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INFO SOCIALISTA 30 AGOSTO 2010 a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592 Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Quindicinale - Anno VII ---------------------------- o PER UN'AUTONOMIA TRENTINA PROGRESSISTA - di Nicola Zoller o LA SINISTRA NELLA SECONDA REPUBBLICA di Carmine Pinto - da MONDOPERAIO, rivista socialista, n.6/2010: commento ai libri di - VALDO SPINI, Vent’anni dopo la Bolognina,Rubbettino, 2010. - NICOLATRANFAGLIA, Vent’anni con Berlusconi (1993-2013).L’estinzione della sinistra, Garzanti, 2009 @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ PER UN'AUTONOMIA TRENTINA PROGRESSISTA Questa nota è stata riportata dal giornale TRENTINO del 27 agosto 2010 col titolo: "Sì,c'è chi sopravvaluta Hofer.Ma Battisti non è stato dimenticato" In queste giornate in cui sono riemerse discussioni sulle radici storiche del Trentino, è stato chiesto a noi socialisti se Cesare Battisti – fondatore del movimento socialista in Trentino, oltre che irredentista – sia stato scordato a favore di una rivalutazione oscurantista di Andreas Hofer. 1) Possiamo rispondere che non è stato affatto dimenticato né dagli storici seri né tantomeno dal popolo, se siamo – come siamo – appena ritornati da un incontro popolare col coro di Meano, che ha concluso sulle montagne tra Avio e Brentonico la propria rassegna canora con “L’inno al Trentino”. In effetti, da ogni nostra valle e città continuano a riecheggiare ancora le parole di quell’inno scritto da Ernesta Bittanti Battisti, moglie di Cesare. Pubblicato dal giornale socialista “Il Popolo” il 28 giugno 1911, l’inno animerà – grazie alle bande e ai cori di città e paesi - gli incontri popolari di tutte le nostre contrade, dando significato esteso e sentito all’impegno politico e sociale di Battisti a favore di quel “popolo tenace” prodotto dalla nostra terra, di “italico cuore” e di “italica mente”, nonostante la dominazione straniera. 2) Quanto al valore del sopravvento di Hofer su Battisti, ha aggiunto parole definitive la insospettabile consigliera autonomista Caterina Dominici, che da insegnante e studiosa non ha potuto evidentemente accettare la smodata caricatura pro-hoferiana promossa dal suo collega di partito e assessore Franco Panizza. Sul “Trentino” del 17 agosto scorso la prof.ssa Dominici ha così argomentato: “Andreas Hofer non rappresenta la storia trentina, o almeno ne rappresenta solo una piccola parte. Non si può esaltarlo in questo modo ed eroicizzarlo all’infinito. Quella che va esaltata è tutta la storia trentina, dai Reti in poi, con tutti quei personaggi del popolo trentino che hanno dato l’anima e la vita per la libertà”. Parole sobrie finalmente, e sante. 3) In questa diatriba, l’autonomia trentina viene minacciata da interventi come quelli apparsi recentemente sul “Corriere della Sera”? Crediamo di no, se sapremo interpretare l’autonomia come una risorsa per tutti e non come un privilegio. Cesare Battisti indirizzò la prima vera “campagna autonomista” – come riportato nella pubblicazione “Il Partito Socialista e l’autonomia del Trentino” (ed. Stet, giugno 1901) – verso una scelta progressista: l’autonomia del Trentino da Vienna e da Innsbruck doveva rivelarsi come un riscatto per le classi più numerose e meno abbienti, le prime ad essere sopraffatte dal centralismo austro- tirolese. Così oggi, noi trentini dobbiamo raccogliere l’esortazione che proprio nella primavera 2010 il pensatore socialista Jacques Attali ha lanciato da Rovereto nell’ambito del festival delle città-impresa: ricordiamoci che “la nostra felicità dipenderà da quella degli altri”. Molti l’hanno capito, a partire da tutti coloro che avendo una visione “glocal”, agiscono localmente pensando globalmente. Anche il presidente Dellai ha riaffermato più volte l’adesione del centrosinistra autonomista a questa prospettiva. Dobbiamo essere generosi e ospitali, un esempio sempre più convincente di convivenza aperta, laboriosa e ordinata. Così l’autonomia trentina diventerà un esempio positivo e prolifico, non una sfarzo da abolire. Nicola Zoller @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ LA