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Da Milano un segno nuovo
20 maggio 2011

INFO SOCIALISTA 20 Maggio 2011
a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592
Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it
Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it - Quindicinale - Anno VIII
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o DA MILANO UN SEGNO NUOVO -di Nicola Zoller
o Una lezione per destra e sinistra: LASCIATE I PROCESSI FUORI DALLE ELEZIONI - di Antonio Polito
o Alcune IDEE SULLA GIUSTIZIA prendendo spunto dagli interventi di Marco Boato - di Lorenzo Passerini


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DA MILANO UN SEGNO NUOVO

Come Socialisti consideriamo soprattutto il dato delle elezioni comunali di Milano come il segno di una svolta che ha svelato a tutti i sinceri riformisti e garantisti il lato forcaiolo e anti-garantista del centodestra. Molti di quelli - e tra questi tanti ex-elettori del Psi - che in questo ultimo ventennio avevano pensato che il berlusconismo rappresentasse una garanzia contro meccanismi giudiziari ingiusti, hanno dovuto ricredersi. Quando Letizia Moratti ha criminalizzato il suo avversario Pisapia con insinuazioni non veritiere sul suo passato giudiziario, è caduta la maschera. Dov'è finita la presunzione di innocenza fino al giudizio finale? Quanto contano le sentenze di assoluzione? Quanto vale il diritto alla difesa, l'appello per una giustizia fondata sulle prove e non sui teoremi? Ha commentato Pierluigi Battista sul Corriere della Sera la mattina del lunedì, ancor prima di conoscere l'esito elettorale: "Vale solo per se stessi, per la propria parte politica, per il proprio leader. Il centrodestra non dice: deve essere sempre così. Dice piuttosto: dipende. Dipende se mi conviene oppure no".
Pensiamo che una parte consistente dell'elettorato socialista che a Milano nel primo cinquantennio della Repubblica ha rappresentato fino al 20% dell'elettorato abbia tratto da questa vicenda delle nette conclusioni votando per il candidato Pisapia, considerato peraltro -fin dai tempi delle primarie all'interno del centrosinistra-effettivamente "il vero riformista e garantista". E pensiamo anche che da Milano possa ripartire la costruzione di un nuovo schieramento progressista di stampo europeo, nel quale possa ritrovare piena partecipazione la tradizione e la prospettiva socialista democratica.

Nicola Zoller - segretario regionale Psi..

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Una lezione per destra e sinistra: lasciate i processi fuori dalle elezioni
-di ANTONIO POLITO
Corriere della Sera - giovedì 19 maggio 2011, pagina 1

