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I PARTITI? NON SOPPRESSI MA RICOSTRUITI
19.7.12

I PARTITI? NON SOPPRESSI MA RICOSTRUITI


-di Nicola Zoller
giornale Trentino, venerdì 20 luglio 2012, p.1 s.

Paolo Mantovan, proponendo sul giornale Trentino di mercoledì 18 luglio “un libro che ci interroga sul futuro della democrazia”, chiede a sua volta chi possa dare delle risposte alle domande cruciali poste dal “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”, il pamphlet della filosofa Simone Weil, scritto nel 1940 e ora riproposto come instant book dall’ ed. Castelvecchi al seguito del successo del movimento grillino. Nel libro della Weil sarebbero però proposte questioni definite “senza tempo”, del tipo: 1) ogni partito è per sua natura totalitario; 2) per starci dentro occorre cedere totalmente alla menzogna; 3) prendere partito, una posizione pro o contro, significa rinunciare a pensare.
Ora, Mantovan accenna doverosamente al fatto che il libro è figlio di un contesto particolare, scritto in epoca “stalinista ed hitleriana”. Ma è pur vero che Weil fa riferimento ai partiti in generale. Ebbene, io avrei da proporre – come risposta al quesito di Mantovan – una lettura che sarebbe un po’ più confortante sul futuro della democrazia, anche perché la Weil – nel suo passaggio dall’impegno comunista/sindacalista a quello ispirato al misticismo religioso – considera che, oltre ai partiti, anche la democrazia non è un bene in sé. La lettura che propongo non è un peana per i partiti, tutt’altro: per inciso, anch’io nutro serie riserve verso i partiti dominanti impostisi nell’ultimo ventennio. Però se pensiamo alla Costituzione repubblicana, i partiti trovano qui una fondata ragione: bisogna invece vedere come va declinata tale ragione. Ecco dunque il libro: si tratta de “Il Crucifige e la democrazia”, edito da Einaudi nel 1995; ne è autore un giurista e pensatore di grande fama, Gustavo Zagrebelsky.
Per illustrare la sua visione della democrazia, Zagrebelsky ricostruisce densamente la vicenda della condanna di Gesù. Sono tre le concezioni della democrazia considerate: dogmatica, scettica, critica. Pilato è il campione della ‘democrazia’ scettica: egli si rivolge al popolo fingendo di fargli scegliere tra Barabba e Gesù. In realtà Pilato vedrebbe il vero “pluralismo delle voci” come un sabotaggio: lui bada solo alla conservazione del potere costituito, ‘se ne lava le mani’ pur di restare saldamente in sella.
Caifa e il Sinedrio incarnano invece la ‘democrazia’ dogmatica, che condanna Gesù in nome di una verità assoluta. Con loro c’è una folla emotiva, la stessa che pochi giorni prima aveva gridato “osanna !” ed ora grida “crucifige !”. “Il crucifige è l’altro lato dell’ osanna” - spiega Zagrebelsky - questa è una massa manovrabile, che “non agisce, ma reagisce”, è uno strumento in mano ai demagoghi.
E la democrazia critica? Fra la folla che gridava “crucifige !”- scrive l’autore - non c’era posto per il dissenso. “Se fra i tanti , una voce si fosse potuta alzare per farsi ascoltare e fosse riuscita ad organizzare una discussione, se si fossero allora formati diversi partiti, forse la decisione si sarebbe orientata diversamente...”: ecco la democrazia critica. E’ la concezione che richiede la possibilità di confrontare e ponderare le posizioni. Premessa di questa democrazia - a cui vanno decisamente le preferenze del professor Zagrebelsky - sono: 1) l’abbandono della illusione che la giustizia sia a portata di mano; 2) l’accettazione realistica che si sia tutti continuamente carenti rispetto al compito comune. Insomma, chi lancia programmi onnirisolutivi prepara un governo totalitario; mentre seguendo chi “vorrà instaurare il regno dei migliori ci troveremo col governo del più forte”.
Questa democrazia propone una “convivenza mite, costruita sul pluralismo e sulle interdipendenze, nemica di ogni ideale di sopraffazione “ come già scriveva Zagrebelsky in un suo saggio precedente (“Il diritto mite”). Essa si realizza dando ai singoli e al popolo le istituzioni per agire. Quali istituzioni ? Qui qualcuno - reduce dalle miserie di questi anni - farà un salto sulla sedia: “le istituzioni classiche del popolo capace di azione politica sono i partiti” ricorda l’autore, memore delle considerazioni di colui che è stato uno dei maggiori teorici della democrazia rappresentativa, Hans Kelsen, secondo cui “la moderna democrazia si fonda interamente sui partiti politici, la cui importanza è tanto maggiore quanto maggiore applicazione trova il principio democratico”.
Dunque i partiti vanno ricostruiti per evitare le derive plebiscitarie, il sondaggismo pronto a divinizzare o a demonizzare il popolo in ‘tempo reale’ (mentre nella vera democrazia ogni decisione chiede più tempo, deve essere revocabile e rivedibile); per scongiurare l’invasività del caudillo di turno che si appella direttamente alla ‘gente’, scaldandone gli umori prepolitici, adulandola “nel tentativo di tenerla in una condizione di minorità infantile per poterla meglio controllare”.
Dei partiti, la democrazia critica - potremmo dire la democrazia tout court - non può fare a meno, come invece può farne la versione ‘scettica’ e ‘dogmatica’. L’importante è fare di essi, di questi partiti, nelle forme conosciute o in forme nuove, delle vere “istituzioni di comunicazione attiva e circolare tra i cittadini”. E’ il problema che abbiamo oggi e ormai da lungo tempo, una malattia che non possono curare né i demagoghi né i tecnici.
Ma ora un pensiero finale va a Simone Weil: come Mantovan sa, difficilmente può essere “ristretta” nei panni del pamphlet da cui abbiamo preso le mosse; dalle altre cose che di lei conosciamo, abbiamo appreso che se il mondo contiene la calamità e l’infelicità, tuttavia ogni giorno possiamo anche riscoprirne la misteriosa gentile bellezza.



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