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Congresso PSI
28.6.2010

INFO SOCIALISTA 28 giugno 2010
a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592
Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno VII

o ANTICIPARE IL FUTURO,CAMBIARE IL CENTROSINISTRA- Congresso del PSI
o Quando la sinistra era (quasi) libertaria - di Pierluigi Battista
o La sinistra "viene da vent' anni di vuoto. Eppure può avere un futuro» - di Paolo Franchi


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ANTICIPARE IL FUTURO,CAMBIARE IL CENTROSINISTRA

Tesi per il Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano - Perugia, 9, 10 e 11 luglio 2010

‘ Se un’idea è buona, deve esserci un partito che la rappresenta ‘
( Detto popolare )

1.UNA CRISI DI SISTEMA
Si è conclusa una fase della globalizzazione. Il ‘turbocapitalismo’ è finito e gli equilibri sorti
all’indomani del secondo conflitto mondiale sono stati superati. Si prefigura un declino politico e
culturale dell’Occidente all’interno di una cornice economica a centralità asiatica.
Nel declino occidentale l’Europa vive il rischio più alto. Sono in crisi i suoi modelli tradizionali di
organizzazione sociale e politico-istituzionale, in difficoltà leadership ed organizzazione economica,
annaspano i tentativi di revisione delle sue politiche.
Di fronte ad una svolta imponente, il socialismo europeo appare ancor più in difficoltà, conteso
quasi ovunque da una destra populista e nazionalista che si va sostituendo, in molti paesi europei,
alla destra neoliberista e, a sinistra, da movimenti di stampo radicaleggiante.
Timore per la incontrollabile competitività delle economia asiatiche, paura per i flussi di migranti
che raggiungono le nostre comunità, disoccupazione crescente hanno favorito il bisogno di esaltare
identità civili e religiose come fossero fortezze impenetrabili. Soprattutto la paura ha favorito
l'affermarsi di un blocco culturale e politico di destra.
Poco più di un decennio fa, la grande maggioranza degli stati europei si rivolse alle forze di
tradizione socialista e socialdemocratica che risposero seguendo due modelli di condotta: difesa del
tradizionale assetto sociale figlio del welfare keynesiano e condiscendenza verso il capitalismo
globale spogliato dalle regole più elementari. In entrambi i casi mancarono risposte che si
muovessero nel campo dell’equità e di un innovativo riformismo economico e sociale.
Per ciascuno di noi tornano ad essere centrali tre grandi questioni: rimettere con decisione le radici
nel popolo, far crescere l'idea – dimenticata - di una Europa politica che affronti sotto il segno
dell'unità una crisi epocale, affrontare con pervicacia il tema della sconfitta della democrazia
tradizionale, insidiata dai condizionamenti del potere economico e incerta nei suoi processi
decisionali, probabilmente inadeguati a fronteggiare una società mutevole ed individualista.
E’ inevitabile il rilancio della politica come fonte di elaborazione di un progetto, di una visione di
cambiamento che riporti il mercato a muoversi dentro uno Stato regolatore.
E’ necessaria una forza del socialismo europeo che sappia rimettersi in gioco, che valorizzi il lavoro
contro gli eccessi delle tante rendite, l'economia reale rispetto a quella finanziaria, che faccia della
cultura, della inclusione e della innovazione la frontiera all’interno della quale muoversi.
Quel che serve è la regolazione della globalizzazione economica lavorando ad una globalizzazione
politica dalle caratteristiche autenticamente democratiche.
Quel che serve è una sinistra concretamente presente sulla scena politica e rinnovata nelle idee che
si prepari a governare il cambiamento con rigore e con responsabilità e che adotti la dimensione
europea quale naturale palcoscenico delle sue scelte, essendosi rivelata inadeguata la dimensione
nazionale della proposta socialdemocratica di compromesso tra stato e mercato, di fronte all'urto
degli eventi che hanno sconvolto l’inizio del nuovo millennio. D’altra parte, la crisi economica
mondiale è il prodotto del fallimento dei mercati finanziari non governati: la governance mondiale
dell’economia è quindi la nuova frontiera dei socialisti. Occorrerebbe una seconda Bad Godesberg
in funzione del socialismo liberale: la creazione di una ‘società solidale’ dove gli obiettivi di tutela,
di garanzia e di sicurezza siano fissati attraverso un nuovo rapporto tra Stato e mercato. Le
intuizioni del PSI alla Conferenza di Rimini - il superamento della visione classista e la
consapevolezza che un’Italia diversa stava facendosi strada – e le politiche ‘Lib-Lab’ promosse
negli anni Ottanta hanno costituito l’inizio di un percorso interrottosi nel decennio successivo. E’ la
strada da riprendere con rinnovata energia, perché sia possibile coniugare integrazione, legalità e
sicurezza e perché l’alleanza tra merito e bisogno trovi diritto di cittadinanza nel profilo dei tanti
socialismi europei.
In Europa i governi stanno predisponendo misure per contenere i costi dello Stato e per favorire
nuove entrate pubbliche e l’Italia stessa è stata indotta a varare nuovi provvedimenti per affrontare
una delicata crisi, per due anni falsamente negata dal Presidente del Consiglio. I socialisti italiani, in
accordo con i partiti aderenti al Pse, intendono sviluppare comportamenti ed azioni che favoriscano
la ripresa senza violare i diritti di equità sociale.

