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UN LIBRO, per meditare d’Estate
Luglio 2005


Autore: Antonio Gambino
Titolo: ESISTE DAVVERO IL TERRORISMO?
Fazi ed., € 7,50


Un pamphlet scomodo e provocatorio di Antonio Gambino che non esita a mettere a confronto la "nostra" violenza con quella degli altri , senza giustificare in alcun modo bin Laden e i suoi seguaci

Recensione di Emanuela Sanna


Il filo del distinguo è sottilissimo. Terrorista è senza dubbio l'artefice degli attentati alle Torri gemelle, così come lo erano negli anni settanta e ottanta i militanti nostrani delle Brigate rosse e dei Nar o quelli tedeschi della Raf. Ma terroristi erano definiti all'epoca anche gli eroi che oggi popolano le nostre piazze dal più illustre Mazzini agli sconosciuti "carbonari" che combattevano per l'indipendenza. E terroristi erano anche, secondo il fascismo, i partigiani della Resistenza, così come tutti i giovani sospettati di avversione al regime delle varie dittature sudamericane. E se terroristi sono i palestinesi che reclamano le loro terre, i ceceni che subiscono da 200 anni la sopraffazione e il dominio russo, i guerriglieri iracheni che da oltre due anni compiono attentati contro le forze americane presenti nel loro paese, non sono forse stati atti terroristici anche i bombardamenti su Dresda, Hiroshima e Nagasaki durante la guerra mondiale? Qual è la differenza che fa di una carneficina di civili innocenti una "guerra" mentre un'altra delle stesse proporzioni, o di proporzioni perfino minori viene definita "terrorismo"? E per quale motivo alcuni crimini come la tortura, le esecuzioni mirate, i bombardamenti indiscriminati sui centri abitati in alcuni casi vengono definiti come "effetti collaterali" o episodi isolati e in altri a seconda di chi li compie crimini efferati? C'è poi tanta differenza tra il soldato israeliano che spara al bambino palestinese, o tra il marine che il 13 novembre del 2004 sotto gli occhi di un cameramen della NBC uccise un iracheno disarmato e ferito, rifugiatosi in una moschea e la decapitazione in diretta su Internet di un ostaggio? Sono solo alcuni degli interrogativi ai quali tenta di dare una risposta questo coraggioso e scomodo pamphlet di Antonio Gambino, "Esiste davvero il terrorismo?", dove l'autore a dispetto del politicamente corretto, non esita a mettere a confronto la "nostra" violenza con quella degli "altri", ad azzardare paragoni fastidiosi, a dire chiaramente le cose come stanno senza timore di apparire antiamericano o di giustificare in quale maniera bin Laden e i suoi seguaci. Anzi, e l'Autore tende a sottolinearlo ripetutamente, "questo piccolo libro non è, in alcun modo, una giustificazione del terrorismo o dei terroristi", ma piuttosto il tentativo "di mettere in luce come quelle azioni che noi attualmente definiamo come terroristiche siano di fatto non distinguibili, dal punto di vista della loro violenza e della loro criminalità, da tante altre che cerchiamo di accreditare come legittime". Un libro per capire e per comprendere, dunque, ma anche per condannare in blocco ogni forma di efferata violenza contro persone inermi al solo scopo di incutere terrore. Non un'assoluzione, bensì un'accusa collettiva che vede anche noi sul banco dei colpevoli.

E per capire e comprendere le cause dell'odio di oggi è inevitabile il ricorso alla storia, dai massacri ordinati dal maresciallo Mac-Mahon dopo la caduta della Comune parigina nel 1871, alle teorie di Marx e Lenin sulla necessità di un "terrorismo rivoluzionario" dopo la presa del potere da parte del proletariato, al lunghissimo elenco delle repressioni "controrivoluzionare", agli eccidi "educativi" della storia del colonialismo, ai genocidi del nazismo, per scoprire che il "terrorismo" "è presente in tutti i conflitti, siano essi di natura nazionale o sociale, interni oppure esterni, guerre regolarmente dichiarate o semplici scontri etnici o sociali. Lo usano gli Stati contro gli altri Stati nel corso di una guerra, ma lo usano i governanti contro i loro sudditi: non solo per sedarne sommosse o rivoluzioni, ma anche per imprimere nelle loro menti un sigillo terrificante, diretto a scoraggiare ogni futura velleità di ribellione".

