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Tecnici, Tangentopoli, Socialisti
24.2.12

INFO SOCIALISTA 24 febbraio 2012 -a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it Quindicinale - Anno IX

SOMMARIO:
1. Un Libro per cominciare: DAI “TECNICI” AD UNA NUOVA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA, di Nicola Zoller

2. Vent’anni dopo Tangentopoli - UN DOPPIO CASTIGO PER I SOCIALISTI -di Alessandro Pietracci

3. RICORDO DI BRUNO FRIZZERA – di Renato Pegoretti

4. LA PAROLA «SOCIALISTA» CHE DIVIDE IL PD -di Paolo Franchi
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1. Un Libro per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)
DAI “TECNICI” AD UNA NUOVA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA

-di Nicola Zoller



Insorge naturale tra le persone di sinistra più sensibili il problema di come rapportarsi con un Governo tecnico, affidato ai professori: risulta “costituzionale”, votato dal Parlamento ma senza il vaglio degli elettori. Sul tema ho trovato qualche considerazione più generale leggendo un libro per la scuola del prof. Giovanni SARTORI “La democrazia in trenta lezioni” (Mondadori). C’è chi è contento dei “tecnici”, mentre ha sfiducia del popolo: “il popolo non sa” o non sa abbastanza, mentre per governare – lo asseriva già Platone – si richiede il “vero sapere”. E’ ben vero che nelle democrazie moderne non governa direttamente il popolo come succedeva nelle città-stato greche, ma sono i suoi rappresentanti a farlo. Tuttavia il problema “antico” non cambia: questi “rappresentanti” a loro volta possederanno mai il vero sapere, oppure sarebbe meglio affidarsi al “filosofo-re”, ai sapienti, ai competenti, ai tecnici in generale? E’ appunto una questione che allora veniva scagliata contro il popolo e la democrazia “diretta” ed oggi contro quella “rappresentativa”. Però a quest’ultima non ci sono valide alternative. Non possiamo accogliere “filosofi-re” senza che siano eletti.

Oppure -aggiungiamo noi- li si può accogliere “temporaneamente”, come i “dictator” della Repubblica Romana, magistrati straordinari in carica per un breve periodo: dittatori “benevoli”, li ha definiti lo studioso progressista Michela Salvati. Nell’Italia di oggi questi personaggi sono i “professori” che guidano governi cosiddetti “tecnici”: il problema è che di “tecnici” negli ultimi 20 anni – dopo che “Mani pulite” doveva nettarci dai problemi (compresi quelli dei finanziamenti alla politica, che invece di essere ridotti, sono stati moltiplicati di 10 volte!)- ne abbiamo avuti troppi: Ciampi, Dini, ora Monti, ma a ben vedere anche Prodi e Berlusconi non sono stati esattamente tipici “rappresentanti” politici, bensì rispettivamente un professore universitario e un tycoon-imprenditore televisivo “prestati” alla politica. QQQquest’ultimi sono pur stati eletti ma in un clima di fremente “antipolitica”, carico di anti-partitismo e di disprezzo per il sistema elettorale più “rappresentativo”, quello proporzionale che garantisce un peso uguale al voto di ogni cittadino, fuori da premi maggioritari. Ora, dopo le leggi “porcata” dove la “nuova” partitocrazia centralista decideva il tutto, si vorrebbe tornare a sistemi più miti e rappresentativi. Lo speriamo.



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2. Vent’anni dopo Tangentopoli

UN DOPPIO CASTIGO PER I SOCIALISTI



-di Alessandro Pietracci

giornale TRENTINO, lunedì 20 febbraio 2012, pg.1





Può un socialista, che si sente ancora tale, riflettere sui vent’anni trascorsi da quando è scoppiata la bomba di Tangentopoli? È forse ancora troppo acerba l’analisi delle conseguenze di quel massacro mediatico giudiziario sopportato dai socialisti più di ogni altro? Oppure la ferita è ancora troppo sanguinante per chi ha creduto e ancora vuole credere nel socialismo?

Piano piano però, poiché i grandi uomini che hanno costruito l’Italia e le idee politiche serie e rigorose non possono essere cancellati dalla storia, anche la tradizione socialista sta ritrovando cittadinanza nel nostro paese. Non possono essere dimenticate figure come quella di Sandro Pertini, i cui scritti colpiscono sempre il cuore delle persone e dei problemi, personaggi come Turati, Gobetti, i fratelli Rosselli ,Nenni e Saragat che hanno sognato e progettato, durante il fascismo, una possibile Italia democratica. Un indimenticabile intellettuale come fu Norberto Bobbio ,legato a Trento dalla nascente Università, proprio negli anni 90 parlava dell’attualità del socialismo liberale come via possibile ad un vero rinnovamento della politica italiana.

