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Socialisti per l'Anno Nuovo
30.12.2010

INFO SOCIALISTA 30 dicembre 2010
a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592

Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it
Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it
Quindicinale - Anno VII
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o Un LIBRO per cominciare: "SPERANZE" di Paolo ROSSI ("Affrontiamo l'anno nuovo accontentandoci di speranze ragionevoli" a cura di Nicola Zoller)

o SOCIALISTI, LA NOSTRA PRESENZA ORA HA UN SENSO - di ALESSANDRO PIETRACCI
o TRENTINO, IL RIFORMISMO TRA I DUE BLOCCHI - di UGO RICCADONNA

o CIME SEMI-TEMPESTOSE Michael Moore e il Regime Cubano -di PIERLUIGI BATTISTA


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Un LIBRO per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

- Autore: Paolo ROSSI
- Titolo: "SPERANZE"
- il Mulino ed.,Bologna




Per l'Anno nuovo, Vi proporrei questa nota che è stata ospitata nel numero pubblicato nel novembre 2010 dalla rivista del Museo Storico del Trentino "ARCHIVIO TRENTINO" -n.1/2010, dedicata al libro di Paolo ROSSI,"Speranze", il Mulino ed.

AFFRONTIAMO L’ANNO NUOVO ACCONTENTANDOCI DI SPERANZE RAGIONEVOLI
- di Nicola Zoller

Affrontare l’anno nuovo con una domanda di antica e moderna drammaticità: come preservarci dalla disperazione? E trovare una risposta accettabile. Sarà possibile?
Proverei a farlo commentando una recente analisi politico-scientifica edita da “il Mulino”: dobbiamo accontentarci – secondo l’antico magistero di Francesco Bacone - di speranze “ragionevoli”, un termine quest’ultimo che intende essere sinonimo di “non garantite”. La via per rintracciarle parte dal buon uso di quella “saggezza politica che diffida per principio e prevede sempre il peggio nelle cose umane”. Ma questo – aggiunge il prof. Paolo Rossi, storico della scienza e autore della sapida e concisa ricerca intitolata “Speranze” (Bologna, il Mulino ed.) – non vuol dire abbandonarsi alla disperazione.
Con piglio caustico l’autore rilegge per noi le profezie fasulle di chi prevedeva “il tramonto della nostra civiltà”, di chi sragionava attorno ad un “Medioevo prossimo venturo” per poi rituffarsi solo qualche anno dopo in un “Rinascimento prossimo venturo”, e giunge poi a ricordare il famoso “Rapporto” commissionato nel 1972 dal Club di Roma al blasonato Mit (Massachusetts Institute of Technology) il quale “informava lo sprovveduto e fiducioso lettore che saremmo rimasti senza petrolio nel 1992, senza mercurio e argento nel 1985, senza stagno nel 1987, senza zinco nel 1990, senza metano nel 1994, senza alluminio nel 2003. Nel 1993 eravamo già rimasti senza rame e senza piombo e da un bel pezzo avevamo finito oro e mercurio”!
Fare i pessimisti dà l’aria di essere più importanti, appare cosa più nobile e profonda. Così Max Weber poteva parlare di “una gelida, oscura e rigida notte polare” che attendeva l’umanità, mentre Nietzsche poteva bollare come patetica farsa qualsiasi segno di progresso. Di seguito Paolo Rossi affonda il coltello su una classe scientifica contemporanea che “con totale assenza di scrupoli, sembra molto più attenta a mantenere in piedi una fonte di finanziamento” piuttosto che a verificare “se il metodo di indagine sia corretto”: è così perché l’allarmismo e la predicazione di una imminente Apocalisse “pagano” di più e rendono popolari. Vediamo un esempio: forti cambiamenti climatici si susseguono sulla terra da alcuni milioni di anni; venendo ad epoche molto vicine si può ricordare che la Groenlandia solo agli inizi dell’anno 1.000 d.c. – fuori da qualsiasi invasivo intervento umano - era appunto Green Land, una terra verde poi ricopritasi di ghiaccio. Ecco perché quando si parla di “riscaldamento globale” non si può dar per certo che l’attività umana sia una delle più importanti cause del mutamento di clima. Se il contributo dell’uomo all’aumento della temperatura è probabile, “è invece difficile quantificarlo” e renderlo decisivo. E allora dobbiamo chiederci: esiste un qualche tipo di rapporto tra i finanziamenti alla ricerca e le tesi estreme sostenute?
