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Info SOCIALISTA – 10 settembre 2005 a cura della segreteria regionale SDI, per i rapporti con l’azione nazionale dei socialisti e del centro sinistra n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 – fax 0461-944880 – Trento/Bolzano Quindicinale - Anno 2° UN LIBRO, per cominciare (“Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro” Jorge L. Borges) Autore: Wilma Stockenström Titolo: SPEDIZIONE AL BAOBAB € 12,00 Pagine dense di sfumature che dipingono la conquista della libertà Ritorno alle radici Un’africana, una dea, una donna che ritrova se stessa Recensione di Eugenia Palazzetti “Maledico quell’essere inafferrabile che mi ha portata fin qui, che ha attraversato la mia vita e quella di altri, dalle cui labbra pendevo in scandalosa obbedienza, cieca di terrore, confusa, fuori di me. Maledetto chi del nostro sacrificio faceva spettacolo e voleva abbellire il dolore con la comprensione”. Serve ancora leggere storie di schiavitù. “Spedizione al baobab” di Wilma Stockenström è un piccolo gioiello della narrativa afrikaans giunto a noi grazie all’interesse del premio Nobel J.M. Coetzee che lo ha tradotto in inglese facendogli da cassa di risonanza. E l’opera merita. L’azione si svolge in Sudafrica, all’interno di un tronco cavo di baobab, rifugio di una donna sola, affamata, persa in una natura dimenticata di cui dovrà ritrovare il linguaggio. Una sorta di ritorno alle radici laddove la fuggitiva è una delle tante vittime della tratta degli schiavi, strappata al suo villaggio, testimone delle violenze dei cacciatori e sopravvissuta all’atroce viaggio in nave fino al mercato di una città costiera dove troverà il primo, il secondo, il terzo e ultimo padrone. Tutti questi però sono ricordi lontani e perduti che solo tra le primitive pareti di corteccia ritrovano colore nella mente della protagonista. Al suo arrivo all’albero, smarrita e indifesa, i suoi pensieri non sono che una sequela di immagini e sensazioni. Quasi fosse tornata ad uno stato animale, in lei dominano i sensi e guidano gli istinti, dando al corso dei suoi ragionamenti un andamento caotico e nebuloso. Pagina dopo pagina la vicenda, quasi come una fotografia sfocata, inizia a recuperare i suoi colori acquisendo contorni definiti. Più nitidi di tutti gli anni della schiavitù e della giovinezza, delle privazioni e delle violenze. È una donna fredda e impermeabile quella che si presta ad una vita misera e rozza (che va avanti “con amarezza, dunque. No, l’amarezza me la sono proibita. Allora con ironia, un sentimento più civile, che sa mantenersi trasparente e distaccato”). La prima rinascita con il secondo padrone che la rende “seducente” restituendole in parte una sorta di potere sugli uomini. L’ascesa culmina con il terzo uomo, padrone scelto e in un certo senso “amato” con cui intraprenderà il fatale viaggio di esplorazione che la libererà nel veld. Solo dopo aver ripercorso la sua storia la donna andrà oltre i ricordi e ritroverà il suo passato più lontano, affrontando il presente come la simbolica chiusura di un cerchio. La forza dell’opera della Stockenström è comunque talento immaginifico oltre che narrativo. Le parole che inanella escono dalle pagine toccando quasi fisicamente il lettore e dipingendo per lui orizzonti ricchi di fascino e di dolore. “Spedizione al baobab” è uno dei rari casi in cui usare l’espressione “potenza evocativa” non appare retorico né eccessivo. Un po’ fiaba, simbolicamente mito, purtroppo per moltissimi africani vergognosa realtà. