|
RICORDIAMO WALTER MICHELI A CINQUE ANNI DALLA MORTE, RIPORTANDO IL COMMENTO AL SUO LIBRO PIU' IMPORTANTE pubblicato da INFO SOCIALISTA del 25 dicembre 2006 SCRITTO DA MARCO BATTISTI, NIPOTE DI CESARE BATTISTI. Autore: Walter Micheli Titolo: “IL SOCIALISMO NELLA STORIA DEL TRENTINO” Il Margine ed., 340 pagine, 15,00 euro “Mi sono sentito offeso per tanti anni a causa delle diffamazioni. Il PSI non era Ali Babà con intorno i quaranta ladroni”- Giuliano Amato, 7 dicembre 2006, Corriere della Sera, p.13 di Marco Battisti “Il socialismo nella storia del Trentino” di Walter Micheli, è un gran bel libro che ricostruisce con forza e orgoglio la storia di cento anni di impegno politico dei socialisti trentini, la natura forte del loro messaggio, il contributo generoso per la crescita della nostra terra e della democrazia italiana. Si restituisce l’onore ai socialisti e, colmando un vuoto di storia e memoria, si offrono alla comunità trentina idee e strumenti per costruire gli scenari del futuro. Alla presentazione del libro, in una sala colma all’inverosimile, si sentiva la complicità di sguardi ed emozioni tra i tanti socialisti presenti, che da lungo tempo non si incontravano, e tra questi e molti antichi avversari o alleati politici. In questo clima emotivamente intenso, ad un certo punto, Ulisse Marzatico ha chiesto, a sé e agli altri, come mai questa grande storia dei socialisti si sia potuta improvvisamente dissolvere, una dozzina di anni fa. Alla sparizione dei dinosauri dalla terra si dà una spiegazione scientifica, ma perché i socialisti, ancora oggi presenti e protagonisti in tutti i paesi europei, in Italia non ci sono più? Nel libro di Micheli questa questione non viene affrontata, si accenna in più occasioni alla “questione morale” e nell’introduzione del libro, Renato Ballardini parla della “crisi degenerativa causata dal craxismo”. In questi anni molti studiosi, oltre a protagonisti politici sia socialisti che riformisti postcomunisti hanno scritto su quel periodo storico e la sostanza della questione è venuta alla luce. Si può dire che storia del partito socialista dal 1945 al 1993, è coincisa con lo sforzo della società italiana di liberarsi dai vincoli imposti dall’accordo tra le potenze vincitrici della guerra che sanciva la divisione del mondo in blocchi: quello americano e quello sovietico. In questo accordo, fu deciso di non dividere territorialmente l’Italia in due parti, come era avvenuto in Germania, ma di dividere tacitamente il paese in due aree di influenza politica, una tutelata dalla Democrazia cristiana e l’altra dal Partito comunista. La conseguenza è stata la nascita una democrazia bloccata, impossibilitata ad organizzarsi secondo le regole dell’alternanza di governo: la Dc obbligata a governare e il Pci obbligato all’opposizione. Da qui ha origine, in un paese in cui lo scontro politico interno è parte di uno scontro di livello mondiale, la questione della spesa enorme per finanziare la lotta politica, i flussi di denaro di provenienza estera per gli uni e per gli altri, il ruolo pressante e continuo dei servizi segreti sulle vicende italiane. Da allora ha preso corpo il fatto che l’attività politica fosse finanziata in nero, quindi in violazione della legge. Dal finire degli anni ’50, il Psi inizia una battaglia su due fronti, da un lato sganciarsi dall’egemonia e dalla pressione del Pci e, dall’altro, rafforzare sempre più il proprio ruolo di alleato e allo stesso tempo di competitore con la Dc per la guida del paese. Nasce il centro sinistra di Nenni e Lombardi che come, ricorda Ballardini, portò a termine importanti riforme. Ma ancora di maggiore rilievo è stato il ruolo dei socialisti alla fine degli anni ‘70 e per tutto il decennio successivo quando seppero dare una sterzata al quadro politico italiano, uscendo da una posizione difensiva che relegava il Psi alla marginalità e proponendo un disegno di modernizzazione complessiva del paese che, come si vide, il paese mostrava di condividere. La sfida era il superamento del rapporto consociativo tra Dc-Pci, nelle sue varianti di governi di unità nazionale e di compromesso storico, che metteva una camicia di forza alla evoluzione politica del paese e lo poneva in forte ritardo rispetto a quanto accadeva nel mondo. Occorreva rompere queste logiche e portare l’Italia alla normalità, cioè in sintonia con quanto accadeva nei paesi europei dove esisteva un rapporto dialettico tra uno schieramento socialista e uno moderato o conservatore. Lo scontro politico è stato allora furibondo tra grandi personalità politiche, non mezze cartucce. Berlinguer arrivò a sostenere che il Psi era una minaccia per la democrazia; De Mita sosteneva di preferire un accordo sottobanco tra Dc e Pci, piuttosto che l’ ipotesi di una alternanza tra moderati e riformisti alla guida del paese. Quello che mancò è stata la capacità di