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ANGELICA, OH CARA
21.2.2011

INFO SOCIALISTA 21 febbraio 2011
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Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it - Quindicinale - Anno VIII
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o Un LIBRO per cominciare: "Mai sono stata tranquilla. La vita di Angelica Balabanoff" di Amedeo La Mattina, recensione di Pierluigi Battista

o I MONUMENTI IN ALTO ADIGE - SE LO STATO ABBANDONA IL RUOLO DI GARANTE -di Alessandro Pietracci

o CARO DURNWALDER, L'ITALIA MERITA RISPETTO - di Nicola Zoller

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Un LIBRO per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

- Autore: Amedeo La Mattina
- Titolo: "Mai sono stata tranquilla. La vita di Angelica Balabanoff, la donna che ruppe con Mussolini e Lenin"
- Einaud, 2011


L’eroina che sfidò le tirannie. Angelica Balabanoff ruppe con Mussolini e Lenin. Morì povera e sola.
- di Pierluigi Battista, Corriere della Sera, 9 febbraio 2011



Angelica Balabanoff morì sola, povera e abbandonata, ma è stata una protagonista, sconfitta, della grande stagione del socialismo libertario e antitotalitario. Il suo nome appare di sfuggita nei manuali della storia del movimento operaio. Ma la Balabanoff fu una donna energica e testarda, e seppe tener testa come nessun altro ai dioscuri delle due tragiche deviazioni autoritarie della storia socialista: Mussolini e Lenin. Spese tutta se stessa per un ideale di emancipazione sociale che non contrastasse con la difesa della libertà. Fu una grande donna di una sinistra allergica alle dittature, come Rosa Luxemburg. La solitudine che afflisse gli ultimi anni della sua vita è il simbolo di una sinistra messa ai margini, gettata nel dimenticatoio, cancellata. Per questo è più che benvenuto il libro di Amedeo La Mattina che porta il titolo Mai sono stata tranquilla. La vita di Angelica Balabanoff, la donna che ruppe con Mussolini e Lenin (Einaudi). È il racconto di una vita straordinaria, la narrazione, alimentata da una documentazione di prima mano, di una donna di indomito coraggio che recise con dolore i rapporti con la sua benestante famiglia russa (un fratello verrà seviziato e ucciso dai bolscevichi appena arrivati al potere). Che nei primi anni del Novecento vagò per le università e le biblioteche d’Europa per studiare i grandi classici del pensiero sociale, consacrarsi al socialismo, affrontare con spirito temerario e anticonformista le battaglie politiche e giornalistiche del movimento operaio. È un racconto di incontri, di relazioni burrascose. Un andirivieni dei personaggi che hanno popolato il quartier generale del movimento socialista mondiale. Tempestoso il rapporto della Balabanoff con un giovane dallo sguardo incendiario e dai modi grossolani e sbrigativi che si chiamava Benito Mussolini. Lei ne subì il fascino sensuale (per anni girò la diceria che lei fosse la vere madre di Edda). Lo aiutò maieuticamente a mettere ordine nel ribollire caotico delle sue letture, a temperare la frenesia disordinata di un carattere straordinariamente impulsivo. Fu lei a dare solidità alla direzione mussoliniana dell’ «Avanti!» . Fu lei a soffrire di più per la cocente delusione nata dal «tradimento» di Benito: una frattura personale insanabile, con lui che dall’interventismo passerà al fascismo, e lei fedele a un intransigente internazionalismo pacifista. La Balabanoff è stata una delle grandi donne della politica italiana della prima metà del Novecento. La Mattina insiste con grande sensibilità sulla rivalità con Margherita Sarfatti, che non fu solo gelosia e contesa per le attenzioni di Mussolini, ma