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Fine di Lega e 2^Repubblica
13.4.2012

INFO SOCIALISTA 13 aprile 2012 -a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it Quindicinale - Anno IX

Sommario:
1. Un Libro per cominciare: “Gramsci e Turati - Le due sinistre” di Alessandro Orsini - commento integrale dello scrittore Roberto Saviano in elogio del riformismo socialista - la Repubblica
2. LEGA: PARTITI MARCI, URGE RIFORMA pure in Trentino - di Alessandro Pietracci - l’Adige
3. PRIMA E SECONDA REPUBBLICA: GLI ERRORI A CONFRONTO -di Nicola Zoller - Corriere del Trentino


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1.Un Libro per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)
o Autore: Alessandro ORSINI
o Titolo: “Gramsci e Turati - Le due sinistre”
- Editore Rubbettino Editore, 2011

Lo scrittore ROBERTO SAVIANO commenta il libro in questo articolo pubblicato da “la Repubblica” http://www.partitosocialista.it/Portals/PartitoSocialista/Documents/RassegnaStampa/Saviano_Repubblica2802812.pdf


"ELOGIO DEI RIFORMISTI",
La tolleranza di Turati, quella piccola lezione per una sinistra smarrita. Un saggio ripercorre la figura del leader socialista e una tradizione da sempre minoritaria in Italia

Che cosa significa essere di sinistra? È possibile ancora esserlo? Sentire nel profondo di appartenere a una storia di libertà, a una tradizione di critica sociale e di sogno, a un percorso che sembra essersi lacerato, reciso. Con un immenso passato e un futuro incerto? E soprattutto di quale sinistra parliamo e di quale tradizione? E come si coniugano le due anime della sinistra, quella riformista e quella rivoluzionaria? Che genere di dialogo c'è stato tra loro?
Domande che affliggono militanti, intellettuali e uomini di partito. Domande che affliggono me da sempre. Alessandro Orsini giovane professore napoletano di Sociologia Politica all'Università di Roma Tor Vergata ha provato a dare delle risposte. Ha scritto un libro intitolato Gramsci e Turati. Le due sinistre (Rubettino). Il titolo sembra presentare un saggio, di quelli accademici, lunghi e tortuosi. E invece credo sia la più bella riflessione teorica sulla sinistra fatta negli ultimi anni. Che non ha paura di maneggiare materia delicata. Alessandro Orsini ci presenta due anime della sinistra storica italiana (esemplificate in Gramsci e Turati) e ci mostra come, nel tempo, una abbia avuto il sopravvento sull'altra. L'idea da cui parte Alessandro Orsini è semplice: i comunisti hanno educato generazioni di militanti a definire gli avversari politici dei pericolosi nemici, ad insultarli ed irriderli. Fa un certo effetto rileggere le parole con cui un intellettuale raffinato come Gramsci definiva un avversario, non importa quale: "La sua personalità ha per noi, in confronto della storia, la stessa importanza di uno straccio mestruato". Invitava i suoi lettori a ricorrere alle parolacce e all'insulto personale contro gli avversari che si lamentavano delle offese ricevute: "Per noi chiamare uno porco se è un porco, non è volgarità, è proprietà di linguaggio". Arrivò persino a tessere l'elogio del "cazzotto in faccia" contro i deputati liberali. I pugni, diceva, dovevano essere un "programma politico" e non un episodio isolato. Certo, il pensiero di Gramsci non può essere confinato in questo tratto violento, e d'altronde le sue parole risentivano l'influenza della retorica politica dell'epoca, che era (non solo a sinistra) accesa, virulenta, pirotecnica. Il politicamente corretto non era stato ancora inventato. Eppure, in quegli stessi anni Filippo Turati, dimenticato pensatore e leader del partito socialista, conduceva una tenacissima battaglia per educare al rispetto degli avversari politici nel tentativo di coniugare socialismo e liberalismo: "Tutte le opinioni meritano di essere rispettate. La violenza, l'insulto e l'intolleranza rappresentano la negazione del socialismo. Bisogna coltivare il diritto a essere eretici. Il diritto all'eresia è il diritto al dissenso. Non può esistere il socialismo dove non esiste la libertà".

Orsini raccoglie e analizza brani, scritti, testimonianze, che mostrano come quel vizio d'origine abbia influenzato e condizionato la vita a sinistra, e come l'eredità peggiore della pedagogia dell'intolleranza edificata per un secolo dal Partito Comunista sopravviva ancora. Naturalmente, oggi nel Pd erede del Pci, non c'è più traccia di quel massimalismo verboso e violento, e anche il linguaggio della Sel di Vendola è molto meno acceso.