Il voto dei milanesi contiene una ventata di aria salubre per l'intero sistema politico italiano che sarebbe un peccato disperdere. Consegnando un successo insperato agli oppositori di Berlusconi, ha infatti ridato loro la fiducia nel meccanismo elettorale che sembravano aver persa, spingendoli disperati verso soluzioni extra-elettorali. Solo così si spiega il successo, sorprendente a sinistra, del giustizialismo politico: se Berlusconi ha troppi soldi, troppe tv e troppo fascino per essere battuto nelle urne, l'unica è che sia battuto in un'aula di tribunale. Avendo Milano invece dimostrato che Berlusconi è battibile perfino a casa sua, perfino quando ai suoi soldi aggiunge quelli della Moratti, e perfino se «sovraesposto» sul I gi, ecco che ne dovrebbe discendere l'abbandono da parte dell'opposizione della scorciatoia giudiziaria, a vantaggio della via maestra elettorale. Del resto a Milano si è presentata con un leader, Giuliano Pisapia, finalmente refrattario al giustizialismo, non foss'altro perché è un avvocato; e che non ha mai usato i processi di Berlusconi come arma elettorale. L'avvocato Pisapia, del quale va ricordato che non divenne ministro della Giustizia di Prodi perché l'Anm pose un veto sul suo nome, appartiene a un filone culturale del tutto diverso da quello da cui discende Luigi de Magistris, il candidato della sinistra a Napoli. L'ex pm incarna quell'ideale che lo scrittore spagnolo Javier Cercas definisce il «fiat iustitia et pereat rnundus», un'etica politica che si interessa solo alla purezza delle azioni ma non alla bontà delle conseguenze (e il rischio del perire a Napoli è molto attuale). Pisapia invece riscopre un terreno ormai da tempo abbandonato dalla sinistra politica, e cioè il terreno del sociale, dove bisogna occuparsi piuttosto della bontà delle conseguenze delle proprie azioni. Il modello-Milano è in questo senso una vera e propria novità per la sinistra, dopo tanti anni passati a compulsare brogliacci di intercettazioni e tanti pm portati in Parlamento. Ma la novità riguarda anche il centrodestra. Gli elettori di Milano hanno infatti respinto la richiesta, esplicitamente venuta da Berlusconi, di usare la cabina elettorale per proscioglierlo dai suoi processi, dandogli una sorta di assoluzione che rendesse assoluto il potere politico e dunque sovra-ordinato al potere giudiziario, al punto da poterlo tenere sotto scacco con una commissione d'inchiesta del Parlamento. Si è detto che il premier ha sbagliato a trasformare il voto di Milano in un referendum su di sé. Ma è invece naturale e legittimo che un premier chieda un giudizio sul suo operato e contro i suoi nemici politici. L'errore è stato trasformarlo in un referendum su Edmondo Bruti Liberati e Ilda Boccassini, con quelle scene un po' sgangherate da processo del lunedì che hanno segnato la campagna elettorale di Berlusconi a Milano, perché usavano la città come mero sfondo televisivo di una battaglia legale, invece che come protagonista di una battaglia politica. A questa richiesta di ordalia, i milanesi si sono educatamente sottratti, decidendo l'indecidibilità elettorale delle cause penali. E, si badi bene, non i milanesi che votano a sinistra, i quali sono più o meno gli stessi di quelli che votarono per Ferrante cinque anni fa; ma i milanesi che votano centrodestra, e che a decine di migliaia stavolta hanno disertato il referendum anti-procura. Se il sistema politico nazionale sapesse far tesoro del voto di Milano, l'opposizione dovrebbe dunque archiviare il giustizialismo alla Di Pietro vedendo quanto è stato moscio nelle urne, senza lasciarsi abbagliare dal botto dell'ennesimo Masaniello napoletano, e costruire invece una proposta sociale ed economica per tentare il miracolo di trasformare un voto amministrativo in un voto politico, quando si tratterà di scegliere un governo e non un sindaco. Ma, d'altro canto, Berlusconi dovrebbe ascoltare ciò che gli ha già detto Milano, comunque finisca il ballottaggio, e scindere la sua sorte processuale da quella del suo governo e della sua coalizione. Se non lo fa lui, ecco una buona occasione perché sia la Lega a fermare tutto l'ambaradan ad personam che si annuncia alla riapertura delle Camere: sarebbe il più efficace dei modi per tener fede al proposito di Bossi di «non lasciarsi trascinare a fondo». Allora Milano, culla di Tangentopoli, avrebbe davvero ripristinato in Italia la separazione dei poteri tra giustizia e politica. Se Milano, culla di Tangentopoli, riuscisse davvero a ripristinare la separazione dei poteri tra giustizia e politica ***


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Alcune IDEE SULLA GIUSTIZIA prendendo spunto dagli interventi di Marco Boato