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ IL PUNTO DI VISTA SOCIALISTA SULL’ATTUALITA’ Romano Prodi il nostro candidato Enrico Boselli A Romano Prodi, che è partito mercoledì 7 da piazza SS. Apostoli a Roma per l’inizio della sua campagna per le primarie, facciamo i nostri più cari ed affettuosi auguri. La meta finale di questo suo giro d’Italia non sarà solo l’investitura a candidato premier, di cui siamo sin d’ora sicuri, ma Palazzo Chigi dove assumerà, con il consenso delle elettrici e degli elettori, la guida del Governo. Il sostegno dello SDI a Prodi non è formale o di circostanza, non è neppure maturato all’ultimo momento, ma nasce dalla piena condivisione del suo progetto. Noi siamo stati tra coloro che sono stati i più determinati nel sostenere la necessità che la coalizione di centro sinistra potesse contare sull’Ulivo come forte e autorevole timone riformista. Dato che questo progetto è ora congelato, tanto più occorre che Romano Prodi esca dalle primarie con un larghissimo consenso che lo metta in condizione di dare un’impronta riformista a tutta l’Unione, necessaria per vincere le prossime elezioni e ancora più indispensabile per poter governare bene. Noi assicureremo a Romano Prodi tutto il sostegno delle nostre compagne e dei nostri compagni, facendo opera di persuasione innanzi tutto verso le elettrici e gli elettori perché vadano a votare alle primarie. Non è una prova inutile, né è scontata. Conterà la partecipazione al voto e conterà la dimensione del successo della sua candidatura. Noi portiamo a Romano Prodi il consenso di un’area socialista che ha fatto sempre del riformismo e della laicità, della libertà e della giustizia sociale, della pace e della sicurezza i suoi valori fondamentali. Per rafforzare questi principi, noi ci stiamo impegnando al fine di realizzare una più larga e forte unità di tutti i socialisti e stiamo lavorando con i radicali di Marco Pannella per la costruzione di una nuova forza che riprenda le idee innovative di Blair, di Zapatero e di Fortuna. Da questa nostra costruzione potrà arrivare all’Unione un rafforzamento ulteriore e un contributo essenziale sui temi delle libertà e dei diritti civili. Siamo convinti che Romano Prodi saprà apprezzare il nostro forte e pieno consenso, tenendo conto delle nostre idee, dei nostri convincimenti e del nostro attuale lavoro politico nel portare a sintesi politica e programmatica una coalizione che è plurale. A tutte le nostre compagne e a tutti i nostri compagni rivolgo, quindi, un appello perché contribuiscano con passione e tenacia ad una sua grande affermazione. ********************** Radicali e socialisti un legame di oltre un secolo Tutto quel poco o quel tanto che in questo paese si è riusciti a fare nel campo dei diritti di libertà, di quelle regole che ampliano il ventaglio delle nostre scelte e che “governano” la nostra vita, si è fatto quando radicali e socialisti hanno saputo e potuto trovare un comune denominatore, un’intesa, vittorie e progressi di tutti, per tutti Gualtiero Vecellio La possiamo prendere alla lontana: cent’anni fa, si consuma a Milano una sanguinosa repressione, guidata dal generale Fiorenzo Bava-Beccaris. Alle cannonate e alla brutale repressione del maggio 1898, i milanesi rispondono dando la maggioranza per il comune alla lista unitaria (si chiamava “Unione”), raggruppamento di radicali, repubblicani e socialisti. Per Filippo Turati e la “Critica Sociale” l’accordo non rappresenta un fatto episodico; piuttosto è “l’elemento centrale della nuova strategia” da adottare; una strategia che si sarebbe imposta a livello nazionale nelle elezioni politiche del giugno 1900. Un’alleanza che consente il varo di un piano di riforme politiche ed amministrative: dalla refezione scolastica alla costruzione di case popolari e la municipalizzazione dell’energia elettrica. “Milano”, scrive Gaetano Salvemini, “in quei mesi non faceva altro che anticipare le tendenze che sarebbero state accolte poi dal resto d’Italia, facendo nascere quell’alleanza che poi sarebbe stata fondamentale nello sconfiggere la reazione di fine secolo”. Ma veniamo a tempi a noi più vicini. Doppia tessera, radicale e socialista da sempre, Loris Fortuna è uno dei campioni dell’Italia laica, socialista e libertaria; e questo spiega il suo essere vieto e vietato. Per dire: non esiste una via a Roma o a Milano a suo nome; la Camera dei Deputati non ha predisposto alcuna raccolta dei suoi interventi; il ministero delle Poste così prodigo nel ricordare e omaggiare con francobolli e annulli personalità di ogni tipo, non ci pensa neppure di dedicarne uno a Loris. Chissà che questa rimozione (certo: odiosa e da combattere), alla fine non sia il riconoscimento