E a quanti sostengono che la storia è cambiata dopo l'11 settembre Gambino risponde con la testimonianza di George Steiner, saggista austriaco rifugiato in America per sfuggire alle leggi razziali: "I miei figli e i miei nipoti erano a New York l'11 settembre e posso dirvi che ho passato un bruttissimo momento prima di poterli raggiungere. Posso quindi comprendere che, per un americano, in quel giorno la storia sia cambiata. Ma pensate ai cinquantamila (o per tenerci bassi trentamila) uomini, donne e bambini bruciati vivi nelle tempeste di fuoco di Amburgo e di Dresda. Quei bombardamenti erano concepiti per eliminare l'ossigeno: si moriva bruciati e asfissiati nello stesso tempo. Che fossero trentamila o cinquantamila poco importa: erano una ventina di volte di più dei morti delle Torri gemelle. Davvero la storia è cambiata?". O non sono forse diverse facce dell'enorme massa di indiscriminata violenza, verso la quale dovremmo fare un riesame "allo scopo di valutare con occhi diversi - vale a dire non oscurati dalla nostra presunzione di superiorità e quindi di autocondiscendenza - le tappe e i metodi dell'ascesa dell'Occidente a una posizione di dominio mondiale"?

E se la storia è sempre la stessa e siamo, o siamo stati, tutti un po' terroristi, cosa è veramente il terrorismo? Quello spiegato nella lacunosa definizione partorita dalle Nazioni Unite, che paradossalmente esclude chi sequestra un aereo e lo fa atterrare dove vuole se non lascia morti e feriti durante la sua azione? Risposta difficile, perché come dicevamo all'inizio, il distinguo con la "guerra" o la lotta armata è veramente esile. Gambino prova a limitare il terrorismo "puro" a quelle azioni violente compiute quando non si è in presenza di uno scontro nazionale o etnico, ma piuttosto a una tensione e a una lotta di natura sociale, in un quadro politico sostanzialmente democratico, vale a dire tale da garantire a coloro che vi appartengono adeguati mezzi di espressione. Situazioni, insomma, in cui l'elemento "terrore" si manifesta allo stato puro "e non confuso con altri aspetti di violenza che non siano quelli direttamente necessari alla produzione del terrore stesso: per cui se si uccide lo si fa solo per terrorizzare".

Tutto il resto è guerra. Spietata, senza esclusione di colpi, ma pur sempre guerra. I cui crimini più atroci dovrebbero essere processati e condannati, ma restano per lo più impuniti per la debolezza della Corte Penale internazionale. In questo contesto si colloca il crescente terrorismo islamico, condannabile e non scusabile, anche se ha le sue radici negli errori commessi dall'Occidente, come tutti i terrorismi che, e qui Gambino dà ragione paradossalmente alle teorie "neocon", ha dichiarato all'Occidente una guerra senza confini. Per farvi fronte l'Autore ammette due strade: la prima quella "di dar vita a un quadro internazionale che si presenti, da ogni punto di vista, profondamente diverso da quello attuale: che cioè sostituisca, nei fatti e non solo a parole, a una situazione di dominio unilaterale, una di reciproca collaborazione e di effettivo con-dominio"; la seconda quella di andare avanti come fatto fino ad oggi "diventando sempre più imperiali". Gambino, chiaramente si augura si imbocchi la prima, ma è abbastanza realista per sapere che l'orientamento è tutto verso la seconda.



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