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INFO SOCIALISTA 16 gennaio 2011 a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592 Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it - Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it - Quindicinale - Anno VIII o Per i 90 anni della SOSAT Sezione Operaia Società Alpinisti Tridentini 8 gennaio 2011 La SOSAT delle origini operaiste e la montagna come conquista sociale - di Elio Fox Dico subito che il fatto che il presidente Luciano Ferrari ed il direttivo della SOSAT mi abbiano chiamato a ricordare il traguardo dei 90 anni della sezione, mi onora altamente perché rappresenta una continuità, nei decennali ed anche con qualche quinquennale, iniziata nel 1970. Sono quindi passati quarant’anni dalla «prima volta», e per molte volte ho raccontato la storia di questa sezione. La storia non cambia, è stata anche scritta, e raccontarla per l’ennesima volta non serve, se non per alcuni spunti a suffragio di ciò che vi racconterò. Allora cercherò di rappresentarvi quella che è stata l’anima della SOSAT, da quale contesto sociale è uscita e con quale spirito culturale ha attuato il suo concetto di montagna. E buona parte del mio intervento ruoterà attorno alla figura di Nino Peterlongo, il fondatore perché, se siamo qui, è soprattutto grazie a lui. Vado per flash. La nostra associazione si chiama: Sezione Operaia della SAT. Mi piace citarlo per esteso questo nome, con quel bellissimo aggettivo, operaia, perché talvolta si è tentati di minimizzare l’importanza storica di quella seconda parola, non a caso voluta dai fondatori della sezione, per far capire fin da subito entro quali argini scorreva il loro ideale. Il riferimento va in particolare a Nino Peterlongo e ad Emilio Parolari, ma anche ad Ettore Germani, a Natale Merz, a Francesco Pasini, a Giovanni Zanolli e ad Aldo Zomer che formarono il primo direttivo: tutti laici, tutti socialisti battistiani e quindi vicini alla classe operaia, come si chiamava un tempo la categoria dei lavoratori. Non vorrei essere frainteso. Non sto cercando di collocare la SOSAT all’interno di un partito: cerco di illustrare il quadro situazionale del 1921, quando il confronto politico, l’informazione, l’associazionismo e la cultura, si svolgevano all’interno di tre aree fieramente contrapposte, quella cattolica, quella socialista e quella liberale, spesso queste ultime due affiancate in alleanze temporanee contro la prima. Ma io ho parlato di «Socialisti battistiani» e l’aggettivazione non è casuale. È bene infatti ricordare che la lotta di Cesare Battisti per elevare il ruolo della classe operaia trentina, cioè della parte allora più negletta della società, che comprendeva anche piccoli artigiani, bottegai e il basso ceto impiegatizio, non è stata solo politica. Anzi, la politica in un certo senso veniva dopo. Battisti aveva capito che la classe operaia avrebbe potuto aspirare al paradiso solo attraverso una maturazione morale, sociale e culturale. Chi ha memoria storica, certo ricorda il bellissimo periodico «Vita trentina» - nulla ovviamente a che vedere con il settimanale diocesano attuale - che Battisti pubblicò fra il 1903 ed il 1911 come allegato al suo quotidiano «Il popolo»: un periodico di cultura, arte e letteratura popolare. Niente politica. Battisti, inoltre, scrisse numerose guide e fra queste mi piace in particolare ricordarne una, la «Guida di Mezolombardo e dintorni». Sottotitolo: «Da Mezolombardo a Campiglio, Peio, Rabbi, Mendola, con il Gruppo di Brenta». Siamo nel 1905 ed è probabilmente la prima guida del Gruppo di Brenta a diffusione vastamente popolare, pur fatta di pochissime pagine, ma che indica stazioni di partenza e sentieri, tempi di percorrimento, difficoltà per arrivare ai rifugi o per andare da un rifugio all’altro. Elenca tutti i rifugi allora in attività e le principali salite sulle cime del gruppo. In questo modo Battisti ha cercato di