migliore che i suoi avversari gli possono fare. In un articolo, “Doppia tessera e tradizione socialista”, del 1972, sostiene: “… E’ necessario reggere un urto generale, ciascuno di noi nel suo partito, e che il Partito Radicale si rafforzi in una tenuta continua, e contemporaneamente si organizzi un movimento di massa. Ho proposto come perno di un rilancio del Partito Radicale dei socialisti, una Costituente Laica. La prima cosa da fare è dichiarare pubblicamente che credo giusto ritornare al vecchio metodo di iscrizione che fu del primo socialismo italiano. Ritengo che si debba riproporre, sia anzi un motivo di arricchimento ideale e di eguaglianza in una serie di battaglie, la possibilità di essere iscritto a due partiti affini, di avere la doppia tessera...”. Non c’è, in quegli anni, solo Fortuna che “concilia” la tessera radicale con quella socialista. Tra i tanti che decidono di iscriversi al PR mantenendo la tessera del PSI il senatore Giorgio Fenoaltea: “La componente laica”, scrive, “dovrebbe entrare in Italia nella prassi di ogni partito di sinistra, in quanto educazione al corretto pensare civile...”. Fenoaltea, assieme ad altri parlamentari socialisti di allora (Fortuna, Carlo Mussa-Ivaldi, Arialdo Banfi, Eugenio Scalfari) è tra quanti ritiene la vittoria sul divorzio il primo passo per successivi scontri tra l’anima progressista e laica del paese e quella democristiana, conservatrice e clericale. In opposizione alle classi politiche dei partiti laici di allora, che considerano la battaglia divorzista come una parentesi. Fenoaltea, con Fortuna, Mussa-Ivaldi, Scalfari, Iannuzzi, Renato Ballardini (e altri: Ferruccio Parri, Simone Gatto, Lelio Basso, l’indipendente di sinistra di estrazione cattolica Gianmario Albani, il liberale Ennio Bonea), nel direttivo della LIAC, la Lega Italiana per l’Abrogazione del Concordato. Fortuna non è “solo” il padre “parlamentare, con il liberale Antonio Baslini, della legge che introduce il divorzio in Italia, in quegli anni fortemente sostenuta e voluta dai radicali e dalla Lega per l’istituzione del divorzio. Il suo nome è legato anche ad un’altra fondamentale legge di civiltà: quella che depenalizza l’aborto: questione che viene imposta all’agenda politica dagli arresti di Emma Bonino, Giorgio Conciani, Adele Faccio e Gianfranco Spadaccia. In quell’occasione radicali e socialisti percorrono un importante tratto di strada insieme. La doppia tessera Non per un caso il congresso del novembre del 1975 a Firenze vede la partecipazione di una nutrita rappresentanza socialista di tutte le “anime” del partito (Michele Achilli, Luigi Mariotti, Tristano Codignola, Loris Fortuna, Mario Artali, Luigi Bertoldi). Un altro parlamentare che spesso incrocia la sua strada con quella dei radicali è Ruggero Orlando, mitico corrispondente della RAI da “Qui, Nuova York…”; Orlando, socialista da sempre, dopo aver lasciato la RAI si candida nelle liste socialiste, viene eletto; e oltre a sostenere quasi tutte le iniziative radicali, si iscrive come Fortuna e altri al partito, “doppia tessera”. Sempre in quegli anni viene redatta una “Carta della libertà, progetto di iniziativa popolare per l’attuazione delle libertà e delle garanzie costituzionali” a cui lavorano oltre ai radicali anche giuristi ed esperti socialisti (Federico Mancini, Gino Giugni, Mario Bessone, ecc.). Un momento importante di unità sostanziale e operativa si raggiunge nel 1986. Il 13 marzo di quell’anno presso la Corte di Cassazione si depositano le richieste dei referendum sulla responsabilità civile dei magistrati; sulla commissione parlamentare inquirente; sul Consiglio Superiore della Magistratura. Nelle richieste di referendum sottoscritte da esponenti radicali, socialisti e liberali c’è già tutto quello che ancora oggi si denuncia a proposito dei mali della giustizia. Più in generale si può dire che radicali e socialisti si sono “trovati” o “ritrovati” in occasione delle iniziative politiche e referendarie contro i reati di opinione (1971, 1974, 1977-78); contro le norme della cosiddetta “legge Reale” e poi contro quelle della cosiddetta “legge Cossiga); contro