Ma c'è invece, fuori dal Parlamento, una certa sinistra che vive di dogmi. Sono i sopravvissuti di un estremismo massimalista che sostiene di avere la verità unica tra le mani. Loro sono i seguaci dell'unica idea possibile di libertà, tutto quello che dicono e pensano non può che essere il giusto. Amano Cuba e non rispondono dei crimini della dittatura castrista - mi è capitato di parlare con persone diffidenti verso Yoani Sánchez solo perché in questo momento rappresenta una voce critica da Cuba - , non rispondono dei crimini di Hamas o Hezbollah, hanno in simpatia regimi ferocissimi solo perché antiamericani, tollerano le peggiori barbarie e si indignano per le contraddizioni delle democrazie. Per loro tutti gli altri sono venduti. Mai che li sfiori l'idea che essere marginali e inascoltati nel loro caso non è sinonimo di purezza, ma spesso semplicemente mancanza di merito.

Turati a tutto questo avrebbe pacificamente opposto il diritto a essere eretici, che Orsini ritiene essere il suo più importante lascito pedagogico. Questo fondamentale diritto ha trovato la formulazione più alta nell'elogio di Satana, metafora estrema dell'amore per l'eresia e dell'odio per i roghi. Satana, provoca Turati, è il padre dei riformisti: "Non siamo asceti che temono i contatti della carne, siamo figli di Satana (...). Se domani viene da me il Re, il Papa, lo Scià di Persia, il Gran Khan della Tartaria, il presidente di una repubblica americana, non per questo rinuncio alle mie idee. Non per questo transigo o faccio atto d'omaggio, ma resto quello che sono, e ciascuno di noi rimane quello che è".

Ma l'odio per i riformisti, - spiega Orsini - è il pilastro della pedagogia dell'intolleranza. Dal momento che i riformisti cercano di migliorare le condizioni di vita dei lavoratori qui e ora, sono percepiti da certi rivoluzionari come alleati dei capitalisti. Questo libro dimostra come, nella cultura rivoluzionaria, il peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori sia un bene (come diceva Labriola) perché accresce l'odio contro il sistema e rilancia l'iniziativa rivoluzionaria: è il famigerato tanto peggio tanto meglio. I riformisti, invece, non credono nella società perfetta, ma in una società migliore che innalzi progressivamente il livello culturale dei lavoratori e migliori le loro condizioni di vita anche attraverso la partecipazione attiva alla gestione della cosa pubblica. I riformisti - spiegava Turati - sono realisti e tolleranti. Realisti perché credono che non sia possibile costruire una società in cui siano banditi per sempre i conflitti. Tolleranti perché, rifiutando il perfettismo, si pongono al riparo dalla convinzione di avere avuto accesso alla verità ultima sul significato della storia. Turati pagò a caro prezzo la sua durissima battaglia contro la pedagogia dell'intolleranza. Quando morì in esilio, in condizioni di povertà, Palmiro Togliatti scrisse un articolo su Lo Stato Operaio, in cui affermò che era stato "il più corrotto, il più spregevole, il più ripugnante tra tutti gli uomini della sinistra".

Consiglio questo libro a chi si sente smarrito a sinistra. Potrebbe essere uno strumento di comprensione e soprattutto, credo, di difesa. Difenderebbe il giovane lettore dai nemici del dialogo, dai fautori del litigio, dagli attaccabrighe pronti a parlare in nome della classe operaia, degli emarginati, degli "invisibili", dai pacifisti talmente violenti da usare la pace come strumento di aggressione per chiunque la pensi diversamente. Turati aiuta a comprendere quanta potenza ci sia nel riformismo, che molti considerano pensiero debole, pavido, direbbero persino sfigato. Il riformismo di cui parla Turati fa paura ai poteri, alle corporazioni, alle caste, perché prova, cercando consenso, ponendosi dubbi, ragionando e confrontandosi, di risolvere le contraddizioni qui e ora. Coinvolgendo persone, non spaventandole o estromettendole perché "contaminate". Non è un caso che i fascisti prima e brigatisti poi avessero in odio soprattutto i riformisti. Non è un caso che i fascisti temessero Matteotti che aveva denunciato brogli elettorali. Non è un caso che i brigatisti temessero i giudici riformisti, i funzionari di Stato efficienti. Perché per loro i corrotti e i reazionari erano alleati che confermavano la loro idea di Stato da abbattere e non da migliorare.

Per Turati il marxismo non può essere considerato un "ricettario perpetuo" in cui trovare la soluzione a tutti i problemi perché uno stesso problema, come l'emancipazione dei lavoratori, può richiedere soluzioni differenti in base ai contesti, ai periodi storici e alle risorse disponibili in un dato momento. Meglio diffidare da coloro che affermano di sapere tutto in anticipo; meglio "confessarci ignoranti"". Turati era convinto che la prospettiva culturale da cui guardiamo il mondo fosse decisiva per lo sviluppo delle nostre azioni. Questa è la ragione per cui attribuiva la massima importanza al ruolo dell'educazione politica: prima di trasformare il mondo, occorre aprire la mente e confrontarsi con i propri pregiudizi. Le certezze assolute fiaccano anche le intelligenze più acute: la pedagogia della tolleranza è il primo passo per la costruzione di una società migliore.