avvicinare il Trentino ai trentini. Ecco che allora ci può capire meglio come, quell’aggettivo sia stato messo lì non per chiudere - lo ripeto - la neonata sezione entro i confini di una scelta politica, ma perché non si dimenticasse il legame che Peterlongo e Parolari avevano avuto con l’opera culturale di Cesare Battisti, come geografo, come naturalista, come ambientalista e come escursionista. È poi c’era anche l’amicizia vera con il figlio di Cesare Battisti, Gigino. Una parola peraltro, operaia, che fece paura al fascismo ed impose di toglierla dal nome del Coro quando nel 1938 si esibì a Roma, a Villa Madama, in occasione dell’incontro Mussolini-Hitler. Ma nel Trentino, fino al 1945, c’e stato un solo Coro e si è sempre chiamato Coro della SOSAT. Adesso, per chiarire meglio il senso di questa prima parte del mio intervento, alla luce anche dell’intervista di ieri del presidente sulla stampa locale, devo dire che siamo tutti daccordo che la classe operaia non esiste più, però la descrizione di quei tempi, di quelle speranze e di quelle attese, ci fa meglio comprendere - questa almeno è la mia convinzione - da dove è iniziato il viaggio di un lungo cammino verso una presa di coscienza sempre più marcata dei diritti e dei doveri dei lavortori che, nel suo ambito e con la sua opera, anche la SOSAT ha contribuito a creare. È necessario ricordare come il momento della nascita di questa nostra Sezione, non possa prescindere dal quadro storico del nuovo assetto istituzionale giunto a Trento dopo la cosiddetta Grande Guerra, con l’arrivo dell’Italia e molte speranze - non solo degli irredentisti - che la nuova Patria seppe stimolare (ma poi in buona parte anche deludere). Il nuovo vento che spirava dall’Italia verso il Trentino, spinse Nino Peterlongo a guardare oltre l’orto di casa, per dar vita ad un primo nucleo di operai organizzati da avvicinare alla montagna nello spirito della conoscenza e della coscienza. Nel 1919 Peterlongo pensò di aver trovato una soluzione. In una intervista che ho pubblicato sul «Sosatino» del 50°, «Cinquant’anni di fedeltà alla montagna», mi raccontò di un incontro, ai Laghi di Lamar, con degli escursionisti non trentini che appartenevano all’Unione Operaia Escursionisti italiani. Nino, che mirava a raccogliere i lavoratori attorno ad un ideale, fu attratto da questa forma di sodalizio e pensò che si potesse fare anche qui da noi. Per farla breve, crearono una sezione dell’Unione anche a Trento. Una cosa però erano quelle gite che i trentini anche adesso chiamano: nar a far na zacada, altra cosa erano, per Nino Peterlongo, le gite con motivazioni culturali. Non solo guardare, ma osservare e comprendere. In montagna, le rocce, gli alberi, l’erba, i fiori, gli animali parlano, ci parlano e sta a noi capirli. E il primo atto della comprensione è il rispetto della natura. Torno alla nostra sezione. Mi piace chiamarla, «nostra», perché tutti i sosatini presenti, ed anche quelli non presenti per difficoltà, ed anche quelli che ci hanno preceduto, hanno sempre considerato questa Sezione non una società alla quale ti iscrivi, paghi la tessera e vai in gita, ma qualcosa di molto più personale ed intimo. I sosatini hanno sempre vissuto la SOSAT come una specie di protesi estensiva della famiglia. Qui sono entrati i padri, i figli e i nipoti che, generazione dopo generazione, hanno portato sangue e idee nuove al sodalizio. Proprio ieri, 7 gennaio 2011, questa «nostra» sezione ha compiuto i 90 anni di attività. Naturalmente i compleanni ci sono tutti gli anni, ma la cifra di novanta, anche per una associazione, è un bel traguardo. «Na bèla età» si diceva una volta, soprattutto riferendosi alle persone. A proposito de «Na bèla età» permettetemi una divagazione, di quando ero giovane e ve la racconto, perché implica il padre di un sosatino di rango, anche se io allora probabilmente non sapevo neppure cos’era la SOSAT. Frequentavo i sindacati ed il