l’ergastolo; la riforma dei codici, del sistema penitenziario e dei relativi ordinamenti; fino alle ultime per l’indulto e l’amnistia. Per esempio un momento importante, per imporre all’attenzione del paese e dell’agenda politica, è stato il cosiddetto “caso Tortora”, di cui tutti – credo – serbiamo sufficiente memoria e dunque qui è sufficiente evocarlo. In precedenza c’era stato un altro momento importante: il caso del rapimento del giudice Giovanni D’Urso da parte delle Brigate Rosse, il 12 dicembre 1980. In quell’occasione radicali e socialisti recuperano momenti di importante sintonia e sensibilità. Secondo uno schieramento ideale e politico che ripropone e consolida scelte già operate durante i giorni del sequestro Moro, si riesce a determinare il miracolo della salvezza di D’Urso, e scongiurare che sul suo cadavere si consumi una svolta di regime alla quale erano già pronte e disponibili componenti autoritarie presenti nei diversi partiti e a vari livelli delle istituzioni. Qualche insegnamento Perché ricordare questi episodi, importanti singolarmente ma ancor di più se presi nel complesso? Perché costituiscono parte della nostra storia – una grande e bella storia – di cui non dobbiamo smarrire memoria; e anzi dovremmo cercare di ricavare qualche insegnamento. Abbiamo, per esempio un illustre precedente, significativo. Pochi sanno che Romolo Murri, il sacerdote fondatore del Partito Popolare, poi scomunicato, emarginato dalla Chiesa, è stato parlamentare radicale eletto da un’alleanza laico-radical-socialista nel collegio marchigiano di Montegiorgio. Su l’“Avanti!” di quei giorni si legge: “… Dunque ci sembra che il Partito Socialista possa riguardare la candidatura di don Romolo Murri come la candidatura di un affine a cui non si negano adesioni e aiuti!”. Radicali e socialisti sono sempre stati “cugini”, e in quanto tali, spesso e volentieri rissosi e litigiosi, non si sono risparmiati nulla; come appunto accade tra “vicini” e contigui, “cugini”. Ma c’è una sorta di “legge” non scritta, tutta politica e civile, di cui conviene serbare memoria e tener conto: tutto quel poco o quel tanto che in questo paese si è riusciti a fare nel campo dei diritti di libertà, di quelle regole che ampliano il ventaglio delle nostre scelte e che “governano” la nostra vita, si è fatto quando radicali e socialisti hanno saputo e potuto trovare un comune denominatore, un’intesa, vittorie e progressi di tutti, per tutti. I momenti di frizione e di polemica, al contrario, non hanno portato alcun beneficio, e anzi hanno recato danni: ai radicali, ai socialisti, all’intero paese. ********************** Democratizzare Bankitalia Maurizio Ballistreri Nel mentre il premio Nobel per l’Economia 1999 Robert Mundell, docente della Columbia University di New York, ha ricordato che solo per un viaggio-omaggio un anno or sono, il presidente della Bundesbank Ernst Welteke fu costretto a dimettersi (ma si potrebbero citare anche i casi dei presidenti della Borsa di Wall Strett Richard Grasso e di quello della Sec Harvey Pitt, che per motivi veniali abbandonarono all’improvviso i loro incarichi!), in Italia, a proposito della tempesta che ha investito Bankitalia, con la diffusione delle intercettazioni ed i provvedimenti giudiziari a carico dei “concertisti” dell’operazione-Antonveneta, si continua a preferire la logica del rinvio. Una logica che rischia di continuare a logorare la credibilità dell’istituto di via Nazionale, che, al di là dei destini di Fazio, costituisce un patrimonio storico di esperienza e professionalità del nostro sistema economico e finanziario. In particolare è il governo che appare nella vicenda un po’ come il “re tentenna”, non volendo sciogliere, almeno fino a questo momento, il nodo gordiano del vertice della Banca d’Italia. Nei dodici anni del mandato di Fazio è cambiata l’economia del nostro Paese. Non c’è più la lira ed è stato adottato l’euro la cui emissione è compito della Banca centrale europea; non esistono più le banche pubbliche come del resto le Partecipazioni statali; giganteschi scandali, come quelli dei bond argentini, di Cirio e Parmalat solo per