SINISTRA NELLA SECONDA REPUBBLICA di Carmine Pinto - da MONDOPERAIO, rivista socialista, n.6/2010 commento ai libri di - VALDO SPINI, Vent’anni dopo la Bolognina,Rubbettino, 2010. - NICOLATRANFAGLIA, Vent’anni con Berlusconi (1993-2013). L’estinzione della sinistra, Garzanti, 2009 Alcuni argomenti hanno segnato da sempre il dibattito politico italiano. Non è difficile tornare indietro nel tempo, sfogliare quotidiani o rassegne politiche, senza incontrare qualche intervento a dei pensosi dibattiti sulla crisi della sinistra. Dopo il terremoto dei primi anni novanta e la scomparsa delle sigle storiche del PCI o del PSI nuovi elementi rendono importante questa analisi. Almeno due sono evidenti da più di quindici anni: la progressiva ed inarrestabile riduzione dell’area di insediamento politico ed elettorale della sinistra, tra un terzo e la metà della sua forza nell’Italia repubblicana; una continua mai risolta disputa sulla sua natura, i suoi dati costitutivi e la sua prospettiva politica che ha prodotto una sequenza di leader e sigle, sempre instabili e insufficienti. E’ in questo scenario politico e culturale che si collocano i due interessanti studi sulla sinistra nella nuova stagione repubblicana recentemente pubblicati da Valdo Spini e da Nicola Tranfaglia. Gli autori sviluppano riflessioni che, pur con premesse intellettuali e culturali differenti, convergono nel serrato giudizio critico sulle politiche e i gruppi dirigenti della sinistra e del suo principale partito. Spini parte da una premessa polemica: per vent’anni la direzione strategica del mondo progressista è stata in mano agli eredi del vecchio PCI berlingueriano (Occhetto, D’Alema, Fassino, Veltroni). Gli ex comunisti hanno saputo conservare e tutelare lo zoccolo duro (organizzativo ed elettorale) del vecchio partito senza però rinnovarne la politica e il profilo culturale al punto da fare della sinistra un protagonista della nuova fase della storia italiana. Ci sono, negli anni della crisi del sistema politico tre momenti cruciali per il vecchio PCI: il rifiuto netto della socialdemocrazia, accompagnato dalla perenne ricerca una diversa strada per la vecchia sinistra; l’adesione al giustizialismo del ’93, simboleggiata con la scelta di rompere con il governo Ciampi ritirando i ministri dopo il voto sull’autorizzazione a procedere per Craxi; la violenta campagna antisocialista che accompagnò la liquidazione del PSI nelle drammatiche vicende di Tangentopoli. Nel frattempo, per sue responsabilità oltre che per la violenta delegittimazione del ’92-’94, il PSI cessò per sempre di rivestire una funzione politica nella democrazia italiana. Allo stesso tempo, anche per l’atteggiamento del PDS, il suo elettorato respinse con decisione il trasloco sperato dagli ex comunisti. Alle prime elezioni della nuova Repubblica, nel marzo del ’94, la coalizione guidata dal PDS di Occhetto fu rovinosamente sconfitta. Lo spazio elettorale della sinistra si ridusse vertiginosamente, riducendosi di un terzo rispetto al ’90. La novità era nella straordinaria forza di Silvio Berlusconi. Il leader della neonata Forza Italia colse elementi decisivi della rivoluzione in corso nel paese: la bipolarizzazione del sistema partitico, il ruolo crescente dei media e la personalizzazione della politica, la fine dei forti modelli ideologici. E, per restare nel campo della sinistra, riuscì ad attrarre settori importanti dell’elettorato storicamente socialista, oltre che di quello democristiano. Ben diversa fu l’evoluzione della sinistra italiana che, fino alla nascita del PD, restò prigioniera dei lineamenti del biennio cruciale ’92-’94. Innanzitutto non risolse mai l’annosa questione del rapporto con il socialismo, sia nella versione moderna ed europea che nel confronto con la storia della sinistra italiana. I tentativi di D’Alema con la Costituente di Firenze del 1998 e di Fassino con il congresso del 2005 furono privi di convinzione, con forti sospetti e altrettanti timori verso la reazione della base. In ogni caso sempre vincolati ad obiettivi differenti, come la necessità di stabilizzare il gruppo dirigente o garantirne la sua legittimità istituzionale. In secondo