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Socialismo liberale e tricolore
17.3.2011

INFO SOCIALISTA 13 marzo 2011
a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592
Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it
Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it - Quindicinale - Anno VIII
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o Un LIBRO per cominciare: "SOCIALISMO LIBERALE" di CARLO ROSSELLI, recensione di N.Zoller

o Il socialismo è tricolore
-Giuseppe Tamburrano - Il nostro Risorgimento
-Alberto Benzoni - Libertà e diritti per tutti
-Roberto Biscardini - Barbarossa contro Garibaldi

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Un LIBRO per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

- Autore: Carlo Rosselli
- Titolo: SOCIALISMO LIBERALE
- ed. Rcs.Corriere della Sera, 12 marzo 2011

Insieme al Corriere della Sera di sabato 12 marzo 2011 è stata pubblicato il libro di Carlo Rosselli “Socialismo liberale”. Molti della nostra generazione politica - che sono cresciuti formandosi a quel libro – sono davvero riconoscenti per questa iniziativa. Proverei a darne spiegazione, attraverso un commento che non a caso ho inserito nella mia ricerca “Breviario di politica mite”.
Scritto nel 1928-29 al confino di Lipari dove l'autore era relegato dal regime fascista, di quell’opera ne era stata data una versione incompleta e riscritta, con una edizione francese del 1930, seguita da una introvabile ristampa italiana a cura di Aldo Garosci nel 1945. Solo nel 1973 grazie alle edizioni Einaudi gli italiani poterono accedere al testo completo dell’opera rosselliana. Perché così tardi?
Probabilmente per l’ostilità della intelligencija cosiddetta ‘progressista’, memore delle ferali parole con cui Palmiro Togliatti aveva stroncato l’edizione francese definendola un “magro libello antisocialista, e niente più”, accomunandola grevemente a “una gran parte della letteratura politica fascista”!
Peraltro anche tra i socialisti italiani di matrice marxista, le idee di Rosselli all’inizio non trovarono asilo felice. Fu solo nella nuova stagione del socialismo riformista e autonomista inaugurata tra gli anni ’70 e ’80 - su cui oggi si è gettata una ingiusta e generalizzata damnatio memoriae - che Rosselli assume una posizione centrale, tanto che le pubblicazioni per il 90° di fondazione del Psi nel 1982 assegnano a quest’uomo di pensiero e d’azione il ruolo di padre fondatore.
Intanto chi è Rosselli? Così egli stesso risponde: “Sono un socialista. Un socialista che, malgrado sia stato dichiarato morto da un pezzo, sente ancora il sangue circolar nelle arterie e affluire al cervello. Un socialista che non si liquida né con la critica dei vecchi programmi, né col ricordo della sconfitta, né col richiamo alle responsabilità del passato, né con le polemiche sulla guerra combattuta. Un socialista giovane, di una marca nuova e pericolosa, che ha studiato, sofferto, meditato e qualcosa capito della storia italiana lontana e vicina...”.
Cosa ha capito di tanto straordinario per essere messo in sordina dai dogmatici? Egli ha capito che è il liberalismo e non il marxismo che offre maggiori garanzie per il raggiungimento degli ideali socialisti. E’ solo attraverso il metodo liberale - cioè nel rispetto delle idee degli altri - che può procedere l’azione socialista. Egli scriverà efficacemente nell’appendice I miei conti col marxismo: “La libertà, presupposto della vita morale così del singolo come della collettività, è il più efficace mezzo e l’ultimo fine del socialismo”.
Si capirà che presso gli ambienti italiani di derivazione terzinternazionalista affermare che “tra socialismo e marxismo non v’è parentela necessaria” e che anzi “la filosofia marxista minaccia di compromettere la marcia socialista”, diventava una bestemmia inaccettabile, come lo era anche semplicemente il mite proposito laico di evitare alla sinistra almeno l’imposizione di “una unica filosofia, un unico schema, una sola divisa intellettuale”.
Nel XXI secolo si vede come questo eretico socialista liberale abbia avuto ragione sulle miserie intellettuali e pratiche dei sacerdoti dell’ortodossia. Egli in Italia resta uno dei pochi anticipatori delle verità che troppo tardivamente sono state acquisite come tali solo dinanzi alle immani sventure totalitarie subite.
Rosselli è il nostro Eduard Bernstein, l’indomito socialdemocratico berlinese (1850 - 1932) che si batté per far capire che “non esiste idea liberale che non appartenga anche al contenuto ideale del socialismo”. Ribadendo che l’ordinamento liberal-democratico non è l’inerte involucro del potere capitalista ma ha una potenzialità universale in cui tutti possono muoversi per far valere le proprie ragioni, per progredire, per riequilibrare il potere degli altri, Bernstein intuisce la necessità della dissociazione tra marxismo e socialismo. E’ il primo dei revisionisti, ed anche il più denigrato. Lascia a differenza dei suoi detrattori, un insegnamento ed un messaggio di straordinaria modernità.
Rosselli troverà in Karl Popper - alfiere della “società aperta” contro le “false profezie” del marxismo - l’ideale interlocutore che proseguirà nell’opera di “mostrare che il ruolo del pensiero è quello di realizzare delle rivoluzioni per mezzo di dibattiti critici, piuttosto che per mezzo della violenza e della guerra”.
Rosselli è l’antesignano di John E. Roemer, il pensatore americano che nel 1994 ha pubblicato “A future for Socialism”. Questo autore è un “socialista orwelliano”, in nome di chi, sostenendo un ideale di socialismo anti-autoritario (cfr. George Orwell, “La fattoria degli animali” e “1984”), di quello totalitario ha saputo denunciare tutti i pericoli. E viene a proporre “un socialismo dal forte sapore liberale, basato sulle ragioni del fallimento delle economie dell’est europeo, che è bene siano fallite perché con esse sono falliti dei regimi tirannici”. Con Roemer prosegue sul piano ideale verso il 21° secolo l’opera di Rosselli, per un socialismo che ponga sull’educazione e sulla formazione intellettuale e professionale, le basi per allargare ai “segmenti sociali più svantaggiati” le opportunità di accesso alla vita civile ed al lavoro.
Istanze liberali e socialiste di giustizia e libertà si fondono ancora in questi pensatori, i quali si ostinano a “non ritenere disparati e inconciliabili l’ideale della libertà politica e quello della giustizia sociale”. Per questi valori Rosselli visse e morì. Dopo la guerra di Spagna - combattuta insieme all’amico e compagno Pietro Nenni, col quale aveva fondato nel 1926 la rivista “Quarto Stato” - Carlo Rosselli cadde in terra di Francia nel 1937, assassinato dai sicari lì inviati dal regime fascista. Fu ucciso una seconda volta dalla propaganda d’opposto segno, ma di pari violenza e settarismo. Oggi continua a rinascere e vivere nelle menti e nei cuori di chi coltiva un’idea liberale di progresso e civiltà.

