone e cose cattive, solo i peggiori non ne indovinano una. Anche Craxi ha fatto alcune cose bene, altre male: nella colonna del passivo metterò la preclusione sull'energia nucleare, e l'avere impedito con pervicacia una legislazione in campo televisivo. Il suo veto in Parlamento fece dell'Italia un'anomalia: un Paese con un sistema televisivo commerciale ormai sviluppato, e nessuna legge.
Situazione da Far West.
Che consentì a Berlusconi di instaurare il monopolio.
Ma la vera colpa di Craxi è questa: quando introdusse i socialisti nell'area governativa (e questo poteva essere un bene), invece di usare il suo potere di interdizione per correggere gradualmente le storture del governo democristiano, quale per esempio la lottizzazione della Rai, ma soprattutto in materia di buon governo e di moralità pubblica, si preoccupò soltanto, o prioritariamente, di partecipare, personalmente e col suo partito, al banchetto della corruzione. Il Corriere pubblicò nel 1975 o nel 1976 un editoriale intitolato «Processo ai Socialisti», che diceva proprio queste cose.
Non è strano pertanto che un anno dopo, quando diedi le dimissioni, i socialisti abbiano stappato bottiglie di champagne. Ricordo una battuta di Flaminio Piccoli durante un incontro casuale in piazza Montecitorio: «Si dice di noi democristiani quel che si dice, e va bene (alludeva alla corruzione), ma questi altri, quando sono arrivati alla greppia, che fame, che fame! (...)».
Non è solo questione di tangenti per finanziare il partito (comunque esecrabili: ma perfino Ugo La Malfa dovette ammettere, fra mille sofferenze, di avere accettato per il partito denaro dai petrolieri). Si trattava di arricchimento personale.
Lei ricorderà il tenore di vita dello stato maggiore socialista: una corte di satrapi. Adesso c'è la barca di D'Alema: non sono affatto d'accordo con chi si indigna per le domande che gli si fanno. Agli uomini politici è giusto fare i conti in tasca.
Non è, contrariamente a quel che lui e tanti altri dicono, roba da Terzo Mondo. Al contrario: è roba da Primissimo Mondo. E se di un uomo politico trovi le tasche piene, è giusto chiedere come si sono riempite. Tornando a Craxi, e al Processo ai socialisti: non pensa anche lei, come penso io, che l'Italia avrebbe bisogno, sì, di governanti capaci di costruire penitenziari e ferrovie e porti; ma ha soprattutto bisogno di regole, di etica, di moralità?
Purtroppo, quando si prende qualche iniziativa, per lo più giudiziaria perché gli altri tacciono, contro ladri o sospettati tali, da noi non si inveisce contro i ladri: si inveisce contro il «moralismo».
Va bene: giudichiamo dai risultati, senza «moralismo», sui mezzi impiegati per raggiungere un fine.
Dimentichiamo i miliardi di Craxi e dei suoi compagni di ventura. Gli uomini politici devono essere giudicati dai risultati. Vediamo il risultato finale del personaggio.
Che cosa ha combinato?
Ha ereditato un partito che aveva tradizioni e un certo peso. È finito fuggiasco a Hammamet, il partito è scomparso, i suoi ideali sono dissolti nel nulla, non resta neanche l'ombra. Bel risultato, le pare? Piero Ottone


Risponde Sergio Romano:

Caro Ottone, non vorrei sembrarle un partigiano di Bettino Craxi. So che aveva tratti arroganti, che si circondò di personaggi molto discutibili e che peggiorò, anziché combatterlo, il sistema di spartizioni e lottizzazioni che fu il lato oscuro del consociativismo italiano. Aggiungo che l'«esilio» di Hammamet fu un errore. Avrebbe dovuto restare in Italia, combattere, spiegare, difendersi e pagare eventualmente il prezzo delle sue colpe. Se la salute lo avesse aiutato, una buona battaglia, anche giudiziaria, gli avrebbe permesso di ritornare in scena qualche anno dopo. Fu la scelta di Giovanni Giolitti quando si accorse che il viaggio in Germania, dopo lo scandalo della Banca Romana, era stato un passo falso. E fu la scelta vincente. Malo difendo, e credo che continuerò a farlo, per due ragioni. In primo luogo ebbe alcuni meriti che giovarono al Paese. Non penso soltanto alla vicenda di Sigonella e al referendum sulla scala mobile. Penso alla sua politica europea e al vertice del Castello Sforzesco durante il quale contribuì a isolare la signora Thatcher e ad avviare una fase nuova dell'integrazione. Penso alla sua politica per i dissidenti dell'est e al seggio nelle liste socialiste che offrì al cecoslovacco Jiri Pelikan per le elezioni europee del 1979. E penso al modo in cui tenne fermamente l'Italia nel campo atlantico durante la crisi dei missili. Se la lista degli errori cancellasse il ricordo dei meriti finiremmo per censurare una parte della nostra storia nazionale. In secondo luogo lo difendo perché provai imbarazzo e fastidio quando constatai che la questione morale veniva brandita contro di lui da un partito che si era sostenuto con i finanziamenti di uno Stato potenzialmente nemico e con i proventi del commercio est-ovest. Se non ci fossero state le provvidenziali amnistie degli anni Ottanta, Tangentopoli avrebbe coinvolto parecchi esponenti del Pci. E tutti noi, di fronte a due tipi di finanziamenti illeciti, avremmo dovuto porci questa domanda. Quale, fra i due reati, è il più grave? Accettare il denaro di una potenza straniera che schiera missili nucleari contro l'alleanza di cui l'Italia fa parte, o prenderli, sotto forma di tangenti, nelle tasche dei propri connazionali? Non pretenda una risposta, caro Ottone. Non saprei darla.



