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Maria Canestrini
7 settembre 2015

Ricordiamo Maria Canestrini (1926-2015) - la professoressa di storia e filosofia scomparsa in questi giorni – anche come nostra compagna di fede politica: fu con il consigliere provinciale socialista Giancarlo Tomazzoni una delle persone più attente ai problemi della scuola trentina, contribuendo a migliorare la legislazione provinciale in materia.
La ricordiamo anche per la sua fede cristiana, praticata con umiltà e nei campi di assistenza ai più deboli, in cui si spese tanto nei suoi tempi liberi e dopo la pensione.
Ne conserviamo anche un ricordo personale: fu nostra professoressa al liceo classico di Rovereto con la classe A che terminò il percorso nel 1973-1974. Fu nostra “maestra di vita”, ci insegnò non solo a conoscere la storia ma anche a “meditarla”. Infuse in molti di noi quella “curiositas” che sta alla base della creatività, della capacità di capire i fatti, dandoci le basi – come sanno fare tutti gli insegnanti “davvero buoni” - per diventare migliori, donne e uomini in grado di saper vivere. In lei possiamo dire che abbiamo trovato una rappresentante degli studi umanistici che fanno di queste discipline, di questi studi classici, ancora e sempre la base per sviluppare “un’attitudine a pensare e a giudicare indipendentemente”. E’ quest’ultima la risposta che diede il più grande scienziato e fisico del Novecento a chi pretendeva di enfatizzare sopra tutto le specializzazioni tecniche. Queste restano importanti ma solo se si innestano su “una personalità armoniosa”, dotata dunque anche di una formazione umanistica, della capacità di comprendere il messaggio di un libro, di leggere una poesia, di interpretare il fluire delle civiltà umane.
Maria Canestrini ci ha dunque aiutato molto, a lei molti di noi hanno portato in dono copia della propria tesi di laurea, con dedica “alla Maestra”. Noi non la dimenticheremo finché vivremo, con la nostalgia che infondono le parole di Joseph Roth: “Così era allora. Tutto quello che nasceva aveva bisogno di molto tempo per crescere, e tutto quello che finiva aveva bisogno di molto tempo per essere dimenticato”.

Nicola Zoller



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