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Riformismo, la storia giusta
11.5.2011

INFO SOCIALISTA 11 MAGGIO 2011
a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592
Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it - Quindicinale - Anno VIII


Dal giornale “TRENTINO”- mercoledì 11 maggio 2011, p.41

IL RIFORMISMO FINITO NELL’OBLIO

di Nicola Zoller

Scrivere un interessante articolo sulla politica attuale come ha fatto Claudio Giua sulla prima pagina del “Trentino” di sabato 7 maggio 2011 partendo con un riferimento al segretario del Psi Bettino Craxi che “ogni lunedì mattina spartiva i proventi della Milano da bere”, rientra nella tendenza mediatica che nell’ultimo ventennio ha dipinto come prevalentemente malavitosi il dirigente socialista e tanti altri politici democratici della prima repubblica. Proverei concisamente a descrivere questo clima, proponendo al “Trentino” qualche passo di una mia recensione dedicata al libro presentato nei mesi scorsi a Trento con grande attenzione di pubblico, “L’eresia riformista ” di Bruno Pellegrino.

C’è una sorta di amnesia collettiva sotto la seconda Repubblica italiana: riguarda la storia del più vecchio partito della sinistra fondato a Genova nel 1892, precisamente la storia del socialismo italiano, espunta dalla memoria comune grazie anche alla caparbia ostilità di vecchi e nuovi politici illiberali e di intellettuali faziosi col paraocchi. C’è il caso esemplare di Paul Ginsborg, storico inglese naturalizzato italiano, docente all’Università di Firenze, che racconta all’incredulo Vittorio Foa di non aver inserito il Psi e i socialisti nella sua einaudiana “Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggiAggiungi un appuntamento per oggi. Società e politica 1943-1988” semplicemente perché a suo avviso i socialisti “non esistevano”. Foa – che dirigente socialista nel dopoguerra lo è stato a lungo, oltre che punto di riferimento per tutta la sinistra italiana – rivela incredulo questa assurda considerazione nella sua opera “Il cavallo e la torre” edita nel 1991. Anche le date sono qui importanti per capire il senso delle cose: la ponderosa “Storia” di Ginsborg è stata pubblicata nel 1989, pensata e scritta proprio in quel decennio in cui gli esponenti del Psi accedevano alla presidenza della Repubblica e del Consiglio dei ministri, dunque in un periodo di massima visibilità e ben prima della caduta del Psi sotto le macerie di Tangentopoli. Lo sottolineiamo perché anche da questo elemento appare plausibile che le accuse di corruzione che hanno contrassegnato la fine del Psi tra il 1992/1993 si siano incanalate in una intenzionale, deviante operazione di pulizia storico-politica - e poi di polizia tout court - preordinata da tempo. Cosicché è stato più agevole utilizzare le vicende giudiziarie nel crudo confronto politico dei primi anni ’90 (Francesco Alberoni - in “Valori”, Rizzoli, 1993 - ci rammenta che da sempre “la lotta politica è praticamente tutta combattuta con accuse di immoralità”) per conseguire l’ obiettivo politico di una cinica “damnatio memoriae” annullando la presenza del Psi, non solo di quello “craxiano” degli anni ’80, ma - come abbiamo visto con la storia ginsborgiana – di tutto il dopoguerra!

Però l’obiettivo principale riguardava proprio il riformismo del periodo craxiano, come spiega Bruno Pellegrino con “L’eresia riformista – la cultura socialista ai tempi di Craxi” (Guerini e Associati ed., 2010). Commentando questa argomentata ricerca, Pierluigi Battista sul “Corriere della Sera” del 13 aprile 2010 rileva che si è relegato nell’oblio quel mosaico riformista che aveva interessato ogni comparto della cultura, portando una “ondata di riflessioni e innovazione dalle nuove professioni all’informazione, dal cinema all’arte, dall’architettura alle scienze giuridiche, dalla storiografia alla politologia”. Col paradosso – aggiunge – che chi nella sinistra politica aveva ingiuriato fino ad un momento prima il riformismo in odio ai socialisti, ha poi cominciato a farsene all’improvviso interprete e vessillifero. Interprete “insincero” però, precisa Battista. Sì, perché iparvenu del riformismo non possono che procedere verso una “desolante parabola”, incapaci come sono di riconoscersi fino in fondo nella cultura riformista, cioè in quei valori che il Psi – tanto disconosciuto e dimenticato nella stagione politica della seconda Repubblica – aveva saputo rappresentare e precisamente: “la cultura di governo, l’attenzione alla modernità, il rifiuto dei pregiudizi ideologici, il gradualismo, il garantismo, il rifiuto dell’autoritarismo, insomma tutto il meglio del riformismo socialista”. Questa è una storia da studiare e da riscoprire: perché – ricorda ancora Battista – “malgrado le perplessità di Paul Ginsborg” – non a caso diventato poi vate dell’area sinistro- giustizialista e dell’effimero (questo sì) movimento dei “girotondi” con Pancho Pardi – “il riformismo socialista è esistito davvero”. E può essere ancora un riferimento non solo utile ma necessario per la rinascita di una moderna sinistra italiana.

Concluderei qui questo intervento – provando più avanti a proporre l’intera recensione – riportando la parte più specificatamente riferita alle considerazioni di Claudio Giua.

“La molla di Craxi non era l'arricchimento personale, ma la politica”: parole inascoltate perché conveniva dipingere il leader socialista come un ladro, addirittura un “criminale matricolato”. Peccato, perché le inascoltate parole sopra citate provengono dall'insospettabile magistrato Gerardo D'Ambrosio - vicecapo del pool milanese ‘Mani pulite’- e sono state riportate in una intervista del 23 febbraio 1996. D'altronde molti degli ostili avversari di Craxi si finanziavano ben più corposamente del partito socialista, avendo nel contempo l'impostura - che Craxi per schiettezza non ebbe - di negare che la politica ha dovuto anche ricorrere a finanziamenti “aggiuntivi” rispetto a quelli ufficiali. Si poteva e si doveva trovare una soluzione politica generale al problema del finanziamento dei partiti, un problema non solo italiano ma europeo. In Italia negli anni ’90 si preferì la via giudiziaria, colpendo taluni e salvando altri, soffiando sul fuoco della protesta concentratasi nel referendum che abolì a furor di popolo il finanziamento pubblico ai partiti; salvo poi procedere – dopo aver eliminato gli avversari - a ridicolizzare il verdetto popolare moltiplicando per almeno cinque volte il finanziamento statale alla politica con la formula dei “rimborsi elettorali”. Emilio Lussu, spirito libero della sinistra italiana, avrebbe commentato: “Il vero peccato non è commettere una infrazione alle leggi di nostro Signore, ché tutti siamo dei deboli mortali, ma fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni”.

*segretario regionale del Psi






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