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Novantatre, terrore italico
18.1.2016 data

"Novantatré", un libro di Mattia Feltri sul terrore giustizialista dell'Italia del 1993

-di Pierluigi Battista

Corriere della Sera, 18 gennaio 2016


Si intitola Novantatré, come il romanzo che Victor Hugo volle dedicare al Grande Terrore rivoluzionario in cui il solo autorizzato a parlare era il boia con la sua ghigliottina, il libro di Mattia Feltri che è stato appena pubblicato da Marsilio. Si dice sempre: bisogna ricordare, mai abbassare la guardia della memoria. Ecco, questo libro serve a ricordare ciò che vorremmo dimenticare sui risvolti oscuri, bui, indicibili della rivoluzione chiamata "Mani Pulite" che affossò la Prima Repubblica nel 92-93.

Ci aiuta a ricordare, attraverso un'inchiesta dettagliatissima proposta da Mattia Feltri nel 2003 sul Foglio e che viene ripresa in queste pagine capaci come poche di trasmettere angoscia e stupefazione, che insieme alla non onorevole carriera dei ladri di regime e di partito si dissolse in Italia lo Stato di diritto. Un Terrore nostrano ma non meno violento, in cui i giornali e le tv non lesinarono panegirici imbarazzanti per incensare i nuovi angeli sterminatori della magistratura. In cui l'opinione giornalistica si adeguò nella sua quasi totalità (Mattia Feltri, con un'onestà intellettuale che gli fa onore, non risparmia nessuna citazione, nemmeno quelle che riguardano suo padre Vittorio) ai fogli d'ordinanza dettati dalle Procure.

In cui ci furono suicidi di cui si disse che il suicidio era la prova della colpevolezza. In cui si teorizzava l'uso smisurato e intimidatorio della carcerazione preventiva. In cui il processo mediatico soppiantò quello giudiziario in senso stretto. Alcuni ladri furono assicurati alle patrie galere? Sì. Certo. Ma la democrazia liberale e lo Stato di diritto vissero un periodo fosco e corrusco. E la giustizia si trasformò molto spesso in gogna e linciaggio. Il libro di Feltri è pieno di dettagli da brivido. Ma le citazioni dei magistrati accolte nel giubilo popolare e riportate in queste pagine dimostrano quanto sia sprofondata in Italia la cultura dei diritti.

"Si vede che c'è ancora qualcuno che per la vergogna si uccide", disse Gerardo D'Ambrosio dopo il suicidio del socialista Sergio Moroni. "Noi incarceriamo la gente per farla parlare. La scarceriamo dopo che ha parlato", proclamò Francesco Saverio Borrelli. Il gip onnipresente Italo Ghitti: "Il nostro obiettivo non è rappresentato da singole persone, ma da un sistema che cerchiamo di ripulire". Pier Camillo Davigo, a un convegno del Lions Club del 14 luglio 1993: "Gli inquisiti non si possono lasciare in libertà, altrimenti la gente si incazza". Il Terrore.




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