Tiriamo innanzi e torniamo al punto delle “speranze ragionevoli cioè non garantite”. L’autore con l’ausilio del magistero di Norberto Bobbio rammenta a noi tutti che la storia è un intreccio di bene e di male: “ non sarebbe ora di rinunciare alle grida di speranza o di disperazione dei profeti?” Di dire “no” ai profeti, a quei figuri dallo sguardo onnisciente che infestano le nostre vite con previsioni di mali estremi o di paradisi in terra?
E’ vero, dobbiamo anche guardarci dai profeti di “smisurate speranze”, da chi – affascinato dalle rivoluzioni pensa la Storia come un progressivo passaggio “dal regno della necessità al regno della libertà”, attraversando anche l’inferno - calpestando cioè dignità e tolleranza umane, considerate “debolezze borghesi”- pur di raggiungere l’agognato paradiso, che si svelerà poi un gulag senza fine (ma anche nella produzione letteraria sovente si spiega che “bisognerà essere terribilmente feroci per affermare il primato della dolcezza”!).
Come dobbiamo guardarci da ogni regime che abbia la pretesa totalitaria di “possedere la logica profonda della storia”. La convinzione di possedere “tutte le risposte è davvero mortalmente pericolosa perché non lascia alcuno spazio al futuro, rende immobile la vita intellettuale, cancella tutte le nuove domande, trasforma ogni divergenza in una colpa e ogni disaccordo in un pericolo da eliminare. Si può invece credere che le domande siano altrettanto importanti delle risposte, che la varietà delle opinioni appartenga al mondo della fisiologia e non a quello della patologia e che la molteplicità delle opinioni sia di conseguenza un bene da difendere e non un male da estirpare”. Chi vuole estirpare la “varietà delle opinioni” facendosi forte – come i nazisti – del motto “Gott mit uns” (già della casa reale di Prussia), si attribuisce una Missione di Salvezza propria di superuomini blasfemi.
E invece gli uomini, tutti gli uomini, sono esseri limitati. Non c’è mai stato – neanche prima del “peccato originale” della tradizione giudaico-cristiana – un uomo puro e innocente. Eravamo dei bestioni “tutto stupore e ferocia”, il diavolo – avrebbe detto Darwin – “sotto forma di babbuino è nostro nonno”. Non si spiega altrimenti come anche ai giorni nostri una incredibile quantità di persone di animo civile e gentile, catapultate all’interno di una guerra – quando non rischiano né castigo né biasimo - si trasformino in belve assassine.
Che fare? Dovremmo affidarci al magistero di Ludwik Fleck, secondo cui “la civiltà alla quale apparteniamo non è né un’unità indifferenziata né una totalità omogenea. In essa si sono svolte e si svolgono alienazioni e lotte per la libertà, cedimenti morali e combattimenti per la verità, conformismi e ribellioni, gesti inconsulti e pacate discussioni, mistificazioni e analisi lucide. In essa hanno trovato posto sia il colonialismo sia il relativismo culturale, sia il razzismo e i pogrom e la Shoa sia l’affermazione dell’equivalenza delle culture e del relativismo culturale. Dentro le società che l’Occidente ha costruito sono nati gli ideali della tolleranza e della limitazione alla violenza, si è anche affacciata – forse per la prima volta nella storia del mondo – l’idea che era necessario abbandonare l’opinione che i diversi da noi fossero semplicemente barbari, che era addirittura possibile (come fece Montesquieu nel 1721) tentare di guardarsi dal di fuori, far finta di essere persiani in visita a Parigi, che era addirittura possibile (come molti pensarono degli indigeni americani o dei cinesi) che gli altri potessero essere migliori di noi”. Insomma il cammino della storia “non segue una inflessibile legge causale” come avverte Robert Musil ne “L’uomo senza qualità” ma “somiglia piuttosto a quello di una nuvola, a quello di chi va bighellonando per le strade, e qui è sviato da un’ombra, là da un gruppo di persone o dallo spettacolo di una piazza barocca, e infine giunge in un luogo che non conosceva e dove non desiderava andare”. Dunque, come spiega Eugenio Montale nei suoi versi “La storia… detesta il poco a poco, non precede né recede, si sposta di binario e la sua direzione non è nell’orario”.
