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TRE APPUNTAMENTI DEL PSI IN TRENTINO-ALTO ADIGE SABATO 19 NOVEMBRE 2011: -ASSEMBLEA PROVINCIALE del PARTITO SOCIALISTA a TRENTO In preparazione dell’Assemblea Congressuale Nazionale del P.S.I., indetta per i giorni 2/3/4 dicembre 2011 a Fiuggi, si svolgerà a Trento sabato 19 novembre 2011, l’assemblea provinciale socialista, con inizio alle ore 9.30 presso l’ Hotel America, via Torre Verde 52 . In apertura dei lavori la segreteria presenterà il documento congressuale “Progetto per l’Italia" e gli altri documenti pervenuti. Seguirà il dibattito sulla situazione politica nazionale e provinciale, anche alla luce della nascita del nuovo governo e delle possibili conseguenze sul quadro politico-amministrativo locale, e la proposta dei delegati al Congresso nazionale Alessandro Pietracci segretario della Federazione provinciale di Trento -ASSEMBLEA PROVINCIALE del PARTITO SOCIALISTA a BOLZANO sabato 19 novembre 2011 alle ore 14.30 presso la sede PSI di Bolzano – via Roma 61/1 con il seguente ordine del giorno: -Presentazione del documento congressuale “Progetto per l’Italia” e documento integrativo di politica locale - interventi e dibattito sulla situazione politica nazionale e provinciale -proposta dei delegati al Congresso Nazionale Alessandro Bertinazzo segretario della Federazione provinciale di Bolzano -ASSEMBLEA CONGRESSUALE DEL COORDINAMENTO REGIONALE PSI DEL TRENTINO-ALTO ADIGE sabato 19 novembre 2011 alle ore 17.00 presso la sede PSI di Bolzano si terrà l'Assemblea congressuale del coordinamento regionale Psi del Trentino Alto-Adige: -approvazione conclusiva del documento congressuale “Progetto per l’Italia” e dei delegati proposti per il Congresso nazionale. Nicola Zoller segretario regionale Psi del Trentino-Alto Adige UN MOVIMENTO RIFORMISTA PER UNA RINASCITA DELLA POLITICA COLLETTIVA Contributo per i Congressi PSI nel Trentino-Alto Adige, 19 novembre 2011 La crisi della seconda Repubblica – espressa in maniera plastica dalla caduta del governo Berlusconi e dal varo del governo d’emergenza Monti – ha messo in chiaro che i problemi denunciati con veemenza 20 anni orsono per porre fine alla prima Repubblica non sono stati rimossi ma sono stati aggravati. L’autorevole politologo Giovanni Sartori in un editoriale sul Corriere della Sera del 3 ottobre 2011 ha certificato che rispetto alla pur contestabile prima Repubblica è venuto “il momento di dire a chiare lettere” che “la seconda Repubblica è stata incomparabilmente peggiore”: soprattutto sul piano etico-economico - cioè proprio sul fronte delle questioni sollevate per delegittimare la prima Repubblica - di cui possiamo qui dare alcuni parziali esempi. 1. Il prof. Massimo Teodori ha attestato, in un commento del 30 agosto scorso, come sotto questa seconda Repubblica siano stati raggirati i cittadini che per via referendaria avevano abrogato nei primi anni ’90 il finanziamento pubblico ai partiti: grazie a “diverse nuove leggine approvate tutte all’ unanimità nell’ombra delle commissioni parlamentari su impulso soprattutto dei tesorieri del Pds-Pd e della Lega”, Teodori ha calcolato che “ogni elettore, il quale in origine versava ai partiti circa 0,50 euro (al valore attuale), oggi ne versa circa 3,6 che salgono almeno a 5 euro se si prendono in considerazione analoghe voci come l’editoria politica, i gruppi parlamentari e il fondo per i debiti dei partiti”. Dunque una moltiplicazione di dieci volte praticato dalla “nuova casta politica”! Emilio Lussu, grande spirito libero della sinistra italiana, avrebbe commentato: “Il vero peccato non è commettere una infrazione alle leggi di nostro Signore, ché tutti siamo dei deboli mortali, ma fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni”. 2. L’elenco degli “imbroglioni” purtroppo è lunghissimo. Nell’elenco dei malesseri istituzionali dovremmo anche aggiungere la stupefacente analisi riguardante un’altra casta pubblica, precisamente “L’ultracasta” come ha definito la Magistratura il giornalista dell’ Espresso Stefano Livadiotti nel libro così intitolato e pubblicato nel 2009 da Bompiani. Leggiamo strabiliati nella presentazione dell’inchiesta: “Quella dei giudici e dei pm è la madre di tutte le caste. Uno stato nello stato, governato da fazioni che si spartiscono le poltrone in base ad una ferrea logica lottizzatoria e riescono a dettare l’agenda alla politica. Un formidabile apparato di potere che, sventolando spesso a sproposito il sacrosanto vessillo dell’indipendenza e facendo leva sull’immagine dei tanti magistrati-eroi, è riuscito a blindare la cittadella della giustizia, bandendo ogni forma di meritocrazia e conquistando per i propri associati un carnevale di privilegi. Per la prima volta, cifra per cifra, tutta la scomoda verità sui 9.116 uomini che controllano l’Italia: gli scandalosi meccanismi di carriera, gli stipendi fino all’ultimo centesimo, i ricchi incarichi extragiudiziari, le pensioni d’oro, la scala mobile su misura, gli orari di lavoro, l’incredibile monte-ferie, i benefit dei consiglieri del Csm…”: è superfluo rammentare che sotto la seconda Repubblica l’ultracasta in menzione – coloro che dovevano dare il buon esempio agli altri - ha prosperato alla grande. 