2. CAMBIARE L’ITALIA
L'Italia ha smarrito la propria idea di sviluppo senza ridefinire una diversa missione, costretta ad
una transizione lunghissima ed estenuante e governata ormai, ai diversi livelli, da vertici separati dai
corpi assembleari oppure in conflitto con essi. L'Italia che lavora, che studia, che produce vive
senza la certezza di una meta, colpita dalla caduta verticale dello spirito civico e indebolita da una
crisi economica senza precedenti, consapevole che l'emergenza italiana non è stata affrontata e la
gravità del momento taciuta.
Aumentano i segni di molteplici frammentazioni: tra il Nord ed il Sud, tra classi sociali, tra giovani
ed anziani, tra italiani di nascita, migranti ed italiani d’adozione.
Contrapposizioni che obbligano la società italiana in una paludosa conservazione oscillante
continuamente tra centralità dello Stato o centralità del mercato, mentre crescono le aree infeudate
dalla Lega e si impoverisce il senso di appartenenza alla medesima comunità statale, quel ‘comune
sentire’ che lo storico Renan poneva alla base di ogni nazione.
Alla questione meridionale si aggiunge oggi una questione settentrionale: siamo di fronte a due
realtà territoriali che non si riconoscono più nel centro e vorrebbero far da sé. A seconda del punto
di vista da cui si vuole guardare appare evidente che entrambe le questioni denunciano, pur per
ragioni diverse, ed a 150 anni di distanza, la debolezza dello Stato.
Agli albori della sua fondazione, il nuovo Stato si organizzò adottando un modello amministrativo
di tipo dirigista ed autoritario. Con la nascita della Repubblica, si affermava nella Carta la centralità
della democrazia dei partiti.
Oggi assistiamo alla crisi dell’unità nazionale ed alla implosione di ogni organismo intermedio di
rappresentanza, con partiti personalistici privi di democrazia interna ed il dominio dei poteri
economici nella perenne emergenza italiana.
L’unità nazionale viene giudicata in via di superamento non solo da una certa interpretazione del
federalismo quanto da una opinione diffusa da certa pubblicistica secondo la quale essa non è mai
stata un valore. I partiti sono venuti meno allo spirito infisso nella Costituzione per trasformarsi in
entità monocratiche dalla vita interna poco trasparente. Le leggi elettorali e di ordinamento esaltano
il principio di cooptazione e fanno dei vertici amministrativi locali autentici monarchi sopra
assemblee elettive private anche delle forme più elementari di controllo. Il governo
dell'informazione, soprattutto di quella pubblica, è l'ultima conferma di una tendenza allarmante
apertasi con il conflitto d'interessi in capo al Presidente del Consiglio.
E’ il preoccupante quadro di una democrazia zoppa, autoritaria ma non autorevole, che si è imposta
a partire dalla metà degli anni Novanta e che ha prodotto, ben più che altrove, distacco tra cittadini
ed istituzioni, un allarmante astensionismo elettorale ed una deriva populista di segno opposto.
Il governo ha favorito questa evoluzione – che i socialisti hanno cercato di contrastare con la
formazione del Comitato per la Democrazia - e non è stato fino ad oggi capace di elaborare un
disegno ‘unitario’ che consenta all’Italia di fronteggiare compiutamente la crisi più grave,
affrontando i nodi imposti dalla società della conoscenza, rinnovando il sistema degli
ammortizzatori a tutela di chi versa nelle condizioni del bisogno, investendo sul merito e sul futuro.
Se la destra può vivere sull’onda delle paure, la sinistra è destinata a morire se non si dà un’anima
ed un progetto.
La polemica su questioni marginali, i frequenti litigi ed il solo collante antiberlusconiano non hanno
aiutato il centro-sinistra ad essere considerato un competitore credibile. La storia ci insegna. Di
fronte a grandi fratture socio-politiche, o la sinistra si presenta agli elettori con un programma
riformista e leaders autorevoli oppure è destinata alla sconfitta.
Stretto tra le spinte demagogiche ed estremiste di stampo dipietrista e ‘grillino’, conflitti
programmatici figli di una fusione a freddo e divisioni interne che hanno reso la sua linea politica
oscillante, il Partito Democratico non ha saputo ancora costruire il cemento di una coalizione
vincente tra gli italiani. Nato per essere egemone in uno schema rigorosamente bipartitico, ha perso
e si sta logorando.
Quel che era giusto fare dopo l'89 europeo e che non fu fatto – impantanato nella rivoluzione
giudiziaria, nelle accelerazioni che non sciolsero i nodi della storia del Novecento e poi nel
berlusconismo - può essere ancora fatto.
La cultura del socialismo liberale deve accettare questa sfida e deve farlo confrontandosi con i nodi
della inclusione, del merito, della responsabilità e della etica pubblica. Una tendenza che il
socialismo dei cittadini può interpretare coltivando i diritti di terza generazione, contrapponendo al