luogo, dice Spini, alcune linee del ’93, come il giustizialismo esasperato o il vincolo con storiche strutture sociali, limitarono in molti casi la potenzialità riformatrice del partito. In questo modo, contestualmente, si radicalizzò fino a diventare insuperabile il rapporto con l’elettorato del vecchio PSI, che invece si collocò, nella grande maggioranza, nel centrodestra. Inoltre la ricerca di una identità legittimante fu risolta attraverso la tattica di creare alleanze sempre più vaste, che guardavano sia alla destra che alla sinistra del partito, cercando di volta in volta di conquistare la maggioranza aggregando nuovi spezzoni di ceto politico e di consenso elettorale. Una strategia che in qualche caso risultò vincente sul piano elettorale (1996 e 2006), ma che non risolse i problemi strutturali della sinistra italiana: autorevolezza della leadership, incisività del discorso politico, capacità di comunicare senso identitario e qualità di governo, Berlusconi e il centrodestra restarono sempre vincenti e, in qualche caso, egemoni. Anzi la vecchia sinistra fu segnata da una ininterrotto cambiamento di nomi e simboli, candidati presidenti e segretari, cercando sempre una nuova strada per superare, senza riuscirci, i limiti strutturali del ’92-’94. L’analisi critica di Spini si volge anche alla cultura politica di questo ventennio. L’autore affronta questioni come la rivolta del nord, la politica sociale o la questione morale, valori come l’antifascismo o la Costituzione, temi sensibili come la laicità e le questioni etiche. Sono punti di forza storici della sinistra che per Spini si sono capovolti, diventando elementi di difficoltà o addirittura di debolezza. Il Partito democratico, in conclusione, è la sintesi di una duplice crisi, che riguarda sia il profilo politico della sinistra italiana che la sua dimensione culturale e valoriale. La scelta del PD ha rinviato o eliminato i nodi storici, si è caratterizzata come un accordo di potere tra gruppi dirigenti. Anche le primarie, pur registrando un grande successo di partecipazione e di legittimazione politica, hanno compresso definitivamente lo spazio di partecipazione reale. In conclusione, dice Spini, non ci sono più alternative. Le forze alla sinistra del PD sono state letteralmente spazzate via negli ultimi tre anni. Il PD può diventare una forza riformista e maggioritaria solo sciogliendo alcuni nodi cruciali: crisi economica e riunificazione fiscale, laicità e unificazione politica del paese sono i punti dell’agenda programmatica, la questione socialista e quella dell’appartenenza internazionale la premessa per una chiara definizione politica e culturale dei democratici italiani. Anche il libro di Tranfaglia discute l’azione della sinistra degli ultimi vent’anni, partendo però dal confronto con le strategie e la personalità dominante di Silvio Berlusconi. Per lo storico è indubbia la funzione egemone che questi riveste in un ventennio e oltre dell’Italia repubblicana: un modello che ha conquistato l’elettorato moderato ma anche una parte rilevante del ceto politico che pure si dichiara di sinistra. E’ questo il punto critico decisivo del suo volume. Tranfaglia mette sotto osservazione alcuni problemi cruciali del paese nell’età della transizione. Il punto di partenza è il passaggio tra gli anni ottanta e la crisi della Repubblica. E’ in questa fase che si affermano tipologie sociali e culturali dirompenti per la società italiana. Craxi, scrive l’autore, è il simbolo della prima affermazione di modelli populistici e decisionisti, pur restando nel recinto dei partiti di massa e del socialismo riformista. Quelle linee però trovano nella televisione berlusconiana e nei costumi della società degli anni ottanta il lievito per una democrazia dei consumi che sarebbe diventata egemone negli anni novanta. Da qui parte l’analisi di Tranfaglia. La crisi del sistema politico determinò la fine della centralità della DC e il dissolvimento del PSI, una rottura strutturale nella storia del paese. Le cause erano molte: la conclusione della guerra fredda, la crisi fiscale e l’esaurimento del ruolo dei partiti storici. In ogni caso, scrive lo storico, il modello di