E’ l’improbabile che governa la nostra vita, ci spiega ora Nassim N. Taleb, docente di Scienze dell’incertezza alla University of Massachussetts che, nel suo illuminante libro “Il cigno nero” (2007) domanda: “Perché ci ostiniamo a pianificare il futuro in base alla nostra conoscenza quando le nostre vite vengono sempre modificate dall’ignoto?”. L’aveva già spiegato il premio Nobel Herbert Simon con la sua “teoria delle decisioni in condizioni di incertezza: la ragione umana non è uno strumento per prevedere e creare un potente modello generale che consideri tutte le varianti; piuttosto è uno strumento per esplorare pezzi del mondo o singoli problemi. Poniamo dunque un freno – come consiglia Karl Popper – alle facili illusioni o alle speranze eccessive.
Allora ripetiamo: che fare? Torniamo alla riflessioni di Fleck: nell’intreccio di bene e di male nel quale ci è concesso di vivere, non possiamo che oscillare tra la speranza e il timore e possiamo, per quanto concerne il futuro, solo avanzare ipotesi di breve periodo, con la consapevolezza che anch’esse sono abbastanza incerte.
E torniamo a Francesco Bacone, ad accontentarci di quelle speranze “ragionevoli in quanto non garantite” che “devono preservarci dalla disperazione”. Paolo Rossi ne elenca alcune. Parlando dell’Italia ricorda che all’inizio del 1900 morivano nel primo anno di vita 168 bambini ogni mille; nel 2000 si passa a 4,3 ogni 1.000 ! Dando uno sguardo sul mondo, con l’aiuto di Anthony Giddens, rileva che fra gli anni Settanta e il 2005 il numero di Stati democratici è triplicato; e il simbolo di tale esperienza è quello di un’antenna parabolica per la Tv satellitare: il desiderio di essere informati sembra configurarsi come una forza irresistibile.
Come per la democrazia, così per la pace: il termine “scoppiare” si può applicare non solo alla guerra, ma anche alla pace. Ci sono infatti dei “miracoli”, come la pace raggiunta in Irlanda del Nord. Ma anche qui la rinuncia alle illusioni è un punto decisivo, sul quale Umberto Eco ha scritto cose importanti: “se ci si rende conto che la pace è una difficile e ardua conquista e non qualcosa di raggiungibile coltivando buoni sentimenti, rimane una sola possibilità, quella di “lavorare per una pace a macchia di leopardo, creando ogni volta che si può situazioni pacifiche nella immensa periferia delle Paleoguerre che si susseguiranno ancora l’una dopo l’altra”. E Paolo Rossi continua suggerendo la necessità di smettere di sperare che miracolosamente cessino gli effetti di ciò che il cristianesimo ha chiamato peccato originale, Kant “il legno storto dell’umanità”, Freud pulsioni aggressive e distruttive, Edward O. Wilson aggressività animale. Bisogna imparare a diffidare di buonismo e perdonismo, a prendere le distanze dalle imperversanti forme di primitivismo, accettare che l’uomo - come concordemente affermarono sia Albert Einstein sia Sigmund Freud nel loro scambio di lettere sulla guerra – “ha entro di sé il piacere di odiare e di distruggere”.
Domandiamo ancora: che fare? Riandiamo alle parole di Primo Levi scritte in Appendice a “Se questo è un uomo”, alle quali possiamo collegare l’invocazione di Norberto Bobbio, citata in principio: “Poiché è difficile distinguere i profeti veri dai falsi, è bene avere in sospetto tutti i profeti; è meglio rinunciare alle verità rivelate, anche se ci esaltano per la loro semplicità e il loro splendore, anche se le troviamo comode perché si acquistano gratis. E’ meglio accontentarsi di altre verità più modeste e meno entusiasmanti, quelle che si conquistano faticosamente, a poco a poco e senza scorciatoie, con lo studio, la discussione e il ragionamento, e che possono essere verificate e dimostrate”.