Nicola Zoller –socialista dal 17° anno d'età


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Il socialismo è tricolore
Giuseppe Tamburrano - Il nostro Risorgimento

AVANTI della Domenica - 13 marzo 2011


Il socialismo può rivendicare di aver dato un contributo importante al Risorgimento: nel fare l’Italia unita, con – tra tanti - Garibaldi, Pisacane, e un contributo decisivo a “fare gli italiani”.
Di tutti i movimenti democratici che si iscrivono nella storia dell’Unità noi siamo i più antichi. E siamo l’avanguardia di coloro che vollero l’Italia unita, democratica. Il primo deputato socialista, Andrea Costa, si è battuto alla Camera per i diritti politici, sociali e civili dei lavoratori e soprattutto contro il militarismo e il colonianismo dei governi sia di Depretis che di Crispi. Ancora oggi la lotta alla guerra si fa con il grido di Costa alla Camera contro le spedizioni coloniali: “Non un uomo, non un soldo”.
Il partito che nasce nel 1892 a Genova è il primo partito con una struttura nazionale unitaria nel quale l’operaio di Torino e il bracciante di Caltanissetta sono uniti dagli stessi ideali. Il Psi si è battuto per la soluzione della questione meridionale allo scopo di unire economicamente e socialmente gli italiani del Nord e quelli del Sud. E per “fare gli italiani” si è impegnato per i diritti politici con le battaglie per il suffragio universale, per la libertà dei partiti e per la libertà di stampa; per i diritti sociali e cioè per la libertà di sciopero e di coalizione (sindacato), per la giusta mercede e per le norme di protezione sociale, in particolare a tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, fino allo Statuto dei diritti dei lavoratori; per i diritti civili e cioè per la scuola pubblica e laica aperta a tutti, una giustizia indipendente, codici rispettosi delle garanzie individuali; per la parità tra uomo e donna, per il diritto di voto alle donne, per il divorzio.
Nessun partito si è battuto come il Psi per la Repubblica e la democrazia , per la libertà, per l’uguaglianza di tutti i cittadini. Poi, e anche per colpa dei socialisti, è andata a finire come è andata a finire.
Adesso è ora che i socialisti si dedichino al risorgimento del socialismo.


