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Comunità, non spianate padane
15.10.2010

INFO SOCIALISTA 15 ottobre 2010
a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592

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Sito nazionale PSI: www.partitosocialista.it
Quindicinale - Anno VII
Una storia. E l’avvenire delle
COMUNITA' DI VALLE
Perché il Trentino non è una spianata padana

“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico”
GIOVANNI PASCOLI, L’aquilone


di NICOLA ZOLLER

Domenica 24 ottobre 2010 si svolgeranno in Trentino le prime elezioni dirette delle Comunità di Valle. Vi proponiamo una storia, pensando all’avvenire.


1. Il Piano urbanistico del 1967

“Assicurare la partecipazione di tutte le zone della Provincia ai vantaggi dello sviluppo” grazie a una “dimensione nuova con una profonda funzione morale per lo sviluppo umano delle Valli, una funzione a cui i Comuni non potevano sottrarsi, perché superava e integrava i singoli interessi locali di una industria qui ed un ufficio pubblico là, rappresentando un fatto di partecipazione per cui tutte le forze vive di una Valle si riunivano in questa grande unità, urbanizzandola insieme”. Questi pensieri venivano espressi dal prof. Giuseppe Samonà, il progettista del primo Piano urbanistico provinciale (Pup) del 1967 tenacemente promosso dal presidente Kessler. Samonà parlava di quello che dovevano essere i Comprensori, affrontando un problema storico del Trentino: quello di trovarsi di fronte ad una Provincia dai poteri via via più vasti e – d’altro lato – di fronte ad oltre 200 Comuni su una popolazione provinciale poco superiore ai 400.000 abitanti. Per molte di queste realtà municipali era chiarissima la difficoltà a ben organizzarsi, a provvedere ad una adeguata programmazione ed era anche evidente l’ impossibilità a farsi valere nel confronto istituzionale con la Provincia. Di qui la necessità di quella superiore unità “morale” fra i Comuni e le popolazioni delle Valli trentine, riunite nella “nuova dimensione”.


2. Un po’ di storia

Vedremo tra poco quanto sarà difficile procedere verso questa meta, ma intanto l’idea “comprensoriale” si rifaceva strada. Sì, perché non è stata un’invenzione degli anni 1960/1970, ma si ricollegava all’esperienza dei “giudizi distrettuali” e dei “cantoni” istituiti in Trentino all’inizio del 1800 rispettivamente dal governo bavarese e poi dal governo italico/napoleonico: erano 17 gli ambiti della prima esperienza, 16 quelli della seconda. Dopo il Congresso di Vienna del 1815, restaurata la dominazione austriaca, nel Circolo di Trento vennero individuati dal governo centrale “solo” 6 Capitanati distrettuali/Bezirke, portati ad 8 nel 1868 e poi a 9 nel 1906. Questo prudente accrescimento del numero dei Bezirke – così erano definiti i distretti “con compiti amministrativi e di governo” nell’Impero austro/ungarico - rispondeva almeno parzialmente alle esigenze più volte espresse al Governo di Vienna dalla Dieta tirolese affinché “venissero tenute in considerazione le distanze, le difficoltà di comunicazione, le particolari condizioni climatiche ed altri dati di situazione, in quanto distretti troppo estesi non corrispondevano ai desideri e alle necessità delle popolazioni e men che meno alla funzionalità del governare”. I nove distretti del Circolo di Trento facevano capo a: Trento medesima, con la Valle dell’Adige; Mezzolombardo, con la Piana Rotaliana e la Valle di Cembra; Cles, con le Valli di Non e di Sole; Borgo, con la Valsugana; Cavalese, con le Valli di Fiemme e di Fassa; Fiera di Primiero, con la Valle del Primiero ed il Vanoi; Rovereto, con la Vallagarina; Riva, con il Basso Sarca e la Valle di Ledro. Questa suddivisione ottocentesca e del primo Novecento si legherà a quella successiva della seconda metà del XX secolo: la ragione è che l’organizzazione amministrativa non si insedia entro un confine tracciato a tavolino, ma cerca di assumere i “confini” naturali e sociali costruiti nei secoli dalle comunità delle nostre Valli montane. E può succedere che per anni – a seguito di sconvolgimenti politici o militari – vengano cancellate istituzioni ed organizzazioni radicate nella storia di un popolo. Ma quando esse ritornano d’attualità non possono che ricollegarsi alle esperienze precedentemente interrotte. E’ proprio il caso dei “distretti” del Circolo di Trento. Essi vennero soppressi quando il Trentino fu unito all’Italia nel 1918. Il successivo regime fascista non lasciò spazio a forme di gestione decentrata dei poteri. Dopo la Liberazione del 1945, con la nuova Costituzione repubblicana vennero riconosciuti nuovi poteri alle Regioni. A cavallo degli anni ‘60 la storia istituzionale del Trentino-Alto Adige diventa sempre più storia delle due rispettive Province autonome di Trento e Bolzano, alle quali vennero assegnate oltre alle competenze urbanistiche anche quelle in materia economica. E’ proprio in seguito a questi avvenimenti che in Trentino riprendeva corpo l’idea di una sua articolazione - sulla base degli antichi distretti – in Comprensori, per realizzare quella pianificazione urbanistica di kessleriana memoria.


