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CRAXI 1992 a La7
Gennaio 2016

CRAXI 1992 a La7: cosa avrei detto io
-di Mauro Del Bue
Pubblicato il 9 gennaio 2016 su AVANTIONLINE


Enrico Mentana ha ripreso il film di Sky sul 1992, concludendolo con un lungo dibattito al quale hanno partecipato Di Pietro, Feltri, Gori e il nostro Bobo Craxi. Se avessi avuto la possibilità di intervenire avrei posto le seguenti questioni, oltre a quelle trattate da Bobo:

1) A Di Pietro avrei obiettato la legittimità dei diversi processi che si sono conclusi dopo indagini svolte con interrogatori affrontati attraverso il ricorso al carcere preventivo degli imputati, negato dalla legge se non in tre esclusivi ed eccezionali casi. E per Craxi utilizzando il teorema del “non poteva non sapere”, negato per gli altri segretari politici, poi comminando al leader del Psi condanne a decine di anni di carcere. Craxi è stato l’unico leader politico italiano condannato al carcere, praticamente all’ergastolo, mentre tutti gli altri leader politici italiani di un sistema dal finanziamento irregolare ed illegale, come anche Di Pietro ha riconosciuto, potevano stare in libertà. Alcuni condannati, altri nemmeno indagati. Potremmo citare Forlani, Andreotti, La Malfa, Altissimo, per non parlare di Occhetto e D’Alema. E’ stato tutto questo equo, equilibrato, obiettivo?

2) Sui processi a Craxi è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha sentenziato non esservi stato il crisma del giusto processo. Per di più le tre sentenze sul primo capo di imputazione riferite alla Metropolitana milanese sono state tutte emesse in pochi mesi, caso unico nel sistema giudiziario italiano. Chissà perchè la lenta macchina del sistema giudiziario si è improvvisamente messa a correre…

3) Sulle dichiarazioni di Di Pietro, che ha sostenuto la tesi dell’arricchimento a fini personali del leader del Psi e degli altri uomini politici della Prima Repubblica, avrei rinviato alla lettura di una intervista di Gerardo D’Ambrosio, che era parte attiva del Pool Mani pulite, in cui si sosteneva, almeno per Craxi, esattamente il contrario. E cioè che i finanziamenti erano a scopo politico. Di Pietro e D’Ambrosio avevano notizie differenti? Non sono in grado di dire chi dei due abbia detto la verità. Solo di mettere in contrasto le due opinioni.

4) Mi spiace che non sia mai stato citato il libro di Niccolò Amato, che smantella punto per punto tutte le accuse e le sentenze, che appaiono invero di stampo politico, che hanno coinvolto Craxi. E soprattutto che non sia stata citata la prefazione di Vittorio Feltri che, contrariamente a quello che ha sostenuto in televisione, ha scritto di essere stato ad Hammamet a chiedere scusa a Craxi per i suoi articoli scritti ai tempi dell’Indipendente. Altro che beatificare Di Pietro per le sue “ottime inchieste”, come ha dichiarato egli stesso nel corso del dibattito.

5) Infine avrei insistito sulle tesi sostenute dall’ambasciatore americano Bartholomew, sulle sue preoccupazioni attorno alla legittimità dell’operazione Mani pulite e sulle ammissioni del console Semler che ha ricordato invece i suoi molteplici incontri con Di Pietro che gli avrebbe riferito mesi prima dell’obiettivo di colpire Craxi. Perché questi rapporti tra un magistrato e una potenza straniera?

Dico tutto questo non rinunciando alle mie posizioni di allora. Vedevo (fui all’epoca anche commissario del Psi di Pavia) le distorsioni della politica soprattutto nell’area milanese e compresi le ragioni dell’affermazione della Lega in quelle zone, dovute al progressivo distacco del paese reale, che poi si consumò più drasticamente a seguito delle indagini. Ne fu conseguenza, non causa, come Mentana sostiene. E aggiungo che l’errore fondamentale di Craxi fu quello di non capire il significato di rottura dell’ottantanove. Per questo non seppe anticiparne gli effetti sul sistema italiano. Ma il mio dissenso non si trasformò mai né in indifferenza, né in mancanza di solidarietà, atteggiamenti assunti invece da molti di quelli che avevano silenziosamente accettato tutte le scelte di Craxi. Ci tengo molto a sottolineare il mio comportamento che mi portò, sia pure da posizioni diverse (ero stato all’opposizione nel Psi, con Claudio Martelli) a votare alla Camera contro le autorizzazioni a procedere, firmando così la condanna nel 1994 del tavolo dei progressisti, il tribunale politico della gioiosa macchina da guerra.



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