-di LORENZO PASSERINI

È con profondo interesse che ho letto sul Trentino dello scorso 12 marzo 2011 - e su MONDOPERAIO, n.3/2011 - l’intervento dell’On. Boato “Riforma della giustizia, il Pd batta un colpo” con il quale invita il Pd a non “rifiutare qualche confronto parlamentare anche sui temi costituzionali, che per loro natura lo richiedono, essendo l’ipotizzata riforma della Costituzione qualcosa di diverso dalla contrapposizione fisiologica sui programmi di governo” e quindi a non sottrarsi al dibattito pubblico sulla proposta di riforma presentata dal Ministro Alfano.
Boato ricorda e condivide gli auspici di questi giorni di alcuni esponenti del Pd come il Sen. Morando, il costituzionalista Ceccanti e il segretario del gruppo parlamentare alla Camera Roberto Giacchetti, che “hanno fatto esplicito riferimento alla necessità da parte del centrosinistra di ripartire proprio dalla proposte della Bicamerale”.
Condivido l’analisi di Boato e penso che il suo invito debba essere raccolto e che quindi sia doveroso innescare un dibattito pubblico sul tema della giustizia, dibattito che seppur inquinato dalle vicende giudiziarie che riguardano il Presidente del Consiglio, non dev’essere tabù. Sottrarsi incondizionatamente al confronto è infatti un pericolo per il centrosinistra che così rischia di appiattirsi sulle posizioni più intransigenti di alcuni settori della Magistratura. Il ruolo di un opposizione riformista non è infatti quello di trincerarsi in una mera difesa dell’esistente, ma quello di proporre, nella fattispecie leggi che sempre meglio tutelino i diritti di tutti i cittadini. Il rischio da scongiurare è che il Pd mostri un deficit di cultura garantista.
Credo si debba fare uno sforzo per mettere mano ad una materia che da anni attende di essere riformata in termini di bilanciamento dei poteri, responsabilità, tempi e costi. Anche su questi temi infatti le uniche soluzioni concrete sono giunte nelle legislature in cui fu il centrosinistra a governare il Paese: nel biennio 1997-98 il lavoro della Commissione Bicamerale generò un progetto di riforma costituzionale della giustizia che ottenne una larga convergenza in quanto riuscì a coniugare sensibilità e posizioni diverse; nel 2007 la commissione parlamentare presieduta da Giuliano Pisapia preparò un testo di riforma del codice penale mai approvato perché il governo Prodi cadde e la legislatura fu interrotta.
È infatti a partire dalle proposte contenute in questi progetti di riforma che l’opposizione dovrebbe incalzare la maggioranza. Probabilmente il governo ha preso spunto da molte delle idee previste nella proposta della Bicamerale forzandole però in un’unica direzione: basta una virgola in questa materia per cambiare tutto.
Si deve infatti ragionare senza preconcetti di sorta sul rapporto pm e giudici. Il testo elaborato della Bicamerale prevedeva una soluzione più soft e praticabile, proponendo la separazioni delle funzioni, ma confermando però l’indipendenza dei giudici e dei pm dal potere esecutivo; principio già sancito tra l’altro - come ricorda Boato - dall’art. 111 della Costituzione “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale”. Dalla separazione delle carriere deriva l’ipotesi di avere due Csm, la proposta della Bicamerale, prevedendo la separazione delle funzioni, comportava un Csm con due sezioni. Altro nodo critico risiede nella composizione dei Csm che, nella proposta del governo, è a maggioranza laica la qual cosa potrebbe avrebbe un sapore punitivo nei confronti della Magistratura. Anche su questo punto il ddl del governo non risponde al principio della salvaguardia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati.
È necessaria la separazione delle funzioni anche per creare una maggiore fiducia dei cittadini nelle decisioni di chi deve giudicare, perché “la moglie di Cesare deve anche apparire, oltre che essere, al di sopra di ogni sospetto”: se il giudice ha il potere-dovere di giudicare, il pm ha quello di svolgere le indagini e sostenere l’accusa nel processo; conseguentemente chi ha il compito di sostenere le ragioni dell’accusa è opportuno che, anche se in momenti diversi, non abbia anche quello di giudicare; solo l’effettiva terzietà di chi deve decidere tra tesi diverse e spesso contrapposte può dare ai cittadini la necessaria fiducia che chi giudica sia effettivamente al di sopra delle parti. Voci autorevoli della Costituente e giuristi che hanno illuminato il cammino della democrazia hanno sostenuto questa tesi: da Montesquieu – che considerava un vero e proprio abuso il fatto che gli stessi soggetti potessero essere juge et accusatuer – a Tocquieville, fino a Calamandrei, il quale riteneva necessario evitare “un pubblico ministero totalmente privo di controllo”. Anche Giovanni Falcone sosteneva questa tesi in quanto “la regolamentazione delle funzioni e della stessa carriera dei magistrati non possono essere identiche per i pm e magistrati giudicanti, diverse essendo le funzioni, e quindi le attitudini, l’habitus mentale, e le capacità professionali richieste per l’espletamento di compiti così diversi” e aggiungeva “disconoscere la specificità delle funzioni requirenti rispetto a quelle giudicanti, nell’antistorico tentativo di continuare a considerare la magistratura unitariamente, equivale paradossalmente a garantire meno la stessa indipendenza della magistratura”. Autorevoli giuristi democratici quindi, come anche Giuliano Vassalli, partigiano durante la Resistenza, hanno sostenuto questa tesi; è quindi incomprensibile che il centrosinistra abbia lasciato al centrodestra l’iniziativa su questi temi: la parità delle parti, il diritto di difesa, il diritto a un giudizio equo sono state sempre bandiere, oggi purtroppo spesso ammainate, del centrosinistra.
Nessuno nella Bicamerale aveva immaginato di rendere autonoma la polizia giudiziaria dai pm: la responsabilità prima e ultima delle indagini deve restare in capo alla magistratura.
Se sarei cauto sulla responsabilità civile dei magistrati (il rischio è quello di avere una magistratura incapace di decidere) è ragionevole però pensare di tipizzare i profili di colpa grave che danno luogo a una responsabilità diretta eliminando ogni possibile discrezionalità.
Un altro tema delicato è quello dell’obbligatorietà dell’azione penale: anche se in Bicamerale era stata conservata, è ragionevole però pensare ad indicazioni di priorità (magari con una maggioranza qualificata) da parte del Parlamento, purché si basino comunque su una lista di reati che vanno perseguiti e non si scelga di volta in volta. Il rischio è che quello di vincolare l’obbligatorietà dell’azione penale alle decisione delle maggioranze parlamentari e che quindi si favoriscano alcune categorie o soggetti.





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Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. Grazie per la cortese paziente attenzione



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