scontro tra due modelli femminili, l’eleganza algida e leziosa della Sarfatti contro la mistica del sacrificio di ogni forma di femminilità incarnato dalla Balabanoff. Rivalità politica quella con Anna Kuliscioff, specchio del duro contrasto che nei primi anni del Novecento contrappose il socialismo massimalista e verboso di Mussolini al riformismo di Filippo Turati. Rivalità quasi antropologica con la Krupskaja, la moglie di Lenin, subalterna, e adorante nei confronti del marito-Capo di cui invece la Balabanoff intuì tempestivamente le caratteristiche del tiranno spietato e sanguinario, incapace di calcolare gli immensi costi umani di una rivoluzione guidata da un dottrinarismo gelido e disumano. La Balabanoff non diplomatizzò mai il dissenso con i «potenti» di turno. Esule dall’Italia fascista dell’ex amico, compagno (e amante?) Benito Mussolini, lei non esitò a rompere con il bolscevismo detestandone la fredda logica autoritaria, la repressione su scala di massa, l’onnipotenza della polizia politica. Ruppe anche con il fuoriuscitismo socialista riparato a Parigi, dove lei condusse una vita grama, ridotta alla fame, alla solitudine, alla malattia. Ruppe perché i socialisti si ostinavano a voler conservare un rapporto «unitario» con i comunisti e con quella parte del movimento operaio che considerava prioritario il rapporto di fedeltà con la «patria del proletariato» , con l’Unione Sovietica della Gpu, del Gulag, dello stalinismo come apocalittico compimento del progetto leninista di repressione totale. Per una socialista libertaria come lei, l’Urss non era una deviazione da un percorso comune, ma l’antitesi di tutto ciò che pensava e che l’aveva spinta ad aderire al socialismo umanitario, all’ideale di una società «giusta» . Con la peste nazista che stava contagiando l’Europa e con il comunismo stalinista fondato sulla deportazione e la cancellazione fisica di ogni voce dissidente, la Balabanoff venne presa da una disperazione assoluta. La disperazione di chi si sentiva inascoltato e che non doveva aspettare il ’ 39 e la rivelazione del patto nazi-sovietico siglato da Ribbentrop e Molotov per cogliere le affinità che i totalitarismi del Novecento stavano tragicamente maturando. Quando, con la rinascita della democrazia nell’Italia post-fascista, la Balabanoff tornò in Italia, la vecchia socialista che aveva rotto con Mussolini e con Lenin, non esitò a rompere con il partito che aveva accettato il patto unitario con i comunisti. Intravide nel socialismo democratico di Giuseppe Saragat una strada possibile per conciliare ideali socialisti e difesa a oltranza della libertà. Ma, seppure senza arrivare a una frattura personale definitiva con Saragat, non tardò a maturare un profondo disprezzo per il ceto politico dirigente del partito saragattiano, immerso nelle pratiche di sottogoverno, e troppo subalterno, a suo parere, alla deriva «clericale» nutrita dall’alleanza con la Democrazia cristiana. Veniva esibita come una laica madonna pellegrina, il simbolo di una continuità ideale con la stagione eroica del passato, ma quei dirigenti del Psdi non facevano che sopportare malamente quella «vecchia» mugugnante e recriminatoria che era la rappresentazione vivente del loro distacco dal socialismo di un tempo. La socialista libertaria e anti-autoritaria non trovava più ascolto. Dopo la sua morte nessuno ha voluto inserire la sua figura nel pantheon ideale di una lunga storia: troppo perdente, troppo rompiscatole, troppo sola. Il libro di La Mattina ne è un primo, doveroso risarcimento.

PIERLUIGI BATTISTA


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I MONUMENTI IN ALTO ADIGE - SE LO STATO ABBANDONA IL RUOLO DI GARANTE