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Il socialismo è tricolore
Alberto Benzoni - Libertà e diritti per tutti
AVANTI della Domenica - 13 marzo 2011


Il 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia, è anche l’anno in cui Garibaldi, appena qualche tempo dopo la conclusione dell’impresa dei Mille, riceve da Lincoln l’invito a partecipare con un ruolo di primo piano, alla lotta del Nord contro il Sud schiavista; offerta che sarà fortemente tentato di accettare.
Il 1870, che vedrà l’entrata dell’Italia a Roma, è anche l’anno in cui lo stesso Garibaldi combatterà, a fianco della nuova Francia repubblicana, una delle poche battaglie vittoriose contro l’invasore tedesco.
Non stiamo rinvangando le vecchie glorie dell’Eroe dei due mondi. Stiamo parlando, se permettete, di internazionalismo. E cioè dell’idea, semplice ma profonda, che la lotta dei democratici dell’Ottocento per l’indipendenza della propria patria abbracciava idealmente tutti i popoli del mondo; che, insomma, la fusione tra popolo, nazione e democrazia poteva realizzarsi e crescere in questo o quel Paese solo se si estendeva in prospettiva, a tutti gli altri. E che per questo obbiettivo occorresse lottare insieme. Ancora, nella “rozza”concezione di Garibaldi, il principio di inclusione valeva non solo per le nazioni, ma anche per le classi; quanto bastava per dare il suo nome, senza aver bisogno di leggere Marx, alla progettata internazionale socialista.
Un messaggio che vale anche per l’oggi. Non a caso, allora, i socialisti che si riuniscono a Roma, in piazza San Giovanni, dedicano una particolare riflessione al tema dell’immigrazione come vera e propria “cartina al tornasole”dello stato di salute della nostra democrazia. E lo fanno in netta contrapposizione con quanti pensano che i nostri diritti e il nostro benessere possano essere difesi solo chiudendoci al mondo esterno; considerando minaccioso e potenzialmente nemico chi aspira a venire da noi per esserne partecipe.
Per “partecipare” occorre vivere in un’ottica di cittadinanza, con i diritti e i doveri che ne derivano. Ma quest’ottica si costruisce se si ricostruisce una società e uno Stato: una società costruita su legami concreti di solidarietà; uno Stato garante della libertà di tutti e non sostegno dell’arbitrio di pochi.
E’ lo Stato che sognavano gli uomini del Risorgimento e di cui era simbolo insostituibile Roma capitale. Un centro che garantisse il superamento delle pulsioni localistiche; il punto di riferimento indispensabile per costruire uno Stato all’insegna della “libera Chiesa in libero Stato”. Anche qui, un obbiettivo da riconquistare…



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Il socialismo è tricolore
Roberto Biscardini - Barbarossa contro Garibaldi
AVANTI della Domenica - 13 marzo 2011