E riandiamo a Freud che ne “L’avvenire di una illusione” fa con amara e accorata lucidità una difesa della ragione e della scienza, spiegando la sua preferenza per ragionevoli piccole speranze quotidiane rispetto ad un orizzonte dominato dalla Grande Speranza: “Il nostro dio, che è il logos e la ragione forse non è molto potente e può realizzare solo una piccola parte di ciò che i suoi predecessori hanno promesso. Siamo disposti a riconoscere questo fatto, ad accettarlo con rassegnazione, e ciò non sarà sufficiente a spegnere il nostro interesse per il mondo e per la vita”. Agli occhi di Freud : 1) la scienza non ci dà e non ci può dare tutto ciò che vorremmo e che da sempre abbiamo voluto da un Dio: verità assolute e certezze indiscutibili; 2) dobbiamo accontentarci di un dio minore (chiamato logos o ragione) che non è né onnisciente, né onnipotente e può darci solo una piccola parte delle grandi promesse legate all’immagine del Dio onnisciente e onnipotente; 3) accettando quel dio minore, siamo anche pacatamente sicuri che il fallibile e limitato sapere che possiamo costruire non è illusorio”.
Quest’ultimo punto ci solleva un poco: ma non c’è aria di tripudio in questo. Paolo Rossi ci spiega che a differenza di positivisti, materialisti storici e materialisti dialettici, marxisti, anarchici, radicali, transumanisti, atei militanti di varia estrazione e natura, Freud aveva assolutamente chiaro un punto: l’ateismo non ha nulla di trionfalistico, ha a che fare con limiti e accettazione dei limiti, ha a che fare con una rinuncia, con l’abbandono della ben radicata Grande Speranza che è instillata da tutte le “religioni” incardinate su Chiese, Stati, Partiti… Invece chi non ha un Dio si è staccato dalle illusioni, riconosce la propria impotenza. Perché la visione del mondo che è stata di Lucrezio, Hobbes, Diderot, Leopardi, Darwin e Freud non ha davvero nulla di eccitante. Non ha quasi nulla a che fare né con il Ballo Excelsior né con il Sole dell’Avvenire. Non assomiglia per nulla alle ideologie che si sono richiamate a Marx o a Nietzsche teorizzando insieme imminente e possibile l’avvento di un “uomo nuovo” oppure di un “superuomo” o “oltreuomo”. Continua a spiegare Paolo Rossi: il titolo che Freud dette a quelle sue pagine (prospettando l’idea che l’illusione religiosa abbia un avvenire) fa emergere una domanda . Chi è irreligioso e trova sopportabile che ci siano solo ragionevoli speranze e che non ci sia invece alcun posto per una illusoria Grande Speranza non può non porsi una domanda: l’abbandono dell’illusione è davvero sopportabile “da tutti”? Quel dio minore, che è il logos e la ragione, che non è molto potente e può realizzare solo una piccola parte di ciò che i suoi predecessori – le Divinità onnipotenti e onniscienti – hanno promesso, può diventare il dio di tutti?
Giacomo Leopardi nel “Dialogo fra un venditore di almanacchi e un passeggero” risponde lasciando l’ultima parola al venditore di speranze per l’anno nuovo: questi conserva l’illusione che il caso incomincerà “a trattar bene voi e me e tutti gli altri e si principierà la vita felice”. Qui la pietà ha il sopravvento sul più duro realismo e c’è dimostrazione d’affetto per questo sprovveduto portatore d’illusioni. Sì, perché anche chi è scettico e realista sente dentro di sé l’angoscia per la caducità di tanti Grandi Speranze a cui tenderebbero le mani di tutti gli uomini di buona volontà: il bisogno di credere che il bene compiuto sulla terra non verrà perduto, che la ferocia sarà punita, che la presenza umana sulla terra fiorirà e rifiorirà nel tempo. “Anche coloro che pensano che questo non accadrà – conclude Rossi – vorrebbero che invece accadesse”.
Ecco allora che chi cerca di affrontare la vita ritenendo che la via migliore per non farci travolgere dall’angoscia sia quella di coltivare speranze solo sobrie e ragionevoli, ben comprenderà e concederà che altri abbiano il buon diritto di coltivare Grandi Speranze, per illusorie che siano.
Grazie davvero - professor Rossi - per tutte queste schiette istruzioni utili per tutti gli anni nuovi della nostra vita.