- giornale TRENTINO, domenica 20 febbraio 2011

Lasciata a se stessa - e cioè alle decisioni dei diretti interessati, in Alto Adige - la quèrelle dei monumenti e delle statue avrebbe, molto probabilmente, trovato una soluzione dignitosa e complessivamente soddisfacente. Che so, il Monumento alla vittoria “storicizzato”con qualche aggiunta esplicativa, il Duce a cavallo in qualche dignitoso ripostiglio e l’Alpino ( che, vivaddio, c’era prima del fascismo ed è rimasto anche dopo) al suo posto a Brunico. Così come si sta risolvendo, in base al più elementare buonsenso, quella dei toponimi di baite, sorgenti, sentieri e cosi’ via: indicazioni che non erano “simboli nazionali”ma semplice ausilio per gli amanti della montagna; e che dovevano, quindi, essere scelti, di comune accordo, tra Cai e Alpenverein.
Ma ecco irrompere sulla scena il disastroso duo Bondi-Berlusconi. Il primo, si dice, delicato intellettuale, ma anche forbito cortigiano; e, in questa duplice veste, talmente turbato dagli “attacchi volgari” delle opposizioni,dall’essere disposto a fare qualsiasi cosa pur di sottrarvisi. Il secondo che ha per la storia, i suoi drammi, le sue ferite, la sua complessità, una totale insensibilità; o, più esattamente, la sensibilità manifestata dalla presentatrice di un programma d’intrattenimento domenicale.
In questo caso il mancato rispetto per la storia si traduce automaticamente in abbandono dello Stato, nella sua essenza più profonda di garante supremo delle regole e della convivenza civile.
Perché è accaduto semplicemente questo:”ho bisogno dei tuoi due voti per salvare il mio governo e allora ti cedo la tua parte del parco dello Stelvio” ( rinunciando al mio ruolo di difesa dell’ambiente). E, ancora, scivolando molto più giù per la china:”Non avrei bisogno dei voti dei due deputati della SVP per salvarmi; però non si sa mai!. Perciò Berlusconi mi autorizza a dirti che, in cambio dei tuoi voti, potrai disporre come vuoi dei monumenti di passati regimi” (rinunciando così al ruolo di indispensabile mediatore che spetta al governo centrale nel rapporto tra tedeschi e italiani d’Alto Adige).
Una promessa incauta. Ma, ciò che purtroppo più conta, devastante. Incauta, certamente: i dirigenti della SVP stanno incassando la cambiale dello Stelvio, con tutto ciò che ne deriva. Ma, francamente, non li vedo nella veste di demolitori di monumenti; magari nottetempo e assistiti dagli Schuetzen. Devastante, probabilmente: nei rapporti politici tra i diversi gruppi etnici; ma soprattutto nella “coscienza di sé”della comunità italiana dell’Alto Adige.
La SVP non ha problemi. O meglio ne ha uno; che è sostanzialmente sempre quello. Si tratta di conciliare il progressivo “raschiamento del fondo del barile”del sistema di autonomia speciale, con tutti i possibili vantaggi che ne derivano, con il mantenimento di una posizione vertenziale nei confronti di Roma. In questo senso, la ricorrenza del 17 marzo è stata, per Luis Durnwalder, una occasione preziosa e difficilmente ripetibile. Perché gli è servita per puntualizzare ( magari con un eccesso inutile di sgradevolezza, cosa questa soprattutto per un politico accorto, capace e misurato come lui) la linea argomentativa di sempre: “ci avete proposto, con l’autonomia, un patto. L’abbiamo accettato. E intendiamo rispettarlo. Però non dimentichiamo mai e vi ricordiamo sempre che si tratta di una azione riparatoria e compensativa della nostra annessione del 1918 e dei torti subiti nel ventennio fascista. Ragioni per le quali ci consideriamo sempre e comunque parte separata dall’Italia e parte lesa.”
I problemi, e di tipo esistenziale, nascono invece per la comunità italiana. Questa doveva e deve giocare le sue carte nella cornice altoatesina. Ma poteva e può farlo, con qualche speranza di successo, a condizione che cessi la situazione di separatezza che poi si è tradotta in una progressiva e generale marginalizzazione della componente italiana con inevitabili riflessi anche in Trentino.
E che rimanga la garanzia della “protezione di ultima istanza”da parte del governo centrale.
Allo stato, la prima ipotesi non si è ancora realizzata. Mentre oggi sembra venir meno la seconda.
A questo punto si aprono davanti a noi gli scenari più diversi. Soprattutto per la nostra comunità tentata dal rifiuto ostile e dalla subalternità, magari inconsapevole. Non spetta a me fare previsioni mi spetta invece auspicare che il buon senso e lo spirito costruttivo prevalgano.
Chiudiamo, allora, con Berlusconi. E con il modo inverecondo con cui il suo governo sta pasticciando la questione dell’anniversario dei 150 anni dell’unità d’Italia, così come aveva fatto con quella dei monumenti.
Questo disprezzo per il passato ( che di questo si tratta) si traduce in modo automatico nell’indifferenza per l’avvenire. Quello, s’intende, che non coincide con il proprio esclusivo interesse e con il proprio futuro immediato.
E’, se vogliamo, la mentalità di Luigi XV che, magari dopo l’incontro con l’ennesima giovane cortigiana nella sua residenza ( questa però lontana da occhi indiscreti) vicina a Versailles, diceva “dopo di me, il diluvio”. Diluvio, naturalmente per gli altri; mentre per lui, allora ( ma anche adesso) il sesso e il potere.