Berlusconi trionfò proprio sulle ceneri (e con l’elettorato) dei partiti storici, mentre la sinistra si illudeva di raccoglierne i frutti. Tutto questo proprio mentre si affermava però, pur con coalizioni eterogenee, un solido bipolarismo che avrebbe segnato tutta la successiva storia repubblicana. Da qui Tranfaglia sviluppa la sua analisi. Finito l’esperimento occhettiano e quello dei progressisti, il primo governo Prodi fu una delle grandi occasioni, per la sinistra italiana, di capovolgere i rapporti di forza e diventare protagonista della transizione italiana. Prodi e l’Ulivo incarnarono un modello politico e una formula di governo concretamente alternativa a quella di Silvio Berlusconi. Allo stesso tempo, però, proprio in questa fase si delineò, secondo l’autore, una linea alternativa, incarnata dalla politica dalemiana (e di altre forze politiche tra i popolari o nell’estrema sinistra), che volevano un Ulivo espressione dei partiti e delle forze organizzate. Una linea che non gradiva la politica prodiana di superare le forze tradizionali con un dialogo diretto con sindacati, mondo economico e vaste aree della società civile. E che evitò il problema del rinnovamento delle forze tradizionali cercando una strada alternativa per superare la crisi del vecchio sistema politico. Il punto più alto (e il maggior fallimento) di questa strategia fu la Commissione Bicamerale presieduta da D’Alema: il patto della crostata simboleggiò un tentativo di accreditamento rispetto al centrodestra destinato ad infrangersi rispetto alla differenti strategie berlusconiane. Il successivo governo, presieduto proprio da D’Alema, finì per rappresentare concretamente una linea alternativa a quella dell’Ulivo prodiano. Una divisione tra diverse letture ed interpretazioni del ruolo della sinistra nella società italiana che si rifletteva anche nel PDS e poi nei DS tra l’azione di Veltroni e quella di D’Alema. Invece, dice lo storico, il centrodestra immaginava e voleva un’Italia differente dagli uomini dell’Ulivo, avviando una strategia destinata a ben altri obiettivi. Per l’autore la crisi del governo Prodi e dell’Ulivo originario, insieme alla mancata soluzione di questioni strategiche come il conflitto d’interessi, il riassetto del settore radiotelevisivo, la politica giudiziaria e quella per il Mezzogiorno, sancirono il definitivo fallimento della sinistra degli anni novanta. Il segno di questa sconfitta apparve evidente quando furono movimenti sociali e forze sindacali a promuovere l’opposizione al secondo governo Berlusconi, esecutivo che, secondo l’autore, realizzò un passo avanti nell’affermazione di un modello politico in continuità con il populismo mediatico e plebiscitario del decennio precedente, evidente nelle leggi ad personam o in atti come il provvedimento sul legittimo sospetto. L’analisi di Tranfaglia si concentra rapidamente sull’esperienza dell’Unione. Ancora una volta Prodi riesce a vincere ampliando l’alleanza e cercando contemporaneamente di unificare le diverse anime riformiste del centro sinistra. La sua forza è però anche la sua fragilità. Il governo è in continua fibrillazione fino alla rottura finale. Invece il nuovo PD si muove all’ l’eterna ricerca di un protagonismo di tipo berlusconiano incarnata dalla filosofia di autosufficienza di Veltroni, fino a decretare la fine del governo e poi a consegnare a Berlusconi la vittoria. In conclusione l’analisi dello storico, profondamente critica verso il modello culturale e la politica del centrodestra, denuncia la grave crisi politica ed ideologica della sinistra italiana. Una forza politica che ha conservato il suo apparato e parte del vecchio elettorato, ha egemonizzato lo spazio del centrosinistra, senza superare la tradizione di burocraticismo e cooptazione dei suoi gruppi dirigenti. Soprattutto, sul piano politico e psicologico è stata molte volte subordinata al modello berlusconiano finendo per essere incapace di offrire una alternativa ed una politica vincente e credibile nel paese. mondoperaio 6/2010 / biblioteca / schede di lettura @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. Grazie per la cortese paziente attenzione torna in alto |