citare i più recenti, hanno colpito i risparmiatori italiani, evidenziando la scarsa trasparenza del nostro sistema bancario alle prese con spericolati giochi finanziari fatti di scalate, fusioni e acquisizioni, con sullo sfondo la crisi del potere regolatore dello Stato nell’ambito della globalizzazione economica. E a fronte di ciò a palazzo Koch tutto è rimasto immutato, con il governatore a lungo venerato come un’icona sacra dell’economia italiana (e possibile premier di governi bipartisan), di volta in volta a sinistra e a destra. A prescindere dagli eventuali risvolti giudiziari di cui l’autorevole Financial Times ha ripetutamente scritto, già da tempo si avvertiva l’esigenza di una riforma delle regole e delle funzioni per Bankitalia, a partire dal trasferimento di quelle in materia di concorrenza bancaria all’Antitrust, misura che è mancata anche nella tardiva e insufficiente riforma appena disegnata dal governo. E poi, c’era comunque assoluto bisogno di porre fine all’anacronistico mandato a vita del governatore (termine di per sé vetusto), che ne ha fatto storicamente una sorta di monarca. Il futuro presidente della Banca d’Italia dovrà avere un mandato a termine ed esercitare i suoi poteri in forma collegiale e non nel direttorio in termini monocratici. Insomma, il tema appare quello di democratizzare Bankitalia, per evitare vicende come quelle che stiamo vivendo, nel quadro di una più generale democrazia dell’economia in cui lavoratori e sindacati abbiano strumenti di intervento per orientare la ricchezza del paese dalla rendita speculativa agli investimenti produttivi per sviluppo ed occupazione. ********************** L’eredità di Iso Ricordo di Aldo Aniasi Una sintesi dell’intervento di Enrico Boselli alla commemorazione che si è svolta a Milano il 30 agosto. Il testo integrale su www.sdionline.it. È con commozione ed emozione che ricordo Aldo Aniasi che è stato un interprete, un testimone e un attore delle più nobili battaglie per la libertà e per la giustizia sociale. Egli appartiene ad una tradizione che a Milano è stata forte e vitale: quella di un riformismo che si definiva nella concretezza del governo e che detestava le fumisterie ideologiche, prive di qualsiasi costrutto, ma era fermo e intransigente sui valori di fondo. Da questa metropoli sono venuti nel bene e nel male grandi cambiamenti che hanno segnato la storia del nostro Paese e sono emerse grandi personalità che in positivo come in negativo hanno conquistato enorme popolarità. Milano è il barometro politico dell’Italia e Aniasi lo sapeva a perfezione. I grandi milanesi non sono solo quelli che sono radicati, come fossero una stirpe, a Milano ma sono anche uomini e donne del Sud come del centro e di altre parti importanti dell’Italia settentrionale.. Aldo Aniasi si è fatto sempre portavoce di questi autentici sentimenti di grande civiltà. Egli sentiva fortemente, da uomo della Resistenza, l’amore per la Patria. Il suo era un patriottismo resistenziale e costituzionale. Egli si rifaceva sempre a una tradizione di Milano che risale alla Resistenza. Aldo Aniasi è stato per la maggior parte della sua vita nel PSI. Alla metà degli anni novanta, dopo il collasso del vecchio sistema politico e la crisi gravissima del PSI e del PSDI, si è iscritto al partito dei Democratici di Sinistra. E’ stata una scelta che non abbiamo condiviso ma abbiamo rispettato. Sapevamo che Aniasi avrebbe, come ha fatto, portato avanti anche nei DS le sue idee di sempre. E, del resto, è davvero definitivamente finito quel tempo in cui avvertivamo i DS come alleati a noi pervicacemente ostili, mentre oggi li sentiamo come nostri compagni di viaggio verso la metà comune di una grande forza riformista. Riferirsi assieme, come facciamo oggi, ad un uomo come Aniasi ci fa ritrovare ancora una volta uniti. Aniasi era un uomo che amava l’azione e che rifuggiva dalle vuote parole. Tanto capace di operare i necessari compromessi tra diversi interessi al fine di favorire tutti i cittadini; tanto era fermo e irremovibile sui principi, sul valore della Resistenza e su quello della Costituzione. Mai gli è venuto in mente che il