ALESSANDRO PIETRACCI, segretario provinciale PSI del Trentino

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CARO DURNWALDER, L'ITALIA MERITA RISPETTO

- giornale TRENTINO, sabato 19 febbraio 2011

In tanti – ieri è stato il caso dell’ANPI – cerchiamo di rispondere usando termini miti – fuori da polemiche nazionaliste – alle recenti dichiarazioni del presidente della Provincia di Bolzano. L’abbiamo fatto anche noi socialisti con una conferenza stampa regionale tenutasi a Bolzano con questa aspirazione: “Alto Adige e Italia: unire, non dividere”.

E con queste concise considerazioni provo a esprimere il nostro punto di vista. Di fronte alle parole usate dal presidente Durnwalder per rifiutare l’invito di partecipazione al ricordo del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, credo che molti della nostra Regione si possano ritrovare nelle parole di Walter Kasslatter – presidente dell’Unione Ladini della Val Gardena - che si chiede: “Cos’è questo continuo desiderio di creare scontro?”.

Ci ritroviamo particolarmente vicini alle perplessità e ai sentimenti dell’esponente ladino noi socialisti che per tutto il XX secolo abbiamo provato seriamente a condividere i problemi dei sudtirolesi. Lo testimoniava appena dopo la fine della prima guerra mondiale l’on. Karl Tinz che dava atto all’indomito parlamentare socialista Giacomo Matteotti di difendere in Parlamento “con competenza e fedeltà ai suoi ideali, i diritti delle minoranze allogene” tanto che i sudtirolesi gli dovranno per sempre “speciale riconoscenza”. Successivamente lo ha dimostrato con efficacia l’azione dei governi di centro-sinistra che a cavallo degli anni 1960-70 hanno favorito la rinascita dell’Autonomia delle due Provincie autonome di Bolzano e Trento, grazie anche agli interventi parlamentari del deputato socialista Renato Ballardini. E’ a seguito di questa fase che l’ Alto Adige/Sudtirolo diventa sempre più una delle zone più floride dell’arco alpino e un punto di riferimento a livello europeo per la promozione dei diritti delle minoranze. Sul piano finanziario poi non ci sono confronti con la vicina Austria, richiamata da Durnwalder con “rimpianto”. La deputata austriaca Ulrike Lunacek ha recentemente affermato: “Finanziariamente l’Alto Adige sta meglio di qualsiasi altro Land austriaco. Se confronto l’Alto Adige con il Tirolo austriaco, il primo ha un terzo di popolazione in meno, ma un bilancio doppio rispetto al secondo”.
Dopo le tragedie del Novecento, l’Italia democratica ha saputo riscattarsi: per questo merita il rispetto di tutti i cittadini che abitano questa regione.


NICOLA ZOLLER– segretario regionale PSI


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