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MEMORIA NON SIGNIFICA NOSTALGIA -di Alessandro Pietracci, segretario Psi trentino Giornale "Trentino" del 29 maggio 2015, p.1- 13. Antonio Salandra, Presidente del Consiglio dal 1914 al 1916, alla fine del primo conflitto mondiale dichiarò: “L’Italia non sarebbe entrata in guerra se non ci fossero stati i giornali”. La carta stampata ha un così grande potere? Salandra, convinto interventista in opposizione al più prudente e “navigato” Giovanni Giolitti, si riferiva alla martellante campagna che giornali e riviste dell’epoca attuarono per convincere l’opinione pubblica a completare il processo unitario del paese, scendendo in campo contro gli imperi centrali. Oggi, dopo un secolo cruento, facciamo fatica a comprendere il tempo in cui era normale e giusto esaltare la guerra come via per regolare i rapporti tra i popoli e gli Stati. Per fortuna la diffusa mentalità è ora forgiata sulla Costituzione che “ripudia” la guerra: sappiamo che essa è “un’inutile strage”, causa di lutto, distruzione e ulteriore odio. Per questo negli scorsi giorni non abbiamo inteso “festeggiare” il centenario dell’entrata in guerra dell’Italia, una data sicuramente triste, soprattutto per il Trentino che si è visto catapultato a ridosso della linea del fronte. Celebrare il 24 maggio significa ricordare una pagina di storia fondamentale per l’Italia e per questa terra , fino ad allora territorio dell’impero Austro-Ungarico. Per costruire un presente pacifico e pacificato non si può rinnegare il passato o tentare di piegarlo alle esigenze politiche del momento. Non comprendiamo allora l’iniziativa di Ugo Rossi di invitare ad esporre a mezz’asta le bandiere di Regione e Provincie e ancora peggio l’idea di marcare la propria diversità andando in Tirolo del nord, assieme al suo omologo di Bolzano Arno Kompatscher. Non si tratta certo di pacifismo, ma di uno strano e nostalgico sentimento pantirolese e austriacante che non trova riscontro nel sentimento della stragrande maggioranza dei trentini e della popolazione italiana di Bolzano. La manifestazione di Innsbruck, dove i tre Presidenti dell’Euregio, hanno ricordato “la sconfitta” rappresentata dalla guerra, come ha detto Rossi, è stata surreale. Con un paradosso stridente, mentre si inneggiava alla pace, si applaudiva alla parata dei corpi militari storici e delle varie federazioni di Schützen e Kaiserjäger. Non solo: sappiamo che la guerra ha causato morte e distruzione in Trentino. Ma quando è cominciata quella terribile guerra per il Trentino? Nel 1915? Per colpa dell’Italia? Chi ha mandato ignari contadini a morire in Galizia nell’ottobre 1914? Gli irredentisti che vogliono esporre il tricolore? Perché i tre Presidenti non hanno celebrato la “sconfitta” nel settembre dell’anno scorso, prendendosela con chi ha voluto la guerra, cioè quell’impero austro-ungarico che forse rimpiangono?. Sappiamo bene che la dichiarazione di guerra italiana ha causato danni gravissimi per le popolazioni di confine: profughi, vittime, internati. Anche questo fa parte di una storia che non si può riscrivere a piacimento. Ma qualcuno cerca invece di cambiare il passato, inventandone uno assai diverso dalla realtà. L’icona bellicista di questo revisionismo storico è diventato “il socialista“ Cesare Battisti, colpevole di “diserzione” e di aver combattuto i trentini. Ebbene, proprio Battisti l’interventista era stato fino all’ultimo un convinto pacifista, quando si poteva ancora fermare la guerra. Alcune sue lettere denunciavano la politica dell’Impero che avrebbe portato a “milioni di morti”. Poi, sicuramente, Battisti, da politico navigato e pragmatico, aveva capito che l’Italia non poteva escludersi dal conflitto: esso era l’occasione per compiere il disegno unitario italiano. Si voglia o non si voglia l’unità d’Italia è stata conquistata con un movimento culturale secolare, ma anche con le armi di tanti soldati italiani che parlavano dialetti diversi, quasi sempre tra loro incomprensibili. Bisognerebbe poi ricordare che, dopo la lunga e dolorosa parentesi della dittatura fascista, è stata l’Italia repubblicana e democratica – che affonda le sue radici pure nel risorgimento – a dare al Trentino Alto Adige quell’autonomia speciale che mai e poi mai gli Asburgo avrebbero concesso. Si dirà che è stato merito di Degasperi. Vero, ma perché non era stato ascoltato dagli austriaci quarant’anni prima? Sono domande retoriche, perché la storia non si può cambiare. Oggi abbiamo imparato che la guerra, comunque si concluda, è sempre un male a volte inevitabile. Non sono stati gli Schützen a spiegarcelo, ma statisti riformisti europei che guardavano in avanti. Ha fatto bene allora il sindaco di Trento Andreatta, che non ha assecondato l’estemporanea iniziativa del Presidente Rossi, dichiarando: “Nessun festeggiamento, ma solo il dovere della memoria”. Una memoria che dobbiamo fare nostra. torna in alto |