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SOCIALISTI
LA NOSTRA PRESENZA ORA HA UN SENSO
giornale TRENTINO, p.1 del 22 dicembre 2010

Noi socialisti amiamo discutere e ragionare. Abbiamo, per questo, riviste di qualitàe partecipiamo a diecine e diecine di convegni, il tutto per soffermarci, con un misto di passione e di sofferenza, sul nostro passato e sul nostro futuro lontano. Parliamo, così, di Craxi- delle sue ragioni e delle ragioni che portarono alla distruzione, sua e del Psi- ma anche della nostra eredità riformista; come ci soffermiamo, allo stesso modo, sulle ragioni del socialismo e del riformismo nell’Italia e nell’Europa di domani.
Guardiamo, invece, assai poco- e comunque con fastidio- al nostro presente. E, in particolare, alla condizione precaria, transitoria e potenzialmente calamitosa, vissuta dal socialismo come collettività politicamente organizzata: dal SI allo Sdi sino all’attuale Psi, per non parlare delle esperienze locali (Federazione Socialista Trentina e Trentino Domani).
Per molti, questa indifferenza ostile è pienamente giustificata. Perché il “partitino”ridotto così com’è sarebbe nel migliore dei casi inutile e, negli altri, sostanzialmente superfluo rispetto a qualsiasi progetto di ricostruzione di una cultura e di una politica socialista.
Per chi (come me) la pensa in modo diverso c’è, naturalmente, l’onere della prova. Personalmente sono intellettualmente ( oltre che visceralmente) convinto che il socialismo laico e liberale abbia bisogno, per esistere concretamente, di una forza politica che lo rappresenti: ma, nel momento stesso in cui esprimo questa convinzione, devo spiegare, a me stesso e agli altri, perché questa forza- leggi lo Sdi e poi il Psi- sia stata del tutto inadeguata rispetto al suo compito, e perché oggi esistano le condizioni per “voltare pagina”.
Inadeguata perché? Risparmio qui ai lettori del “Trentino”la ripetizione di polemiche tutte interne al nostro piccolo universo e forse inconcludenti. E questo perché avevano ragione tutti: quelli che sostenevano la colpa era di un gruppo dirigente che non aveva mai creduto alla validità del messaggio socialista annullandone la specificità in una serie di improbabili alleanze ( dai “banchieri un po’ così”, come Dini sino ai “rivoluzionari un po’ così” come Vendola); e quelli che sostenevano che le scelte fatte erano sempre obbligate in un contesto in cui il “mercato”dell’idea socialista aveva sempre oscillato tra l’uno e il due percento, con tendenza al ribasso.