3. Anche l’altra grande questione del debito pubblico, che per somma comodità si vuol far ricadere interamente sulla prima Repubblica, ha avuto un’impennata formidabile con l’avvento della seconda. Se nel 1986 nel pieno dei governi del centro-sinistra pentapartitico, l’agenzia Moody’s aveva assegnato per la prima volta la tripla A, cioè la massima considerazione, ai nostri titoli di Stato, anche il rapporto tra il debito pubblico e il Pil era allora poco sopra l’84%; oggi arriva al 119% e Moody’s ci ha declassato di brutto! Ha scritto Piero Ostellino il 26 settembre 2011:“…dalla nascita del bipolarismo centrodestra-centrosinistra (1994) la spesa pubblica è aumentata di 600 miliardi di euro” (circa unmilioneduecentomila miliardi di vecchie lire). 4. Continuando a indagare senza meta sul default economico-morale della seconda Repubblica, potremmo sconfinare nel campo sterminato dell’ evasione fiscale, problema che nell’era post-tangentopoli non solo è peggiorato…, è precipitato. Il fenomeno interessa soprattutto l’ampia “società civile” a reddito variabile: la stima dei redditi sottratti alle imposte ammonterebbe a circa 130 miliardi euro annui. Se è risultato difficile raddrizzare questo “legno storto” che avviluppa la società italiana, risulterà altrettanto arduo – anche se sarà indispensabile - chiedere ora a chi ha incamerato in epoche di vacche grasse speciali “diritti acquisiti”, un contributo di solidarietà ai detentori di pensioni dorate o ai 535.000 baby-pensionati. A quest’ultimo proposito ha scritto Enrico Marro sul Corriere della Sera del 21 agosto: “Prendiamo per esempio il leader del Idv Antonio Di Pietro che, come scrive Mario Giordano nel libro ‘Sanguisughe’, è andato in pensione da magistrato a 44 anni e incassa 2.644 euro lordi al mese. Difficile aspettarsi che possa farsi promotore di un contributo sulle baby pensioni. Così come è difficile che possa farlo Umberto Bossi, visto che la moglie Manuela Marrone, è andata in pensione a 39 anni dopo aver fatto l’insegnante e prende 766 euro al mese”. 5. Infine, in questo esemplificativo elenco non può mancare un riferimento agli iniqui sistemi elettorali che hanno mortificato e distorto il voto e la partecipazione popolare, dopo l’insensata soppressione del sistema proporzionale che dal 1946 al 1992 aveva invece garantito un equa corrispondenza tra voto dei cittadini e rappresentanti eletti. Facciamo riferimento ai farraginoso sistema maggioritario-bipolare, che dagli anni ‘90 è stato introdotto prima con collegi uninominali per finire poi nella legge “porcata” attuale con l’abolizione di ogni possibilità di esprimere preferenze da parte dei cittadini costretti a subire l’invio in Parlamento di una valanga di “nominati” dai capi-partito: l’invadenza ultra-criticata delle “segreterie di partito” della prima Repubblica risulta all’acqua di rose, rispetto all’assolutismo esercitato dai pochi plenipotenziari dell’ultimo Ventennio. Non a caso Rino Formica, una delle più acute personalità democratiche italiane -sferzante nel passato e col presente- ha parlato di “distruzione ventennale della democrazia politica organizzata”. Ma anche uno storico autorevole e competente come Luciano Canfora ha descritto i pericoli d’involuzione dispotica, affermando precisamente: “Il bipolarismo essendo incardinato su leggi elettorali di tipo maggioritario, produce -come risultato peraltro fortemente voluto- un esito in termini di mandati parlamentari, sperequato, difforme e falsificante rispetto ai voti popolari”. Chiudere con tali pratiche “falsificanti” potrebbe rappresentare uno dei mezzi giusti per trapassare il Ventennio che abbiamo alle spalle. Cosa si vuol dire con questi esempi? Che sotto la seconda Repubblica i problemi italiani non sono stati né affrontati né tantomeno risolti, ma - come sopra affermato - sono stati aggravati da una classe politico-istituzionale di parvenu che la sociologia politica classifica tranquillamente come “pigmei” in paragone ai predecessori. Tanto è vero, giacché è risultato primeggiare gigantescamente un Grande vecchio della “prima Repubblica” come il presidente Napolitano, che ben prima di dare somma dimostrazione di intraprendenza e avvedutezza politica nella risoluzione della crisi del governo Berlusconi, aveva da tempo ricordato a tutti come stanno le cose. Lo ha raccontato ad esempio l’editorialista Paolo