familismo amorale la sobrietà e l’etica della responsabilità, declinando in modo eretico la parola
‘libertà’, dando sostegno a quel ‘secondo popolo’ privo di ogni tutela.
Il PSI deve essere al centro di queste nuove elaborazioni costruendo un luogo di confronto con il Pd
e con le altre forze del centrosinistra - in tale prospettiva, nella reciproca autonomia organizzativa,
va ripreso il dialogo anche con Sinistra Ecologia e Libertà - finalizzato a rendere possibile quel
processo politico, che possa condurre all'avvio di una nuova fase costituente di una grande forza
socialista e democratica, ampiamente rappresentativa delle diverse anime della sinistra e realmente
a vocazione maggioritaria, convinti che il centrosinistra, se non cambia, non vince.
Anche per questo non rinunceremo, d’altra parte, al confronto con quanti, pur avendo fatto una
scelta in diversa direzione non hanno inteso rinnegare il pensiero liberal socialista, verificando
eventuali convergenze su singoli temi o iniziative per far crescere l’idea e la cultura socialista
Il PSI deve essere il partito della nuova Repubblica.
La strada maestra per rinnovare un patto con gli italiani e rifondare lo Stato - devastato da una
transizione infinita e dalla esplosione di una stagione preoccupante di scandali - è l’elezione diretta
di una Assemblea Costituente. Spetta ad una Assemblea eletta dagli italiani definire la cornice
istituzionale e costituzionale della nostra Repubblica.
Il PSI si farà promotore di una proposta di legge di iniziativa popolare per porre la questione della
‘Terza Repubblica’ di fronte al Parlamento.
Avverseremo qualsiasi forma di bipartitismo e ci batteremo per costruire un ‘federalismo solidale’
fondato sul Senato delle Regioni e su una Camera con funzioni legislative, sullo snellimento delle
strutture statali, sulla definizione del ruolo dei tanti enti che insistono sul territorio, a partire dalle
Province, su una legge elettorale fondata sul rilancio di un sistema proporzionale che riconsegni ai
cittadini il potere di scegliere i loro rappresentanti e si fondi su quelle spiccate identità che hanno
reso più forte e più unita l'Europa.
Il PSI è il partito del lavoro e della dignità.
L’introduzione del 'Reddito di cittadinanza' per tutti i cittadini privi di un reddito sufficiente a
condurre una vita dignitosa, una legge sul 'Minimo salariale' e lo ‘Statuto dei Lavoratori e dei
Lavori’ rappresenta un impegno prioritario delle prossime iniziative socialiste.
Il PSI è il partito della laicità dello Stato come garanzia di libertà.
Laicità come garanzia di libertà: libertà della scienza e della ricerca, impegno per la estensione dei
diritti civili di terza generazione derubricati dall’agenda politica sia del Governo che
dell’opposizione, conferma della priorità della scuola pubblica in sinergia con la valutazione del
merito, del talento, della creatività, l'adozione in legge del testamento biologico.
Il PSI è il partito della legalità.
La sicurezza si fonda sulla certezza del diritto, sulla tutela dei diritti individuali, sulla ‘tolleranza
zero’ verso chi delinque. Alle politiche di certa sinistra intrisa di moralismo e giustizialismo va
contrapposto il rispetto della legge, alla difesa dei diritti di una comunità la tutela dei diritti della
persona.
Urge una profonda riforma del sistema giudiziario che dia celerità ai processi, preveda la
separazione delle carriere e istituisca i due C.S.M., quello della magistratura inquirente e quello
della magistratura giudicante.
Il PSI è il partito del merito e dell'equità
In Italia esiste una emergenza sociale. Protagonisti della vita politica ed imprenditoriale per due
terzi over 65, un welfare pensato per escludere i più giovani, pari opportunità spesso non applicate,
un diritto di famiglia che non riconosce forme di convivenza utilizzate da quasi 4 milioni di italiani,
un sistema creditizio che penalizza giovani imprenditori, spesa sociale orientata verso i più anziani.
Un’Italia senza futuro! La manovra finanziaria del Governo lascia intatte le nostre preoccupazioni:
incerta la lotta all'evasione fiscale, vaghe le risposte strutturali alla crisi dell'economia italiana ed
alle difficoltà della finanza pubblica, debole l'investimento sulle nuove generazioni, inadeguate le
misure di riduzione del deficit pubblico al di sotto del 3%.
I socialisti sosterranno quanti non hanno voce promuovendo una diversa filiera di priorità: investire
nell'innovazione e nella ricerca, favorire la nascita di un welfare tagliato sulla società italiana di
questo tempo, estirpare i rami obsoleti di settori pubblici improduttivi, ridurre i costi della politica
intanto sottraendo dal finanziamento pubblico quei partiti che non sono in regola con il dettato
costituzionale, equiparando le indennità dei parlamentari italiani con quelle dei loro colleghi
europei ed equiparando le indennità dei consiglieri regionali a quelle in vigore quando nacquero le
regioni.

