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Replicando al direttore del TRENTINO: PER CRAXI UN PENSIERO DOLCISSIMO, CONTRO LE OPINIONI CORRENTI E CORRIVE -di Nicola Zoller AVANTIONLINEhttp://www.avantionline.it/2014/04/scrive-nicola-zoller-craxi-e-la-cattiveria-delle-sentenze-terrene/#.U0Zq_-mKDIU Ringrazio il direttore del giornale Trentino Alberto Faustini per aver riportato martedì 8 aprile 2014 una mia nota intitolandola “D’Ambrosio, Craxi e Tangentopoli”. In memoria del magistrato già capo della procura di Milano, Dino Messina sul Corriere della Sera ne aveva ricordato la “bravura” e anche l’indipendenza. Mi ero prudentemente associato, rammentando anche che D’Ambrosio aveva dichiarato testualmente che “la molla di Craxi non era l’arricchimento personale ma la politica”: una nota gentile fuori dal greve coro giustizialista che infieriva anche sulla sfera privata dell’esponente socialista. Tuttavia Faustini non recede dal ribadire a proposito di Craxi il verdetto giudiziario propalato nell’ultimo ventennio: “ladro”! Eppure chi ha provato a scrutare un poco le cose della storia sa che dal tempo di Aristotele “in teatro come in tribunale non conta la realtà ma come essa viene rappresentata”. Non a caso secoli e secoli dopo Voltaire – a proposito dell’incertezza del diritto - poteva affermare che “se a Parigi ci fossero 25 camere di giudici ci sarebbero 25 giurisprudenze diverse”. Così nel XX secolo Helmut Kohl in Germania e François Mitterand in Francia potevano essere chiamati in causa per i finanziamenti della politica: ma quei Paesi hanno esentato i loro leader da pene infamanti e chiamato invece le istituzioni a meglio regolare l’attività politica. In Italia no. Non sono mancati i meriti della stagione riformista - afferma Faustini - ma ci sono state colpe non di poco conto che non sono emendabili. Potrà insomma esserci, per chi ci crede, la giustizia divina “a fare un distinguo” favorevole, ma la giustizia terrena “non lo può proprio fare”. D’Ambrosio può aver sollevato Craxi dall’ingiuria di essere mosso dalla bramosia dell’arricchimento personale, ma quello resta un “ladro”. Eppure la storia è piena di questa tipologia di “ladri”: e racconta come larga parte della lotta politica sia condotta spietatamente con l’accusa di immoralità rivolta all’avversario (si confronti al proposito il saggio di F. Alberoni “Valori”, edito da Rizzoli). Nella storia italica ci sarebbe un “ladro” eccellente di questo tipo: osiamo parlare di Dante Alighieri, che occupandosi dell’amministrazione di Firenze “fu giudicato colpevole di aver ricevuto denaro in cambio dell’elezione dei nuovi priori, di aver accettato percentuali indebite per l’emissione di ordini e licenze a funzionari del Comune e di aver attinto dal tesoro di Firenze più di quanto correttamente dovuto” (testualmente in Carlo A. Brioschi, “Breve storia della corruzione dall’età antica ai giorni nostri”, Tea ed., Milano, 2004, p.55). Dante non si presentò al processo - si difese dunque dal processo, non nel processo che reputava evidentemente persecutorio - e fu condannato a morte in contumacia. Fu così che a 37 anni intraprese la strada dell’esilio, della “latitanza” avrebbero detto altri nella parlata tribunalizia del XX secolo. Direttore Faustini, anche per Dante la giustizia divina avrà pur fatto “un distinguo” più che sacrosanto… ma quella terrena - che come affermi non può fare distinguo alcuno! - è stata spietata: inseguito dalla sentenza urlata “chi ruba è un ladro!” Dante scappò di terra in terra (“come sa di sale lo pane altrui…”) e morì lontano dalla città natale che gli avrebbe riservato soltanto l’infamia del rogo. Eppure a noi ripugna ancora la cattiveria di quelle sentenze “terrene” e resta invece dolcissima la memoria di quel “ghibellin fuggiasco”. Come – si parva licet - quella del “fuoriuscito tunisino”. torna in alto |