3. La crisi degli anni 1980/1990

Tuttavia il Comprensorio, nonostante l’affidamento di ulteriori nuove deleghe da parte della Provincia in materia di assistenza scolastica, tutela dei centri storici, edilizia abitativa e assistenza sanitaria non riuscì a decollare come ente autonomo e autorevole. Continuava ad essere un braccio funzionale della Provincia, con “limitato potere decisionale e compiti prevalentemente operativi, vincolato a direttive molto puntuali”. Per rilanciarlo era stata prevista all’inizio degli anni ’80 l’elezione popolare diretta delle Assemblee comprensoriali, ma a seguito di ricorsi anche questa possibilità venne meno nel 1983. Cominciò una fase di arretramento, perfino con una limitazione delle precedenti deleghe a favore di un ulteriore accentramento provinciale e con il sopravvento di gelosie micro-locali che minavano la validità della dimensione comprensoriale.


4. L’avvenire possibile

Ma nei primi anni 2000 si è rimessa in moto una possibilità di rinascita, collegata alla “riforma istituzionale” promossa dalla legge provinciale n.3/2006. Vengono individuate, in sostituzione e superamento dei Comprensori, 16 nuove Comunità a cui affidare competenze provinciali in modo pieno, non solo a titolo di delega che è sempre revocabile: la Comunità dovrebbe cioè diventare un ente locale con funzioni proprie, potendo adottare “le politiche più rispondenti alle esigenze e alle caratteristiche del proprio territorio”. Si partirà dalle competenze in programmazione urbanistica, attività socio-assistenziali, edilizia abitativa e diritto allo studio, ma si prevede che altre attività vengano trasferite – in modo volontario - dai Comuni e soprattutto dalla Provincia. Sarà tutto vero? La Provincia supererà davvero il suo arroccamento centralistico? Questa riforma come verrà attuata? E da chi?
Interrogativi che pesano, ma intanto c’è ora la possibilità della elezione diretta dei presidenti delle nuove Comunità e della maggioranza dei “consiglieri” comunitari, che è sempre un passo positivo anche se l’affluenza alle urne potrà essere seriamente limitata sia per il mancato naturale aggancio con il recentissimo svolgimento delle elezioni comunali, sia per la dirompente crisi di credibilità della rappresentanza elettiva in atto in questi mesi su scala generale (proprio il 3.10.2010 l’Osservatorio di R. Mannheimer ha rilevato che il 56% degli elettori ha un’opinione negativa della politica”).
Insomma – pur tra queste difficoltà notevoli - è bene riprovare a dar lustro ad una idea antica che ha attraversato passaggi ancor più ardui. E si dice antica perché dai citati “giudizi distrettuali” bavaresi e dai Bezirke austro-ungarici ottocenteschi, quell’idea risaliva su su nel tempo fino al XIII secolo quando Mainardo II, conte del Tirolo, suddivise per la prima volta il nostro territorio in distretti per “assicurare un minimo di efficienza ai servizi pubblici”. E’ da allora che questa organizzazione “distrettuale” entrò nel modo di concepire l’amministrazione in questa parte delle Alpi: diventò insomma una consuetudine che - con varie fortune, come abbiamo visto – sopravvive anche nell’età contemporanea. Luigino Mattei – autorevole giornalista trentino – nel 1978 spiegò in poche parole perché questa idea non era mai tramontata: è la natura alpina del nostro territorio, che sparge i suoi abitanti in zone marcatamente divise da catene di monti, a rendere le Valli trentine “diverse e autonome”, impedendo che siano “soffocate” dagli errori e dalle gelosie di potere. Insomma il Trentino non è una spianata padana che raggruppa il suo mezzo milione di abitanti in un quartiere metropolitano: è invece una realtà geografica tanto ampia perché tanto differenziata. Ed è per questo che l’idea di Bezirke-Comprensorio-Comunità non è venuta meno, potenzialmente utile nel soccorrere le popolazioni degli oltre 200 Comuni con servizi e programmazioni che solo un ambito sovrastante il singolo campanile può offrire; e soprattutto necessaria per una Provincia che non voglia soccombere sotto la centralizzazione dei suoi vastissimi poteri.(NZ)

(Un ampio estratto di questa breve ricerca storica, scritta pensando all'avvenire, è stata pubblicata dal giornale l'ADIGE giovedì 7 ottobre 2010, pg. 1 e 54, con il titolo: "COMUNITA' DI VALLE EREDI DEI BEZIRKE")

Nicola Zoller (Rovereto - 1955), originario di Brentonico, ha studiato al Liceo Rosmini di Rovereto e all’Università di Padova laureandosi contesi in Diritto pubblico degli enti locali. Socialista dal 17° anno d’età,come pubblico amministratore è stato presidente dell’ITEA e assessore all’urbanistica del Comprensorio Vallagarina. Consigliere comunale di Rovereto negli anni ‘90, dal 2000 al 2010 è stato presidente del Consiglio comunale di Brentonico. Da molti anni lavora come responsabile commerciale di un’azienda privata che opera a livello nazionale ed europeo.



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