Franchi facendo la cronaca dell’intervento di Napolitano al Meeting estivo di Rimini con precisi strali rivolti a un “bipolarismo selvatico”, rissoso e inconcludente, dal prezzo insostenibile. Il presidente su questo quasi ventennio ha fatto un ragionamento stringente: nel dopoguerra c’era stato “un prodigioso balzo in avanti” dell’economia e della società nazionale durato quasi trent’anni; da vent’anni in qua la crescita dell’economia è invece rallentata, la tendenza al miglioramento sociale è invertita, il debito pubblico non è stato abbattuto, la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata “dopo una marcia secolare in senso opposto”, così come il tasso di povertà; possibile che non ci sia qualche nesso tra tutto ciò e la politica degli ultimi decenni? Possibile – aggiunge Franchi – che su tutto ci si sia combattuti senza esclusioni di colpi fuorché su questi problemi cruciali per la gente? Se la politica attuale stenta a porsi domande simili, nell’interesse del paese occorrerebbe proporre una “grande” politica che coniughi le esigenze del “rigore” a quelle della “crescita”, con una “tensione intellettuale e morale” paragonabile a quella della Costituente repubblicana postbellica da cui originò uno sforzo collettivo che portò – come ha testimoniato uno dei più autorevoli economisti internazionali, il prof. Carlo M. Cipolla – alla “crescita del reddito nazionale di circa 5 volte dal 1950 al 1990, collocando l’Italia fra i paesi a più elevato tenore di vita nel mondo”. Stendo queste righe pensando a questa storia repubblicana e anche alla storia del nostro partito, il Psi, finito sotto le macerie di Tangentopoli per non essere riuscito a guidare vent’anni orsono una nuova fase della vita italiana, a concretizzare quella riforma della politica in grado di coniugare “crescita e rigore” come sopra richiesto: una riforma che ancor oggi aspetta chi la possa realizzare. Eppure molti di noi avrebbero meglio “elaborato il lutto” per la dispersione del grande patrimonio politico centenario del socialismo italiano se la “seconda Repubblica” avesse provato a incamminarsi verso quel rinnovamento. Invece c’è stato regresso, e pesante. Oggi il Psi è fuori dal Parlamento, i socialisti come noi che ancora militano nel partito sono degli extra-parlamentari di sinistra. Eppure la tradizione e la prospettiva socialista non sono tramontate, come rischiano invece di tramontare le formazioni dominanti dell’ultimo Ventennio, partiti/coalizioni dai tratti aziendali, familisti e/o assemblaggi di istanze disomogenee: così a destra abbiamo visto mettersi assieme i negatori dell’Italia unita e gli eredi del nazionalismo con richiami addirittura fascistici e da tifo “calcistico”; su altra sponda si è fatta una miscela di opposti provando a congiungere estremismo giustizialista con istanze garantiste, massimalismo con gradualismo, cattocomunismo con riformismo liberale. Sono gli stessi due schieramenti che ci hanno portato – secondo l’argomentazione fatta dal prof. Giuseppe Bedeschi proprio il 17 novembre 2011 – “ad una situazione economica così grave, tanto che la politica non è più in grado di governarla, e cede il passo; all’origine di questo fallimento – continua – ci sono due deficit: un deficit di riformismo (e di mentalità riformista) in ampi settori della sinistra, e un deficit di liberalismo (e di mentalità liberale) in ampi settori della destra”: insomma proprio un deficit di “socialismo liberale”, in quanto “il riformismo – conclude Bedeschi - è la versione liberale del socialismo”. CONCLUSIONI Ecco, per la sinistra, che è la parte politica che comunque può provare a riscattare le sorti del Paese, ci sarebbe una via maestra da ricominciare a percorrere, dopo l’esperienza temporalmente delimitata al 2013 del Governo emergenziale del prof. Monti; un percorso che noi socialisti, in diaspora dal 1993, potremmo agevolare ritrovando – dopo la crisi del berlusconismo - il filo che riannodi le militanze disperse. Anche Giovanni Sartori nel già citato editoriale sul Corriere della Sera del 3 ottobre scorso ha rilevato che il problema di base della sinistra italiana sta nell’aver “perduto la sua vecchia ideologia senza riuscire a rifondarsi come invece è riuscito a quasi tutte le socialdemocrazie europee”. Dunque in Europa c’è il Pse – che riunisce le famiglie socialiste, socialdemocratiche e laburiste - e che rappresenta ancora un movimento riformista in grado di organizzare la speranza per un nuovo sforzo di crescita civile ed economica, insomma per una rinascita della politica collettiva; anche nel nostro paese - come si augura il presidente Napolitano – non potrà mancare in tale direzione la buona volontà e l’impegno di energie nuove e antiche. Nicola Zoller - segretario regionale Psi del Trentino-Alto Adige torna in alto |