La mia sensazione ( ripeto, sensazione) è che il nostro problema si sia sempre misurato con un’incognita non risolta; quella che riguardava la natura del nostro messaggio. E questo perché siamo stati, magari senza volerlo, prigionieri dell’eredità craxiana: in un contesto in cui la sua dimensione “alta”(il revisionismo socialista come strumento per cambiare la sinistra e modernizzare il Paese) trovava un’accoglienza pregiudizialmente ostile ed un’esistenza quanto mai grama all’interno del centro-sinistra; mentre la sua versione “di pancia”(ricerca del potere e competenza nell’esercitarlo; anticomunismo viscerale e militante) prosperava, in tutti i sensi, all’interno dello schieramento berlusconiano.
Ora, era possibile un messaggio diverso? Un messaggio rivolto al presente ed al futuro, suscettibile di trovare il consenso di persone che del Psi di ieri e di oggi non hanno né consapevolezza né memoria?
La mia sensazione è che le condizioni oggettive di una presenza socialista, laica e liberale ( modi diversi per dire la stessa cosa) oggi ci siano.
La prima è sotto gli occhi di tutti. Quando un Presidente del Consiglio teorizza in prima persona la compravendita dei deputati dell’opposizione come strumento di governo siamo messi proprio male. Quando il Vaticano elegge a nuovo “uomo della provvidenza” un leader la cui etica personale e pubblica grida vendetta perché questo leader elargisce cospiqui finanziamenti, potere e privilegi, siamo messi malissimo. Quando poi queste pratiche vengono conclamate senza suscitare apprezzabili reazioni, da parte della maggioranza dei cittadini, siamo vicini alla catastrofe: al venir meno dei principi di fondo su cui si regge uno stato laico e liberale. E allora sarà anche vero che in politica non sempre vale il principio fisico della “reazione uguale e contraria”; ma, nel nostro caso, questa reazione ci dovrà pur essere e i Socialisti, laici e liberali dovranno esserne gli animatori oggi e in una possibile prossima campagna elettorale; pena la loro cancellazione definitiva.
La seconda ha a che fare con l’opposizione e le sue prospettive politiche. Sulle quali, i socialisti hanno un progetto politico da proporre. Perché pensano e dicono collettivamente quello che (molti) altri affermano a titolo ( ancora) personale: che il centro-sinistra non può sconfiggere il sistema berlusconiano da solo, assommando proteste e insoddisfazioni oppure alimentando sogni; che deve, dunque, farsi carico (non per evitare le elezioni ma per vincerle)di un progetto di ricostruzione dello Stato e del tessuto sociale e nazionale, corrosi e corrotti nel corso di tutti questi anni, coinvolgendo in questo disegno il più vasto arco di forze al di là di ogni schieramento precostituito; e che, infine, in questo arco di forze ci sarà anche la nostra anche qui, ben oltre gli schemi di partito).
Sapremo svolgere il nostro ruolo? Stavolta dipende soltanto da noi.