Non vorrei tuttavia scansare il tema di Tangentopoli. Credo infatti che ormai sia passato un tempo sufficiente per guardarsi indietro, con qualche rimpianto o nostalgia certamente, ma senza chiudersi in un periodo della vita repubblicana che dalla cronaca sta entrando nella Storia. Per citare una frase biblica relativa al ritorno degli esuli ebrei da Babilonia, anche i socialisti hanno pagato “un doppio castigo per i loro peccati”. Il peccato, è ovvio, non è una categoria politica ma forse qui si può utilizzare perché in quegli anni, segnati dallo scoperchiamento del sistema di corruzione diffuso, la giustizia spesso si è confusa con l’ordalia, l’accertamento della verità con un furore quasi cieco contro i potenti caduti nella polvere: poco di razionale e di politico è avvenuto in quei mesi. Un’intera classe dirigente è stata spazzata via, la cui vera imperdonabile colpa è stata quella di non comprendere ,in tempo per correggersi, che un sistema politico stava tramontando o forse era già finito durante gli anni di piombo.

La prima repubblica inizia a morire con il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, segnata dalle ultime drammatiche parole scritte dalla prigione delle BR : “Caro Zaccagnini, sono qui per comunicarti la decisione di lasciare la Democrazia Cristiana”. Dal 1978 in poi la DC, esaurita la sua spinta democratica e innovatrice, si illanguidiva in faide interne, nella perenne divisione delle correnti, nell’azione immobile ed ambigua di Andreotti e nel protagonismo distruttivo di Cossiga. In quella situazione Bettino Craxi, primo socialista a capo del governo italiano, lancia la grande sfida riformista, durata ahimè troppo poco per modernizzare veramente il Paese. Ha seguito una palude dove il malaffare ha sommerso anche molto positive istanze di rinnovamento. La fine della contrapposizione ideologica con il crollo del muro di Berlino, e la repentina caduta dei regimi comunisti dell’est, ha trovato impreparati tutti ed ha esasperato le storiche frizioni tra i socialisti e i comunisti, con questi ultimi che in quegli anni cercavano di affrancarsi dall’ unanime condanna del comunismo mutando nome e immagine.

Tutto però si è intrecciato in pochi mesi del 1992 (le bombe della mafia, le elezioni politiche, la scelta del presidente della Repubblica, l’inchiesta Mani pulite) e soltanto un grande salto in avanti della politica sarebbe stato in grado di riannodare i fili di quel complesso ordito. Uno slancio che non c’è stato. L’errore o la colpa dei socialisti, condivisa per altro con altri partiti, è stata quella di cedere al sistema dell’illecito, anzi di ritenerlo quasi strumento indispensabile per sostenere l’impalcatura dello Stato. Questo cemento era però tarlato fin dal principio. Il “sistema Milano” è crollato perché aveva sostituito alla politica una logica familista in cui alle regole si sostituivano i rapporti di amicizia e di potere, in cui poi si è annidata la corruzione.

Inutile ripercorrere le fasi del crollo. Per i socialisti seguirono,senza distinzioni, lustri di onta. Una morte politica, informativa, per alcuni esistenziale, condizione contro la quale una piccola parte di socialisti si e’ opposta, riorganizzandosi nello SDI-PSI. Per l’Italia, la cancellazione di gran parte del ceto politico della prima Repubblica(DC - PSI-PSDI-PRI) ha significato la salita al potere di Berlusconi, con le conseguenze che in questi diciott’anni possiamo tutti vedere.

Oggi la corruzione dilaga, anzi è cresciuta in maniera diffusa,personale ed invasiva. Quindi i socialisti, ora ai margini delle istituzioni e concentrati sul tentativo di rinascita interna,dopo una così lunga e tormentata diaspora (per ricorrere ancora alla immagine biblica), non erano l’unica causa della malattia mortale del nostro paese.

L’inchiesta partita da Milano ha poi portato a uno scontro ferocissimo tra politica e magistratura da cui oggi stiamo faticosamente uscendo senza vincitori né vinti ma soltanto con macerie e rovine. Il debito pubblico, anche esso retaggio degli ultimi anni della prima Repubblica, dopo la decapitazione dei partiti di governo in questi ultimi anni non è stato governato né da Berlusconi né da Prodi, finendo per superare qualsiasi livello di allarme. Sotto il peso della crisi economica italiana ed europea sta agonizzando la seconda Repubblica, con il Governo Monti e dei tecnici ai quali è stato affidato il difficile compito di salvare l’Italia,rinnovandola profondamente.