Se c’è una ragione in più perché gli italiani facciano proprio il tema dell’Unità d’Italia in occasione del 150° anniversario, è che questa ricorrenza cade in momento particolarmente “malato” della loro vita politica.
Un momento malato e delicato per la vita del paese. Consapevoli che, alla fine di un ciclo, la luce in fondo al tunnel si potrà vedere solo a condizione di riscoprire il senso dell’unità della nazione nella “volontà di vivere insieme”. La cosa non è facile, perché la classe politica ha perso nel corso degli ultimi venti anni punti di riferimento nazionali forti. A sinistra sopravvive dopo il 1992 una classe politica che non si è posta il problema di governare il cambiamento ma si è lasciata galleggiare nella transizione, e a destra sono cresciuti la Lega come forza antiunitaria, che non vuole le celebrazioni dell’Unità d’Italia perché non vuole l’Italia unita, e il berlusconismo come anomala concentrazione di potere nelle mani di un uomo solo, in un’Italia assuefatta alla corruzione, al declino morale, all’accettazione passiva dell’illegalità. Con quali risorse politiche e civili si può costruire una nuova fase di rinascita nazionale, per un paese normale? Questo è il problema dell’oggi. Nel 150° anniversario dell’Unità del paese, dobbiamo essere coscienti che, primo, solo dalla storia dell’Italia unita che si può ripartire per costruire un futuro migliore per tutti gli italiani, secondo, che un’Italia divisa sarebbe un’Italia più debole in Europa e nella competizione internazionale. Piaccia o non piaccia, l’eredità della storia che portò allo stato unitario e i valori fondanti del Risorgimento, indipendenza, libertà e laicità, sono i punti di forza ai quali gli italiani dovrebbero aggrapparsi per pensare di uscire dalle difficoltà con qualche possibilità di successo.
Se il centenario dell’unità cadde nel 1961 in un momento in cui nessuno dei partiti aveva interesse a distinguersi o a dichiararsi ‘non unitario’, oggi la presenza della Lega e il sostegno che Berlusconi le riconosce, pesano su queste celebrazioni come un macigno, ma proprio per questo conviene reagire prospettando un futuro come alternativa sia all’una che all’altro.
Dobbiamo farlo oggi con coraggio. E i socialisti possono dare il proprio contributo. Perché quella storia ha avuto buona parte della cultura socialista come protagonista.
Craxi lo capì per primo quando restituì all’autonomia socialista non solo il terreno della pratica parlamentare, ma anche quello storico e ideologico legato ai nostri valori nazionali. Craxi andando a ritroso nella storia, dando per scontato quanto ci appartenessero già i valori della Repubblica, della Resistenza e dell’antifascismo, (incarnati nelle figure di Nenni e Matteotti) ci obbligò a riscoprire il Risorgimento, dalle Cinque giornate di Milano a Garibaldi e all’Unità d’Italia. Rinverdì il Risorgimento nell’Italia repubblicana quando quei ricordi sembravano lontani e superati. Lo fece per diverse ragioni, per riproporre in un momento altrettanto difficile della vita italiana una prospettiva di speranza nazionale nella riscoperta dei valori di unità del paese, della lotta per l’indipendenza e della lotta per la giustizia sociale. Lo fece sapendo che i socialisti avevano le carte in regola per farlo, diversamente dal Pci, da tutta la sinistra comunista, e dalla DC. Il PCI, nonostante la svolta togliattiana, rimaneva un partito antinazionale. La parola patria e nazione non avevano a sinistra alcuna cittadinanza, e l’avevano poco anche per quei socialisti che erano ancora condizionati da antichi legami unitari a sinistra o dall’esperienza frontista del ’48. Né la DC poteva sentirsi legata al Risorgimento perché fondato sui valori della libertà e della cultura liberale, nei quali faceva fatica a riconoscersi.
Craxi e i socialisti potevano essere diversi, potevano riscoprirsi patrioti e Craxi sapendolo, ripropose nel dibattito politico italiano i valori risorgimentali della libertà e della Patria. Fece riscoprire al popolo socialista l’orgoglio della nazione e il socialismo tricolore. Ancorò il PSI di allora alla cultura del Risorgimento. Legò il PSI a due tradizionali radici risorgimentali: il senso dello Stato senza essere statalisti, la laicità senza essere anticlericali. L’esatto contrario di come si esprime oggi la politica italiana: statalisti senza senso dello stato, papisti più del papa, avendo perso il significato pratico e quotidiano della antica battaglia per uno Stato laico e indipendente.
Le incertezze sono tali, che viviamo in un’Italia in cui la fragilità si manifesta persino nelle contrapposizione delle date da celebrare.
Abbiamo festività nazionali che ricordano alcuni momenti importanti della storia italiana dopo il 1945, ma non ce n’é una anteriore a quella data. Strano Paese, al confronto con la Francia per esempio, che rinuncerebbe a tutto fuorché alla festa del 14 luglio.
E allora spieghiamo alla Lega che rivendicare la festa del 29 maggio come festa della Lombardia nel ricordo della sconfitta del Barbarossa nel 1176 in contrapposizione con la festa dell’Unità di Italia è un’emerita stupidaggine. Primo perché sul tavolo non c’è merce di scambio, secondo perché semmai il 29 maggio 1176, in quanto momento eroico della storia dei comuni, è parte della storia d’Italia piuttosto che di una solo regione.
Ma ritorniamo al punto. Nel filo rosso che unisce Risorgimento, Resistenza e Repubblica bisogna avere tre date storiche riconosciute e da celebrare. Il 25 aprile è chiaro. Il 2 giugno anche. Per il Risorgimento, per la festa dell’Unità d’Italia, la data non c’è ancora. Ma i riferimenti storici sono ed erano già chiari. La data da celebrare, al di là dell’eccezionalità di quest’anno non è il 17 marzo, data della nascita del Regno e dello Statuto, ma il 20 settembre, in ricordo appunto dell’Unità d’Italia, con Roma capitale e con la fine del potere temporale della Chiesa. Festa riconosciuta nel 1895 dal Parlamento italiano come Festa dell’Unità d’Italia, appunto, e poi cancellata da Mussolini per fare un favore al Papa e sostituita con l’11 febbraio in ricordo dei Patti Lateranensi. Ai fini della nostra identità nazionale e unitaria, anche le date contano.


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Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. Grazie per la cortese paziente attenzione



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