Partito socialista e in questo ambiente ho avuto la ventura di incontrare e conoscere due figure straordinarie della vita politica e sociale della nostra città: l’on. Lionello Groff e il sindacalista Antonio Detassis. Antonio Detassis, come tutti certamente saprete, era il papà del nostro grande socio anche lui scomparso in veneranda età, Bruno e quindi il nonno di Claudio. L’onorevole Groff e Antonio Detassis erano entrambi del 1880, io del 1929, quindi cinquant’anni dividevano i nostri genetliaci e ciononostante eravamo amici, veri amici. Ho sempre avuto la tendenza ad accompagnarmi con persone più grandi di me, perché, come usavano dire i trentini: se gà sempre qualcòss da ’mparar dai pù vèci. E ai vecchi lasciate almeno l’illusione che sia vero. Ebbene, nel 1955 Tòni Detassis compiva i 75 anni ed era ancora in attività al sindacato, come volontario. Per farla breve, ci siamo dati appuntamento, con alcuni altri compagni, presso quello che allora era il celebre «Bar dei Cavai» all’imbocco di Via S. Martino, a bere un bicchiere alla staffa per il suo compleanno. Offriva sempre lui, perché noi no gavéven en sòldo da far cantar ’n òrbo. Alzai il bicchiere e dissi: «Tòni, ala to bèla età». E Tòni rispose (chiedo scusa alle signore): «No stà dir su monade, la tua a 26 ani l’ei bèla, no la mia a 75». Torno in rotta, perché «la bèla età» che qui stiamo celebrando, è invece una cosa molto seria, che merita delle riflessioni. La SOSAT ha il merito di aver inventato l’alpinismo sociale. Non è solo una bella espressione. L’alpinismo sociale è quello che mette a disposizione del più vasto numero possibile di persone, i mezzi per andare in montagna, quote minime di partecipazione, alloggiamenti in montagna economici, ma confortevoli, il pasto nei rifugi a prezzi convenzionati ed una o più persone, preparate, che ti guidano ed alle quali far riferimento. In questo concetto è lo spartiacque che, dopo poco più di un anno, portò Nino Peterlongo a riprendere i contatti con la SAT: e se siamo qui oggi è perché tutti sapete come è andata a finire. Questi 90 anni trascorsi dal giorno della fondazione, non sono solo un lungo lasso di tempo che se n’è andato, ma rappresentano un lungo ciclo durante il quale è stata costruita la storia dell’alpinismo popolare e sociale in Italia. Con una frase fatta, si diceva che la SOSAT aveva fatto crollare il tabù della montagna per i siori; La SOSAT, infatti, è stata prima di tutto una guida, è stata prima di tutto una scuola, quella scuola che ha consentito alla gente un approccio consapevole alla montagna, la montagna vista con umiltà ed umanità, quindi non terra di conquista, ma terreno di conoscenza, con l’obiettivo di conoscere e far conoscere l’ambiente. Dentro alla SOSAT si sono nel tempo aperte delle nicchie operative di straordinario interesse. C’è chi organizza la cultura, chi le gite e le escursioni, chi le spedizioni vere e proprie, il gruppo giovani e via elencando. E soprattutto il Coro della SOSAT, ma non parlerò io dei suoi 85 anni, perché c’è qui il suo presidente, Andrea Zanotti che dopo interverrà. In questi novant’anni quattro o cinque generazioni si sono incrociate, passandosi il testimone con queste motivazioni ben salde nella testa e nella memoria. Questa è la SOSAT di ieri, di oggi e sarà anche quella di domani, perché le montagne ci saranno sempre e perché la gente in montagna ci andrà sempre. *** Nell’avviarmi a concludere, parlerò ancora di Nino Peterlongo, il papà della SOSAT, della sua dignità, del suo coraggio e della sua coerenza, che mi pare in Italia oggi non abbondi. Ma prima un ricordo personale. Nino Peterlongo era come un incantatore di serpenti, quando parlava, un affabulatore coinvolgente. Ve lo dico per esperienza diretta, perché nel secondo dopoguerra, ovviamente, ho partecipato anch’io ad alcune escursioni guidate da Nino ed alla sera, veramente attorno al fuoco, dilettava i soci che lo avevano seguito, con