I socialisti non possono più dire qualcosa in proposito? Il loro esilio dopo vent’anni è però finito. Perché le idee di riforma, intuite e talvolta messe in pratica dalla dirigenza socialista degli anni 80, sono tornate tutte all’ordine del giorno con il governo Monti: la questione del mercato del lavoro; il ruolo dell’Italia in Europa; il bisogno di modernizzazione del paese; una politica sull’occupazione innovativa che punti sui giovani; lo svecchiamento della classe dirigente; la battaglia per una uguaglianza sociale non basata sull’uniformità verso il basso ma sull’opportunità data a tutti di salire verso l’alto.

I socialisti italiani discutono di tutte queste cose, fanno proposte in solitudine, spesso sono profeti inascoltati e silenziati dal vuoto mediatico che li avvolge. Forse però, ed è questa la speranza, la fine dell’esilio significherà un rientro effettivo nel gioco democratico. L’Italia ne ha bisogno.



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3. RICORDO DI BRUNO FRIZZERA



Il Presidente del Consiglio comunale di Trento Renato Pegoretti ha ricordato , in apertura del Consiglio di martedì 14 febbraio 2012, la figura del dottor Bruno Frizzera già Consigliere e Assessore comunale.



Abbiamo appreso nei giorni scorsi la triste notizia della morte del dottor Bruno Frizzera e ieri a Cognola c'è stato l'addio a questo geniale trentino, esempio di attaccamento al lavoro, di capacità imprenditoriali e di innovazione, un uomo molto determinato, di straordinaria personalità.

Nato in Austria, sul lago di Costanza, il 28 aprile 1917, figlio e nipote di irredentisti socialisti trentini originari di Mattarello, Frizzera si è laureato in Economia e Commercio all'Università di Bologna nel 1940, a ventitre anni, nonostante lavorasse già dall'età di 16 anni per la prematura morte del padre.

Il dottor Bruno Frizzera ha collaborato a lungo con i Ministri delle finanze Ezio Vanoni negli anni '50, Luigi Preti negli anni '70 e Bruno Visentini negli anni '80. Ma il suo nome è indissolubilmente legato a quella che è sicuramente l'esperienza di maggior successo nel campo dell'editoria specializzata: le sue “Guide fiscali”.

Come scriveva in questi giorni Albino Leonardi, il dottor Frizzera ha dedicato la sua vita alla divulgazione della scienza tributaria, una missione portata avanti con semplicità e chiarezza che gli ha riservato un grande successo. L'editoria professionale in Italia oggi significa “Sistema Frizzera” e “Sistema Frizzera” significa Trento.

Ha formato intere generazioni di professionisti offrendo loro grandi opportunità, Frizzera ha “letteralmente messo la penna in mano” a schiere di giovani; per molti di loro un passaggio nel suo studio ha significato l'abbrivio per una brillante carriera.

Ma qui oggi, in questa sala consiliare, vogliamo ricordare Bruno Frizzera per il suo impegno come Consigliere e Assessore del nostro Comune nel primo dopoguerra.

Non ancora trentenne Bruno Frizzera rappresentò i socialisti nel primo Consiglio comunale dopo la grande guerra, con Gigino Battisti il “Sindaco della Liberazione”, di cui abbiamo ricordato a novembre il 65° anniversario della morte nel tragico incidente ferroviario.

Dal gennaio 1947 Bruno Frizzera fu assessore, nella Giunta guidata dal Sindaco Tullio Odorizzi, in rappresentanza del P.S.L.I. Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, divenuto poi P.S.D.I. .



Nel cuore e nel pensiero il dottor Frizzera fu socialista per tutta la vita, ed oltre al suo impegno nel Consiglio comunale della nostra città, collaborò, come ho già ricordato con diversi ministri delle finanze che appartenevano al P.S.D.I. Voglio concludere questo mio intervento con un ricordo personale: alcuni mesi fa, il dottor Frizzera aveva espresso il desiderio di incontrarmi assieme ad alcuni amici rappresentanti storici dei socialisti e socialdemocratici trentini, per amicizia, ma soprattutto per discutere insieme dell'attuale situazione politica ed economica. Mi rammarico molto di non essere poi riusciti ad organizzare quell'incontro e di non aver potuto godere della sua compagnia, della sua capacità di leggere e interpretare questi nostri tempi così difficili, dei suoi preziosi consigli.

Ora che ci ha lasciati lo ricordiamo con un minuto di silenzio. Grazie!