costruire un’intesa tra Psi e Pci. Se, ad esempio, Berlinguer avesse dato il via libera alla Cgil di Lama per l’accordo sulla scala mobile, che gli altri sindacati avevano sottoscritto, si sarebbero create le premesse per una evoluzione verso l’unità della sinistra riformista; e il Pci avrebbe evitato una disfatta elettorale clamorosa. Riferendosi a quel periodo, nel suo libro “Per passione”, Piero Fassino scrive: “Sono anni molto difficili. Il Pci è su un binario morto: l’esaurimento della strategia del compromesso storico non ha portato all’elaborazione di una alternativa. In fondo, la tragica fine risparmia a Berlinguer l’impatto con la crisi della sua strategia politica”. Nei governi a guida socialista, senza nascondere mancanze, errori gravi e buoni propositi andati per aria, il bilancio è positivo. In particolare il ruolo esercitato sulla scena europea e internazionale, la forte coscienza dell’autonomia e dell’interesse nazionale, l’autorevolezza acquisita. Non a caso, come emerge dalle pagine di Micheli, i migliori risultati dei socialisti trentini coincidono con quel periodo. Ma perché allora il Psi si è dissolto? C’è stato un tempo, nel massimo splendore di Manipulite, che solo avere in tasca la tessera socialista poteva far configurare l’ipotesi di reato. Entra in scena una valanga mediatico-giudiziaria di tale intensità e con un tale effetto sull’opinione pubblica da far pensare che non sia stata estranea una volontà politica di distruggere un’intera classe dirigente. Non vi è dubbio, oggi, che prevalse uno spirito giustizialista, emersero spinte antipartitiche e contro la politica in generale, populismi e appelli alla piazza su cui alcuni costruirono la loro fortuna politica ed altri, invece, pensando anche loro di trarne profitto, finirono per perdere la metà del loro elettorato storico. Proviamo a pensare cosa sarebbe successo, nel clima della giustizia mediatica di allora, se si fosse verificato che un imprenditore accusa il vicesindaco di Trento di avergli promesso, e poi non mantenuto, il cambio di destinazione di un’area da agricola a industriale. Avremmo assistito a un gran tintinnar di manette, carcerazioni preventive, chiamate in correo, pubblici ministeri indaffarati a rilasciare interviste, articoli a nove colonne e folle a lanciar monetine sul malcapitato di palazzo Thun. La sua immagine politica ne sarebbe uscita per sempre distrutta, prima ancora di un eventuale processo. In effetti, l’intero sistema politico italiano era finanziato in modo illecito, e questo era il suo tallone d’Achille perché lo rendeva di fatto, in ogni momento, perseguibile. Tale situazione di illegalità è esplosa quando è caduto il muro di Berlino: veniva meno il pericolo comunista e i cittadini chiedevano un cambiamento politico profondo; in tutta Europa venivano sconfitti i partiti di governo. In una situazione degenerata, Craxi, senza sottrarsi alle sue personali responsabilità, denunciava il sistema del finanziamento illecito chiamando in causa tutti, ma le sue parole sarebbero cadute in un ambiguo, assordante silenzio generale. A quindici anni di distanza, si possono tirare le somme di Manipulite ed è evidente che i risultati ottenuti sul piano politico -eliminare con la distruzione dell’immagine un’intera classe politica- superano di mille miglia i risultati ottenuti sul piano giudiziario. L’accanimento giustizialista nei confronti dei socialisti è stato particolarmente intenso: comune per comune, sindaco o assessore, mirando a tutti quelli che rappresentavano il tessuto connettivo di una comunità politica di milioni di italiani. A conclusione, la stragrande maggioranza di queste persone è uscito indenne dall’indagini e quella condannata è un quota marginale. Una ricostruzione storica di quelle vicende, anche riguardo il Trentino, è importante per dimostrare che le accuse sommarie non corrispondevano alla realtà e per riconoscere quello che il socialisti hanno dato e potranno dare al loro paese e alla loro terra. L’onore ai socialisti ed a Craxi viene ancora da Fassino che scrive: “Craxi è uomo profondamente di sinistra. Autonomista, anche all’epoca del Fronte popolare, ha uno spiccato senso dell’identità socialista rispetto all’area maggioritaria della sinistra italiana, quella comunista. Certo, Craxi non esita a fare della competizione a sinistra, puntando ad accrescere le difficoltà del Pci, inducendoci a reagire nel modo peggiore, con un più alto livello di conflittualità. Ma resta il fatto che il Pci non appare capace, negli anni ’80, di affrontare il tema della modernizzazione dell’Italia, spingendo così ceti innovatori e produttivi verso chi, come Craxi, dimostra di comprenderli”. INFO SOCIALISTA Giugno 2013 - a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 3382422592 - Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it Quindicinale - Anno X torna in alto |