socialismo italiano, che della sinistra e del movimento operaio è stato uno dei principali protagonisti, potesse schierarsi a fianco delle destre. Questa verità elementare, cioè che i socialisti non possono che collocarsi a sinistra, in Italia è stata contestata ma oggi lo è sempre meno e in futuro sicuramente non lo sarà mai più. Aniasi non era uomo che coltivava incertezze sui valori nei quali credeva; poteva cambiare opinione e lo riconosceva apertamente; era tenace e determinato nel raggiungere gli obiettivi che si proponeva ma era ugualmente attento alle opinioni diverse dalla sua. Non è stato mai, come altri socialisti milanesi, un uomo di Partito, ma piuttosto un uomo di governo. Non per questo era disattento a quanto accadeva all’interno del PSI e sapeva come farsi valere nelle strutture organizzative socialiste. Sapeva conquistare il consenso dentro come fuori del partito con una personalità vivace, rigorosa e competente. Aldo Aniasi è un pezzo importante della storia del Partito socialista. Bisogna pur chiedersi perché un partito, come è stato il PSI, profondamente radicato a Milano, sia crollato come un castello di carte già in occasione delle elezioni comunali della metà del 1993, nonostante vi fossero molte personalità come Aniasi. Tutti pensano a un effetto di Tangentopoli, ma questa è una spiegazione vera ma parziale. In realtà, i socialisti hanno compiuto nell’89 un errore fatale: nel mentre il mondo stava cambiando, invece di costruire con la maggioranza del PCI e con il PSDI un grande partito socialdemocratico di tipo europeo, sono rimasti aggrappati ad un’alleanza con una DC che aveva esaurito il suo importante ruolo storico e solo se avesse cambiato strategia avrebbe potuto evitare di entrare rovinosamente in crisi. Fu un errore che fa il paio con quello commesso nel 1948 quando, come giustamente indicava Saragat, il PSI doveva allearsi con la DC e con gli altri partiti laici contro il comunismo stalinista. Il primo errore del ‘48 ha dimezzato il PSI; il secondo dell’89 ha messo a ko tutto il movimento socialista. Aldo Aniasi fece scelte differenti da quelle che io ed altre compagni e compagne abbiamo fatto. Non si creda, però, che Egli non abbia vissuto, come tutti gli altri socialisti, con sofferenza e con dolore la dissoluzione del PSI e del PSDI e che non avvertisse un vuoto da colmare nella sinistra italiana. Oggi, di fronte a quest’uomo, a questo eroe della Resistenza, a questo grande Sindaco di Milano, a questo più volte deputato e ministro della Repubblica, voglio fare una promessa solenne: noi socialisti, caro Aniasi, non ci rinchiuderemo in noi stessi ma lavoreremo per realizzare anche in Italia quella grande forza riformista che è stata sempre il tuo ideale. Lo faremo con coerenza e dignità che è il nostro principale patrimonio; non ci faremo dettare i nostri comportamenti dall’opportunismo o dalle lusinghe del potere; ricorderemo sempre la tua lezione che esalta il coraggio nelle scelte della politica. Da parte di tutti i socialisti che ti hanno sempre stimato e ti hanno sempre voluto bene ti inviamo un saluto semplice ed affettuoso: “Ciao Iso”. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ INTERNAZIONALE L’America dopo Katrina La forza dimezzata Alberto Benzoni Caro Presidente Clinton, ti scrivo a nome dei tuoi tanti ammiratori italiani, per compiacermi della tua nomina a coordinatore degli aiuti per le popolazioni colpite da “Katrina”. Siamo convinti che tu abbia accettato con entusiasmo l’offerta che ti veniva fatta. E non soltanto per il segreto filo di complice solidarietà che lega gli ex presidenti (anche questo fa la grandezza di una nazione); o per la tua passione antica per una politica fatta in mezzo alla gente e costruita intorno a risposte concrete a problemi concreti. Nel tuo “sì” c’è, ne siamo convinti, qualcosa di più. Diciamo, la risposta ad un segnale. Segnale/segnali, minuscolo e, all’occorrenza, plurale. Non Segno, maiuscolo singolare. Di Segno parlano oggi i fanatici di ogni risma, per cui Katrina è stata mandata o per colpire i perversi, i corrotti, gli amorali; insomma una città che (come, guarda