ALESSANDRO PIETRACCI, segretario provinciale PSI del Trentino

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IL RIFORMISMO TRA I DUE BLOCCHI
giornale TRENTINO, p.1 del 1 dicenbre 2010

Ha destato certamente interesse nel pubblico che ha affollato la sala della Biblioteca Comunale di Trento, l'inedito confronto tra Mario Raffaelli e Lorenzo Dellai, "complice" il saggio sul riformismo italiano scritto recentemente da Bruno Pellegrino. Direi notevole interesse, forse perché la discussione è andata oltre la presentazione -pur interessante - del libro e si è calata sulle prospettive della vita politica locale.
Sono assolutamente convinto che il riformismo sia elemento fondamentale dell?agire politico e amministrativo di chi si definisce socialista, sia in Italia che in Europa, ma questo non e? di per sè sufficiente a raccogliere i necessari consensi in presenza di un sistema elettorale di tipo bipolare, come quello vigente. Riformisti dunque ma nel contempo aperti e disponibili a ricercare nuovi percorsi politici in Trentino.
Perché sono stato "piacevolmente" sorpreso nell'ascoltare, a conclusione della serata, Lorenzo Dellai proporre l'apertura di un "cantiere" tra cattolici democratici e socialisti?
Con quei socialisti, oggiAggiungi un appuntamento per oggi, quasi completamente oscurati, ma che tanto hanno contribuito nel recente passato alla crescita civile, culturale ed economica del Trentino
In questi ultimi anni in Trentino abbiamo assistito alla formazione e al consolidarsi di due veri e propri "blocchi" interni al centro sinistra: quello dell'Upt e quello del PD.
Una configurazione che sostanzialmente rappresenta la riedizione della Margherita e dei DS.
Per la verità l'Upt aveva inizialmente espresso una vocazione riformista, ma la sua reale evoluzione - sopratutto nelle valli ? è sembrata andare nella direzione di una versione moderna del popolarismo post democristiano;
D'altra parte il PD appare sempre più il volto nuovo e pragmatico dei Ds, sia pur con qualche efficace contaminazione di esperienze cattoliche, mentre, la componente laico-socialista risulta inesistente, marginalizzata e comunque assolutamente irrilevante.
In questo contesto noi socialisti, con i pochi strumenti a disposizione, stiamo lavorando per creare utili collegamenti anche al dì fuori del movimento socialista, attraverso una rete territoriale integrata ed inserita nelle tante liste civiche, in relazione alla nuova realtà istituzionale delle Comunità di Valle, con l?obiettivo di configurare un?area politica che aggreghi tutte le forze riconducibili alla cultura laico-riformista, nella quale valorizzare e realizzare tutti i contributi positivi che all'interno di quest'area maturano.
Siamo molto attenti a quanto evolve intorno a noi e dunque, se le parole di Dellai vogliono significare volontà di aprire una discussione seria sul percorso seguito in questi ultimi anni da Upt e PD,questo sarebbe già un buon punto di partenza.
E' dunque opportuno, anche da parte nostra, riprendere il filo di quel ragionamento.

UGO RICCADONNA - Esecutivo PSI del Trentino


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CIME SEMI-TEMPESTOSE
Se il Servilismo diventa Trappola
Michael Moore e il Regime Cubano


Che figuraccia per Michael Moore. E per colpa di suoi due amici, poi: Fidel Castro, il dittatore davanti al quale il regista usa prosternarsi con reciproca soddisfazione, e Julian Assange, per la cui libertà Moore sta firmando, ironia della sorte, appelli e petizioni. Che figuraccia, perché da uno dei cablo intercettati e resi pubblici da WikiLeaks, si apprende che il regime castrista aveva vietato negli anni scorsi nei cinema dell’ Avana la proiezione di Sicko, il film con cui Michael Moore voleva dimostrare che la sanità socialista cubana era di gran lunga migliore di quella capitalistica «amerikana». La solita denuncia delle malefatte dell’ imperialismo yankee e la solita glorificazione della tirannia castrista, descritta come un paradiso sanitario in lotta perenne contro il mostro di Washington. Ma come, se era un panegirico perché allora i burocrati cubani ne hanno vietato la diffusione? Se era una mediocre operazione di servilismo filo-castrista, molto frequente nel cinema americano (da Oliver Stone a Sean Penn), perché mai i censori comunisti dell’ Avana si sono premurati di proibirlo? La spiegazione, messa in evidenza dai dispacci resi pubblici da Assange, ha del paradossale. Ma è vera. Si è appreso infatti che Moore, a dimostrazione dell’ eccellenza della sanità cubana, ha girato il suo filmetto nelle cliniche esclusivamente riservate ai papaveri del Partito, alla cricca al potere che nei Paesi del socialismo reale viene comunemente definita nomenclatura. I grandi ospedali descritti da Moore erano i luoghi del privilegio da cui erano esclusi tutti gli altri poveri cubani. Ecco la ragione del divieto: la popolazione cubana, vedendo le scene riprese da Moore per fare un favore al regime, si sarebbe molto inalberata nel constatare le condizioni dorate della nomenclatura. Meglio proibire. Meglio censurare. Per Moore una figuraccia. Tutta una vita a mostrarsi coraggioso e indipendente, ed è bastato un cablo a dimostrare di che pasta è veramente fatto il vendicatore dei torti americani e il cantore delle dittature: all’ Avana sì, ma solo con i dollari. E le bugie.

PIERLUIGI BATTISTA

Corriere della Sera, 21 dicembre 2010



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