DOCUMENTI


Socialismo liberale (3)

di Carlo Rosselli


Capitolo II: Dal marxismo al revisionismo

[La religione marxista]



La letteratura socialista, ricca a migliaia di volumi, difetta di una seria storia ideologica del socialismo contemporaneo; vale a dire di una storia del marxismo e delle correnti revisionistiche, su su sino alle posizioni attuali di critica e di superamento.

I marxisti puri di questa storia l’hanno sempre trascurata, et pour cause; ma non possiamo rimproverare gli ortodossi di non averci dato la storia dell’eresia. Essi sono fermi come l’ostrica allo scoglio, si illudono di possedere la verità assoluta, integrale, intangibile, hanno l’occhio sempre e solo rivolto alla “sottostante struttura economica” e ostinatamente negano vi sia nulla di sostanziale da rivedere nel corpus dottrinario marxista. Ma lo strano si è che questa storia non ce l’hanno saputa fornire neppure i revisionisti, ancorché tanto ansiosi, come di regola gli eretici, di negare la loro eresia rivendicando una stretta parentela marxistica.

Eppure sarebbe una storia singolarmente ironica e suggestiva, specie se la si conducesse sulla scorta dei criteri storiografici marxistici: giacché costringerebbe il marxismo, in quanto dottrina del moto socialista, a divorar se stesso, riabilitando il tanto bistrattato revisionismo. Ammesso infatti per un istante che le posizioni ideologiche siano il riflesso dello stato di sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di classe, ne viene che dopo le profonde trasformazioni economiche avveratesi dal tempo di Marx ai giorni nostri, anche la sua dottrina sul moto proletaria reclama una sostanziale revisione. A meno di ritenere che il relativismo marxista a tutto s’applichi – economia, diritto, arte, politica, morale – dottrina marxista esclusa…



Nella storia del marxismo si possono distinguere tre fasi. La fase religiosa, la fase critica e la fase attuale di netto superamento. Nella prima che si può arrestare intorno al 1900, il sistema marxista, nella sua interezza, ricevette la quasi unanime ed entusiastica adesione della élite socialista continentale. Per i Bebel, i Kautsky, i Liebknecht, i Guesde, i Lafargue, i Plekhanoff, ecc., il rapporto tra socialismo e marxismo si fece presto identità completa. Il marxismo appariva loro come un tutto monolitico, come una visione nuova del mondo e della vita, come la filosofia specifica del moto socialista. Non si faceva allora questione di interpretazione, ma di applicazione. Il movimento, ancora alle prime armi e nel periodo della predicazione messianica, si distingueva per una intransigente orgogliosa professione di fede intesa a segnarne il distacco e la superiorità su tutte le altre scuole sociali e socialiste. Nonostante il suo prepotente realismo, la nuova dottrina esercitava una suggestione quasi religiosa. Essere marxisti era come appartenere a un’altra razza, alla razza eletta per la quale il mistero della vita era squarciato. L’umanità si trovava ancora avvolta nelle nebbie delle false ideologie bandite da falsi pastori per interesse di classe, ignara del suo essere e del suo avvenire. Solo il marxista vedeva chiaro nel passato e nel presente, ed era in grado per la conoscenza che aveva delle leggi di sviluppo della società capitalistica, di sollecitare razionalmente l’avvento dei tempi nuovi. Il marxismo era come una seconda coscienza, ma una coscienza tutta critica, lucida, razionale, che affidava con matematica certezza della bontà e dell’inevitabile trionfo dell’ideale socialista. Il marxismo trionfava non tanto per gli intinseci contributi recati alla conoscenza del mondo capitalistico, quanto per la sicurezza che riusciva a instillare nei militanti della natura razionale della loro fede e per il suo appello a quel metodo positivo allora tanto in onore.