caso, San Francisco cent’anni fa e New York) non è veramente americana né nei suoi principi, né nel suo stile di vita né nella sua capacità di abbracciare il diverso e la diversità; oppure per praticare una sorta di rozza giustizia redistributiva dell’orrore che faccia pagare a New Orleans per le azioni compiute dagli Usa nel mondo intero. E nel Segno è, appunto, contenuta l’idea di Colpa e di Punizione (non importa se per mano della Divinità o della Storia). Un’idea che ti è certamente del tutto estranea. E nella tua veste di pubblico peccatore; e, come tale, condannato dai vari sepolcri imbiancati all’ignominia e, così speravano, all’“impeachment”. E nella tua veste di Presidente degli Stati Uniti e, come tale, consapevole per primo degli errori dell’attuale Amministrazione (la mancata firma degli accordi di Kyoto; l’intervento in Iraq, nelle forme in cui è avvenuto); ma anche visceralmente ostile all’idea che Katrina, e gli effetti di Katrina, siano una sorta di retribuzione o, comunque, una conseguenza di quelli. Per te, come politico, contano non già i Segni ma, appunto, i segnali. Non la retribuzione fatale di colpe inespiabili ma l’indicazione a correggere i propri errori e i propri punti deboli; non la chiusura di un conto ma l’apertura ad un cambiamento possibile e necessario. In questa prospettiva, il ruolo che ti è stato assegnato - quello di coordinatore degli aiuti - ti aiuterà a sviluppare le tue riflessioni: che non riguardano, ovviamente, Katrina ma piuttosto le sue conseguenze. Una riflessione che, forse, più di ogni altro, è nelle tue corde di ex presidente, di democratico e di uomo del Sud. Come Presidente sei perfettamente consapevole della forza degli Stati Uniti. Ma anche dei suoi limiti. Avere a disposizione, da subito, i soldati della Guardia nazionale oggi in Iraq forse non avrebbe cambiato molto la situazione. Non averli dimostra comunque che gli Stati Uniti hanno raggiunto un punto limite nell’utilizzo della loro potenza militare; e che, quindi, non è proprio il caso di sognare altre avventure; affidando piuttosto, la realizzazione dei propri obbiettivi alla politica e al concorso di altri. E, ancora, come Presidente sei stato altrettanto consapevole che l’America non può avere, insieme, uno sviluppo senza limiti dei consumi petroliferi e la totale sicurezza negli approvvigionamenti, senza provocare disastri in ogni direzione; ciò che accade oggi non può che confermare questa tua preoccupazione. Come democratico, la tua preoccupazione costante è stata quella di mediare, di comporre, di sviluppare, insieme, l’area del consenso e la coesione sociale. E, allora, sei perfettamente in grado di comprendere il segnale che viene dagli avvenimenti di New Orleans: quella di una società non solo economicamente divaricata ma anche socialmente disgregata; dove la catastrofe naturale non viene metabolizzata e riassorbita dalla popolazione interessata, con lo sviluppo di difese e solidarietà naturali; ma dà luogo, piuttosto, a fenomeni estesi di anarchia e di violenza. E senza mediazioni e ricomposizioni politiche, oramai logorate da tempo da un sistema sempre più rissoso e polarizzato. Come uomo del Sud, infine, ti porti dietro la memoria storica di generazioni. Che hanno visto sanare vecchie ferite, dalla guerra civile in poi, solo grazie all’azione di promozione, civile, economica e sociale, esercitata dallo stato federale; e che vedono oggi lo slogan dell’autonomia e del totale autogoverno della periferia come fonte, in prospettiva, di ogni sorta di guai: a partire dall’incapacità di affrontare le catastrofi naturali, sino a quella di gestirne correttamente gli effetti. Nella storia, le catastrofi naturali, come ogni altro evento drammatico ed imprevisto, sono state spesso rivelatrici; e della inadeguatezza di una leadership politica e della necessità di una rivisitazione completa di priorità ed obbiettivi. Katrina è stata esattamente questo. E, forse allora c’è una sorta di giustizia storica nel compito che ti è stato affidato oggi; e che potrebbe toccare al tuo partito domani. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ torna in alto |