Roberto Saviano
giornale la Repubblica del 28 febbraio 2012

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2. PARTITI MARCI, URGE RIFORMA pure in Trentino

-di Alessandro Pietracci
giornale l’Adige del 12 aprile 2012

La seconda repubblica finisce molto peggio di quanto non sia finita la prima. Vent’anni fa i partiti, con la
strana eccezione del PCI, vennero travolti da scandali legati al finanziamento illecito. Oggi scopriamo che le
ingentissime somme dei rimborsi elettorali gestite e intascate da tesorieri truffatori, vengono stornate a
capi politici, parenti, amici ed amanti. La grande differenza tra Tangentopoli e l’odierno sfascio si può
concretizzare mettendo a confronto due figure: da un lato Severino Citaristi, tesoriere della DC, recordman
degli avvisi di garanzia ai tempi di Mani Pulite, che però era stato partigiano, di lavoro faceva l’editore, e che, secondo i giudici, raccolse i soldi per il partito, mai per sé (avrei potuto anche citare Vincenzo Balzamo
tesoriere del PSI); dall’altro Francesco Belsito, tesoriere della Lega, professione buttafuori da discoteca e
autista (poi, per meriti politici, diventato vicepresidente di Finmeccanica), che investe il denaro
“rimborsato” al Carroccio in Tanzania e in altri “paradisi finanziari”, che non si accorge di avere contatti con
la criminalità organizzata, che si trasforma nel bancomat della famiglia Bossi e del “cerchio magico”. La Lega,partito forcaiolo per eccellenza, si schianta mettendo in scena uno spettacolo capace di andare oltre
qualsiasi fervida fantasia. Bossi, “che non poteva non sapere”, conclude nel peggiore dei modi una parabola
durata 25 anni, la conclude dimettendosi con lacrime private ma con insulti pubblici; se ne va travolto dal
più grande dei mali italiani: il familismo amorale.
Sarebbe ancora sbagliato però pensare che esistano dei capri espiatori tali da rendere innocenti gli altri;
oggi è tutto lo scenario politico ad essere degradato. Sarà la magistratura a giudicare ma, non ci
stancheremo mai di ripeterlo, il problema è di sistema, e come tale va affrontato. Come sempre, è molto
difficile che un sistema malato si autoriformi dal suo interno: allora si procede per via referendaria ma alla
fine deve essere il Parlamento a tradurre in legge la volontà popolare; e sappiamo quali travisamenti
comporta questo passaggio.
Il governo in carica propone aggiustamenti: un monitoraggio sul rimborso ai partiti; una certificazione dei
bilanci; una riduzione del flusso di denaro... tutti provvedimenti sacrosanti ma che da soli non
risolverebbero il problema. Certamente in questo incredibile schianto, non soltanto etico ma se vogliamo
esistenziale di una intera classe dirigente, qualsiasi piccolo passo nella giusta direzione andrebbe salutato
positivamente. Occorrerebbe però una grande riforma dei partiti, quella riforma che bisognava fare alla fine degli anni 80 e che poi è stata congelata dalla sbornia maggioritaria e berlusconiana. Questo è il tema su cui discutere ed è necessario farlo ora.
La questione interessa anche il Trentino? Oppure ce ne riteniamo immuni? se guardiamo agli ultimi mesi
ecco balzare agli occhi l'incapacità del Consiglio regionale e provinciale di dare un segno tangibile per
esempio sul taglio dell'identità che esce dalla porta e rientra dalla finestra di commi fantasma, nascosti nella legge, in grado di sterilizzare qualsiasi buona intenzione. Si annunciano provvedimenti, come quello di
cancellare la porta girevole che consente agli assessori provinciali di non essere più consiglieri (per poi
lasciare il seggio ai primi dei non eletti), che poi puntualmente spariscono. Vediamo se l'iniziativa del
consigliere Civico sui costi della politica, che stabilisce un divieto di cumulo per indennità, vitalizi, prebende
varie: ma il consiglio regionale è un porto delle nebbie tale che qualsiasi corazzata potrebbe schiantarsi sugli scogli prima di arrivare sul molo. Con questa gravissima crisi economica, che ormai morde anche il Trentino, almeno un segno bisognerebbe darlo.
Tuttavia forse c'è qualcosa di ancora più urgente. Si è detto da più parti che bisogna difendere la nostra
autonomia dagli attacchi esterni. Per un riformista l'unico modo per attuare questa giusta battaglia è
mettere in campo leggi innovative che dimostrino quanto effettivamente la nostra autonomia sia meritata
perché ben gestita. In Italia si dovrà arrivare ad una nuova disciplina dei partiti. Perché non anticiparla a
livello provinciale? Perché non far vedere a tutti che in Trentino si fa sul serio cercando di ridare fiducia alla
politica?
Si potrebbe cominciare dall'obbligo di rendicontazione completa dei bilanci dei partiti: anche se questo non
appartiene alle nostre competenze e non potrebbe essere reso vincolante con la legge, sarebbe
sicuramente un accordo tra gentiluomini capace di venire incontro alle esigenze dei cittadini. Continuiamo
poi con la pretesa di rendere i partiti più trasparenti nella loro democrazia interna creando magari un
authority terza che, anche solo attraverso raccomandazioni e segnalazioni all'opinione pubblica, monitori lo
stato di salute dei partiti.
Questa stessa trasparenza dovrebbe essere richiesta all'apparato amministrativo provinciale. Qui sì che
potremo agire autonomamente. Con idee nuove, rafforzando per esempio la figura del difensore civico
rendendola in grado di sanzionare, anche qui magari solo verbalmente, una burocrazia che non rispettasse i
criteri della trasparenza. Si potrebbe vietare il cumulo di poltrone nei consigli di amministrazione pubblici e
para pubblici dove alcuni “volti noti” siedono da sempre e per sempre. Forse con modeste riforme, ad un anno dalla fine, questa legislatura, mancata ed inconcludente, potrebbe parzialmente riscattarsi.