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4. LA PAROLA «SOCIALISTA» CHE DIVIDE IL PD



di Paolo Franchi

-Corriere della Sera del 15 febbraio 2012



Ogni infortunio o, direbbe Bersani, ogni ammaccatura, ha una sua meccanica e una sua storia. Ma quando ci si infortuna o ci si ammacca con inquietante regolarità è altamente probabile che di mezzo ci sia pure qualche problema d’ordine, diciamo così, più generale. Tradotto. Certo che Genova non è Napoli, e nemmeno Cagliari e nemmeno Milano e nemmeno la Puglia, dove tutto è cominciato qualche anno fa, e nemmeno Palermo, dove il centrosinistra sembra avere già predisposto tutto per perdere prima ancora che la partita cominci. Adesso anche a Genova, però, proprio come ieri a Napoli, a Cagliari, a Milano, e l’altro ieri in Puglia, le candidature targate in un modo o nell’altro Pd, quella ufficiale di Roberta Pinotti e quella polemica del sindaco uscente Marta Vincenzi, sono state bocciate dagli elettori delle primarie. Non è il caso di ricavarne una qualche legge bronzea. Ma sostenere, come i conduttori televisivi di una volta, che questo è il bello delle primarie, e per il resto immaginare di cavarsela rivedendone le regole, per fare in modo (ma come?) che il Pd vi partecipi con un candidato solo, non pare particolarmente intelligente. Stiamo parlando, sarà bene ricordarlo, del più grande partito italiano. Ed è piuttosto difficile immaginare che il più grande partito italiano possa considerare alla stregua di un problema tutto sommato tecnico una così vistosa e persistente difficoltà (è un eufemismo) a selezionare candidature apprezzate dal proprio elettorato.

Forse — forse — sullo sfondo di tutto questo c’è anche una questione politica, strategica e identitaria irrisolta, che va ben oltre la scelta dei candidati sindaci. Il Pd se la porta appresso dalla fondazione, ma adesso che, incassata la caduta di Berlusconi, è entrato a far parte della maggioranza tanto «strana» quanto vasta che sostiene il governo Monti, se la ritrova di fronte in termini nuovi e pressanti. Come conferma il curioso scambio di messaggi politico editoriali che ha animato questi ultimi giorni. Ha cominciato, sull’onda di un’indiscrezione del Foglio, Eugenio Scalfari, chiedendo pubblicamente a Bersani di essere rassicurato «come elettore» del Pd, che mai e poi mai avrebbe votato se si fosse presentato come una forza socialdemocratica sullo «schema del socialismo europeo»: è vero o no che nella segreteria del partito ci sono dei giovanotti al lavoro per formalizzare una simile, insensata proposta? È bastato questo post scriptum all’editoriale domenicale del fondatore di Repubblica perché una piccola folla di ex popolari e di Democrat senza se e senza ma si levasse a giurare di condividere una preoccupazione tanto angosciata: ma questa non è una novità. Più interessante è il fatto che Bersani, piuttosto che smentire, abbia provato a ridimensionare il tutto, ricorrendo anche a un’innocente bugia («Non siamo più un partito in cerca di Dna»: fosse vero…), senza però tirarsi indietro. Recitano infatti le ultime righe della sua replica a Scalfari: «Chi volesse osservare la discussione nella Spd e nei Verdi tedeschi, o le recenti pratiche dei socialisti francesi, potrebbe forse riconoscere qualche traccia delle nostre buone ragioni». Come dire: non siamo i soli a credere che bisogna oltrepassare i confini delle vecchie famiglie politiche, le forze della sinistra che in Francia e in Germania sfideranno Sarkozy e la signora Merkel la pensano come noi, ma il campo di cui sto parlando è quello dei soggetti «che in tutto il mondo combattono il liberismo della destra conservatrice».

Bersani probabilmente ha ostentato qualche ottimismo eccessivo. Non so se i giovani scrivani del Pd continueranno a lavorare alle loro tesi «socialdemocratiche», la cui stessa stesura non è facilissima da conciliare con il sostegno al governo Monti. Ma, se andassero avanti, sarebbe un bene per tutto il Pd, anche per quel largo pezzo del partito che già in partenza non le apprezza affatto, che non si riconosce nel campo antiliberista indicato da Bersani, che molto probabilmente non si spellerà le mani per tifare Hollande. Di un confronto aperto, o come si diceva una volta di una grande battaglia politica e ideale, non di guerriglie alla mordi e fuggi, il Pd ha bisogno come dell’aria per respirare. In fondo anche gli elettori genovesi proprio questo hanno provato. Una bruttissima sensazione di mancanza d’aria.



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Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. Grazie per la cortese paziente attenzione





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