Tutto in Marx e nell’opera di Marx congiurava a questo fine: l’estrema difficoltà di penetrare suoi scritti, la mancanza di un’opera sistematica e riassuntiva, la sua cultura ad un tempo enciclopedica ed aristocratica, il suo stile apodittico ed astruso, la misteriosità della vita, il lungo esilio, ma soprattutto la coscienza che egli aveva, ad un grado senza precedenti, della propria grandezza e della verità inconfutabile della propria dottrina. Basta rileggere “Il Manifesto”, uno dei più potenti pamphlets della storia, per comprendere le ragioni della sua immensa fortuna. Difficile resistergli e addirittura impossibile per uno spirito semplice che acquisti per la prima volta la nozione dello stato di soggezione in cui versa. Nessun volontarista, nessun uomo d’azione, mai, seppe suscitare più ribellioni e fanatiche dedizioni di questo iroso topo di biblioteca con le sue venti pagine famose. Egli vi imprigiona con la sua dialettica seducente e, quando vi ha tra le sue mani, vi percuote il cervello con sentenze degne del Dio della vendetta. Il “Manifesto”, che fu poi il solo mediatore tra lui e le folle, possiede in grado eminente tutti i caratteri della rivelazione. Premesse apodittiche, concatenazione logica e formidabile e trascinante, sincerità brutale e fremente, fede travestita in scienza e scienza trasformata in macchina polemica, visione ciclopica della vita e del ritmo sociale. Nel “Manifesto” Marx parla il linguaggio della Nemesi. Nulla è più drammatico di quella sua volutamente fredda analisi del sistema capitalistico di sfruttamento che termina con la visione della catastrofe inevitabile dalla quale solo potrà sortire la società nuova, di liberi e di eguali, la società socialista. Un sogno romantico in nome della ragione! La giustizia alleata con la scienza, anzi la scienza che è di per sé giustizia! Quale potere di attrazione! Come resistergli, perché resistergli?



D’altronde bisogna riconoscere che i canoni marxistici di propaganda e di tattica mirabilmente rispondevano al compito immediato delle prime avanguardie socialiste, che era poi quello di svegliare il grande dormiente – il proletariato – per dargli una prima rudimentale coscienza di sé, della sua forza, del suo diritto a non vivere servo e affamato. Che importavano il determinismo fatalistico, la erronea visione apocalittica, la dolorosa irrisione degli eterni valori morali, contrassegno e impotenza, dicevasi, dei socialisti “piccoli borghesi”? Che importavano, quando Marx, come Giosué dinanzi alle mura di Gerico, lanciava l’annuncio dell’immanente trionfo?



Quale pace, quale certezza dava il suo linguaggio profetico ai primi apostoli perseguitati! Batti ma ascolta, essi potevano dire alla società borghese. Ascolta, perché noi possediamo il segreto della tua vita mortale. Noi non ci erigiamo contro di te in una negazione cieca e totale; anzi riconosciamo, come nessuno mai per l’innanzi, la tua grandiosa, indispensabile funzione storica. Anzi vogliamo che tu conduca sino in fondo la tua esperienza, svolga intero il ciclo che il Dio della produzione ti ha assegnato. Ciò è necessario per la nostra stessa vittoria. Ma ricordati che dopo, che presto, dallo sconquasso immane che segnerà la tua fine, saremo noi i tuoi unici e legittimi eredi. Tu stessa ci fornirai il materiale umano per la nostra battaglia – il proletariato – assieme a tutte le condizioni che renderanno la tua fine inevitabile; tu stessa ti scaverai la fossa ingigantendo all’infinito le contraddizioni che già sottilmente ti rodono, tu stessa accumulerai la ricchezza, la potenza produttiva, la sapienza tecnica, che consentiranno a quella che oggi è utopia di farsi realtà. Inutile la ribellione, vano ogni sforzo per sottrarsi alle inderogabili leggi dello sviluppo capitalistico. Noi parliamo il linguaggio del Fato; e il Fato nel nostro secolo si chiama Scienza.



Con straordinaria rapidità, per un processo psicologico elementare, le nuove supposte verità si tramutarono in dogmi cui tutti professarono generico ossequio, ben convinti che il genio di Marx ne avesse consegnato nei libri famosi la irrefutabile dimostrazione. Le masse si impadronirono della parte più caduca, antiscientifica, ma terribilmente suggestiva del pensiero di Marx (rigida contrapposizione delle classi, visione catastrofiche, apocalissi) e ne fecero altrettanti canoni di fede che era peccato grosso discutere. I pochi che si incaricarono di ripercorrere tutte le tappe della laboriosissima dimostrazione marxista o rimasero vittime, prigionieri del sistema, troppo deboli per confutarlo o troppo timidi per criticarlo, o ribellandosi, si misero fuori automaticamente dal movimento, La feroce persecuzione borghese attestava che si procedeva nel giusto solco, avvalorava gli articoli della nuova religione marxista. Sulle barricate, nei carceri, la fede si rinsaldava, i principi si irrigidivano, la speranza che il gran sogno fosse per avverarsi, si ingigantiva. Invece…invece fu ben altro, come i più cauti e lungimiranti avevano avvertito. Anziché la rivoluzione sociale espropriatrice venne al mondo il movimento operaio. E col movimento operaio le libertà politiche, la legislazione sociale, i partiti di massa.



(3. segue
i precedenti 1. e 2. possono essere letti su Info SOCIALISTA riportate nei siti www.socialistitrentini.it e www.socialisti.bz.it )



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