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3. PRIMA E SECONDA REPUBBLICA, GLI ERRORI A CONFRONTO

-di Nicola Zoller,
giornale Corriere del Trentino del 5 aprile 2012


La scorsa settimana il Psi ha promosso a livello nazionale un “convegno-processo” alla seconda Repubblica. Del “Ventennio” 1992-2012 sono stati esaminati: l'esplosione del debito pubblico, la mancata crescita economica, il deficit di democrazia e le mancate riforme istituzionali.
Vorrei qui segnalare tre punti concisi.

1.La situazione del debito pubblico anziché migliorare è peggiorata grandemente: dai dati ufficiali della Banca d’Italia risulta che “nel 1992 il debito pubblico italiano era complessivamente di 795 miliardi di euro; nel 2011 è salito fino a 1.931 miliardi; anche rapportandolo al Pil, il debito che era circa l’85%, è arrivato al 120%”.

2.L’epopea di “Mani pulite” ha sortito un esito controproducente: è il giurista Michele Ainis che ci ricorda con plastica efficacia che “all’alba degli anni ’90 la classifica di Trasparency International – l’Associazione che misura l’indice di percezione della corruzione, partendo dai Paesi migliori – situava l’Italia al 33° posto nel mondo; nel 2011 siamo precipitati alla 69.a posizione…”. Si è reso manifesto dunque l’ intento più “politico-mediatico” per eliminare determinati partiti anziché l’ intento volto a migliorare la situazione della giustizia italiana, tanto che, su quest’ultimo piano, si è creato l’effetto opposto, a dimostrazione che la corruzione non originava necessariamente dai partiti fatti decadere.

3.Negli scorsi anni ’90 chi soffiò con veemenza sul fuoco della protesta concentratasi nel referendum che abolì a furor di popolo il finanziamento pubblico dei partiti, procedette poi – dopo aver eliminato gli avversari – a ridicolizzare il verdetto popolare moltiplicando a dismisura il finanziamento statale alla politica con la formula dei "rimborsi elettorali" che hanno portato a moltiplicare fino a dieci volte il finanziamento precedente!
Cosa fare? In particolare cosa può fare la sinistra? Molti pensano che essa debba ripartire dalla prospettiva riformista, proprio con particolare riferimento ai problemi della crisi economico-finanziaria. Luciano Cafagna, un grande intellettuale recentemente scomparso, ha avuto comunque modo – prima di lasciarci – di intervenire sulla rivista socialista “Mondoperaio” del novembre 2011 richiamando che la dignità della sinistra può essere ritrovata soltanto se a un presente difficile, fatto di sacrifici sgradevoli, si riesce ad agganciare realisticamente il percorso verso un futuro capace di recuperare la speranza; dunque un itinerario che dall’uscita dalla crisi possa portare organicamente all’attuazione progressiva di un programma sociale che risani e riprenda la prospettiva di un moderno ‘welfare state: quel laburismo socialdemocratico all’europea, insomma, di cui in Italia, si è stati finora incapaci.


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Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. Grazie per la cortese paziente attenzione.




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