racconti o la recita a memoria di poesie, in particolare di Giovanni Prati o di Carducci. Torno a Nino, alla sua dignità ed al suo coraggio. Quando nel 1930 il governo fascista costrinse tutte le associazioni ad iscriversi all’Opera nazionale Dopolavoro, lui disse di no. Alla lettera del 17 ottobre 1931 con la quale il presidente della SAT, Giovanni Calderari, poneva l’ultrimatum per la consegna della sede ai fascisti, Nino Peterlongo non rispose, ma mandò una lettera ai sosatini dove dice: Debbo lasciare la presidenza della SOSAT e abbandonare quindi quel posto dove la vostra fiducia mi aveva voluto continuamente ben dalla fondazione del nostro sodalizio. Ho la ferma coscienza di non esser mai venuto meno ai compiti che mi avete affidato e di aver perseguito con fervore gli ideali sportivi e nazionali ai quali la nostra associazione voleva fosse dedicata la sua attività. Aggiunge che sente la vicinanza dei soci e ciò attutisce il suo dolore. Infatti, immediatamente si dimette anche il Consiglio direttivo con numerosi soci. Quando il commissario straordinario, il fascista Antonio Falzolgher, prende ufficialmente possesso della SOSAT lo stesso 17 ottobre, la SOSAT è un guscio vuoto. A leggere oggi ciò che Nino Peterlongo scrisse nel 1921 come messaggio ai soci, depurato della retorica in uso all’epoca, mette i brividi. L’incipit: Operaio trentino, tu sai che cosa sono le Alpi per te? Esse sono la scuola della tua educazione. Sulle Alpi tu cominci a conoscere il tuo paese e ne impari la costituzione, ne acquisti i primi barlumi della storia. Tu sulle Alpi impari a capire cosa sia la bellezza, poiché lassù conosci la madre di tutte le più alte bellezze, la natura. Un breve passaggio ancora Nasce una nuova vita e nella tua anima che si illumina, impari ad essere uomo di carattere, perché dovrai essere leale e generoso coi tuoi compagni. Cosa c’è di vecchio e di superato in queste parole? Nulla. Contengono tutta l’intramontabile filosofia della SOSAT, la sua cultura, la sua anima. Certo, non siamo più nel 21, o nel 45 o nel 70. La società è cambiata, le esigenze sono diverse, gli stimoli anche. Anche la situazione economica è diversa e c’è più benessere, ad onta della crisi economica in atto. Oggi la gente lavora sette/otto ore al giorno per cinque giorni la settimana. Per andare in montagna basta la macchina, le strade ti portano in alta quota e ci sono le funivie. In questo nuovo mondo e nuovo modo di vivere, vien da chiedersi: ma a cosa seerve la SOSAT? Ecco: il miracolo della SOSAT è quello di esserci ancora. Proprio in un periodo di evidente decadimento di molti valori, deve tornare di attualità il messaggio di Nino Peterlongo: la montagna vissuta con amore; la difesa di ciò che resta del nostro ambiente; è ancora molto bello, ma è un calamita per la speculazione. Silvio Detassis quarant’anni fa scrisse: Vi sono, specie in montagna, nel mutare continuo della natura, punti panoramici di particiolare bellezza e richiamo. In tale angolo di visuale dovrebbero essere soppressi tutti gli inopportuni segni della presenza umana. Si vedono spesso delle costruzioni murarie (e in molti casi costuzioni prive di ogni amonizzazione con l’ambiente), elettrodotti, pali telefonici, cartelloni reclamistici ecc. che deturpano e rendono privo della particolare attrattiva, se non lo annullano, un punto panoramico. È una autentica lezione sosatina. È un programma ed un impegno, che discende da quello di Peterlongo del 1921: Coraggio, dunque! - dice al socio - Tu devi aver fiducia in te stesso, abbi fiducia, perché in ogni cuore umano c’è il germe del bene: occorre solo ridestarlo e rinnovarlo. E con questo auspicio, del quale sono certo che tutti abbiate percepito l’attualità e la modernità, vi saluto e vi ringrazio per la cortese attenzione. E lunga vita alla SOSAT. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. Grazie per la cortese paziente attenzione torna in alto |