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Una spietata analisi del fallimento politico delle Br nel memoriale di Morucci Le origini e le contraddizioni degli "Anni di piombo", una critica del passato per portarlo a una definitiva sepoltura Recensione di Emanuela Sanna Errori, fallimenti, sottovalutazione dell'avversario, incapacità di comprendere la realtà storica del momento, spocchia e arroganza, ma soprattutto l'anacronismo di un movimento che già all'epoca basava le sue teorie su testi vecchi di settant'anni, che parlava di liberazione delle masse quando le masse erano già state liberate, e si stavano già trasformando in qualcosa di diverso. È la storia del terrorismo di sinistra degli anni settanta che portò alla nascita di ben duecento sigle di organizzazioni armate per un totale di centomila atti di violenza politica, più che in Argentina sotto la dittatura dei militari, più che in tutti i Paesi occidentali messi insieme. Prima Linea, Azione Rivoluzionaria, XXII Ottobre, Unità Comuniste Combattenti, Proletari Armati per i Comunismo, Nap, e così via, in una lunga catena di nomi e di sangue, figli dello smarrimento conseguente alla sconfitta delle lotte operaie e studentesche dei primi anni Settanta, fino ad arrivare alle Br, al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro, apice e inizio del declino di un movimento destinato alla sconfitta proprio perché "anacronistico e per il suo avvitamento nella spirale omicida". É la storia raccontata da uno dei suo maggiori protagonisti, quel Valerio Morucci che partecipò al sequestro Moro, all'uccisione della sua scorta, condannato a più ergastoli, poi portati a ventidue anni e mezzo per l'applicazione della legge sulla dissociazione, e che oggi scontata la sua pena con la giustizia, mette nero su bianco la sua vita, le origini e le contraddizioni di quelli che furono gli "Anni di piombo", in una "critica del passato per arrivare a una definitiva sepoltura dei suoi errori". Ma "La peggio gioventù" è anche la storia di una generazione cresciuta in un'epoca in cui le canzoni di De André erano quanto di più sovversivo si potesse immaginare, nel mito della Resistenza tradita, sfociata poi nella ribellione del '68, nell'occupazione della facoltà di Architettura a Valle Giulia, a Roma, fino al "salto", o meglio al declino, nella clandestinità e nella violenza. Non ha pietà Morucci, né per i suoi compagni brigatisti come Mario Moretti e Alberto Franceschini, né per se stesso. Non cerca giustificazioni, comprensione, compatimenti, scuse, né tenta di sottrarsi dalle proprie responsabilità e dal dolore che ne è derivato. La sua è un'analisi soprattutto politica che volutamente non emette giudizi morali, né ne richiede. Dalla critica al terrorismo in generale ("Tutto escrabile, ma non tutto esecrato, perché anche qui dipende dagli esiti") a quello del movimento: "Noi non siamo stati fino in fondo terroristi, perché la nostra azione era comunque strettamente vincolata alla politica. Sviluppata apertamente sullo stesso terreno, con tanto di rivendicazioni, e dagli stessi uomini. Noi abbiamo fatto politica con le pistole, quelle che i politici facevano usare ad altri. In divisa o senza. Ma sempre la stessa politica. Programmi altisonanti corredati dalla necessaria violenza, sociale e sugli uomini, per farli passare. Strategie e tattiche. Un passo appresso all'altro, o due passi indietro e uno avanti, per costruire castelli di carte". Sotto accusa se stesso ("gli errori degli altri non attenuano i miei") e le Br, con "quegli idioti volantini figli della boria illuminista" . Punto centrale di questa ricostruzione, e non potrebbe essere altrimenti, è il sequestro Moro, scelto non perché fautore del "compromesso storico" come si è voluto credere, ma semplicemente per motivi logistici, perché il più semplice da rapire. Un uomo "sbagliato" come sbagliata si rivelò tutta l'operazione. Spiazzati dall'intransigenza dello Stato, Dc e Pci in testa, i brigatisti inanellarono una serie di errori, dalla pubblicazione della lettera di Moro a Cossiga, alla volontà di stravincere, senza rendersi conto che l'attacco al cuore dello Stato era già stato compiuto che già avevano vinto. Una situazione che si capovolse velocemente in un incastro per le Br. Con gli stessi Morucci e Faranda che fino all'ultimo cercarono una via di uscita attraverso i contatti con Lanfranco Pace, di ottenere qualcosa, un semplice riconoscimento, che permettesse loro di non uccidere Moro e salvare la faccia. Gli stessi tentativi compiuti dal Psi e da Craxi (uno dei pochi politici assieme a Cossiga che esce brillantemente da questo memoriale) e, in tono minore da Fanfani. L'uccisione di Moro segnò l'inizio della fine. Poi ci furono gli anni della dissociazione, gli arresti, e quella frangia impazzita delle Br, guidata dai capi storici (Curcio e Franceschini in testa) che dalle carceri davano ordini, che continuò a uccidere senza più alcuna strategia, una mattanza che partì dalla spaccatura dello stesso movimento e finì in una guerra fratricida. Una storia sbagliata, basata su un'ideologia sbagliata, che ha prodotto una "violenza inutile, fuori dai tempi, immorale". torna in alto |