3. UN NUOVO INIZIO: IL PATTO FONDATIVO DEI SOCIALISTI ITALIANI
Non esiste un passato da tradire, non c’è un altro presente da condividere.
La scelta di base del nostro congresso è la presenza di una forza socialista autonoma nei prossimi
appuntamenti politici ed elettorali nazionali.
Guardiamo al presente e al futuro.
Guardiamo a tutti i socialisti come a coloro che hanno assoluto bisogno di un punto di riferimento
per tornare ad essere una comunità operante.
Guardiamo al mondo delle associazioni, dei circoli e delle riviste che non hanno trovato sinora un’
eco nel mondo della politica, per intessere il filo rosso della cultura socialista.
Guardiamo alla sinistra in generale, colpita da una crisi che rischia, in assenza di proprie risposte
critiche, di negare progressivamente qualsiasi futuro sia all’Italia che ai ceti più deboli, che ne
costituiscono la maggioranza.
Ricostruire in Italia, una sinistra che si ispiri al socialismo liberale e che sia in prima fila nelle lotte
sociali e nelle battaglie laiche e di libertà è impegno che va molto al di là delle nostre forze, che
implica quindi il rifiuto di ogni autorefenzialità con il massimo sviluppo di alleanze, convergenze,
azioni comuni e in ogni possibile direzione.
Identità e forza delle radici del socialismo italiano, debolezze ed ambiguità della sinistra,
condivisione di un percorso futuro teso a costruire un centro-sinistra vincente favoriscono
autonomia organizzativa, politica e culturale del partito nato a Genova centoventi anni fa.
La storia socialista si salva dentro il PSI, a condizione che il gruppo dirigente sia unito e solidale,
che vi sia rilancio dell’iniziativa politica attorno a poche ed identificabili proposte, che l’identità
non sia vissuta come isolamento ma venga fatta valere in modo eretico dentro una coalizione
costantemente sconfitta dal 2007 ad oggi.
La nostra debolezza nasce da più di una ragione. L’assenza dal Parlamento italiano con la
conseguente fuoriuscita dal circuito dell’informazione; un corpo debilitato; una difficile
riconoscibilità da parte dell’opinione pubblica.
Per affrontare queste difficoltà è necessario rilanciare l’iniziativa del partito utilizzando tutte le
energie disponibili e formalizzando un ‘nuovo patto costituente’ tra gruppi dirigenti nazionale e
locali, iscritti e popolo socialista, e tra partito ed opinione pubblica. Un patto fondato sulla volontà
di continuare una storia, sul desiderio di favorire la nascita di un centro-sinistra che faccia perno su
forze figlie del socialismo liberale per sfidare con successo la coalizione che oggi governa l’Italia.
La vittoria alle Elezioni Regionali consegna al Presidente del Consiglio l’opportunità di governare il
prossimo triennio senza ostacoli che non siano quelli partoriti all’interno della sua stessa
maggioranza.
L’opposizione ha il dovere di trasformarsi in alternativa di governo senza ripetere gli errori del
passato.
Il PSI è interessato e lavora alla costruzione di un centro-sinistra competitivo che non sia la
rievocazione dell’Unione, che identifichi ora un leader e che si dia un ‘progetto per l’Italia’.
Vedremmo con attenzione l’apertura di un dibattito che prendesse atto della caduta del progetto
iniziale del PD e si ponesse la domanda sulla strada maestra da intraprendere. Una revisione di
fondo non l'assoggettamento a parole d'ordine vagamente populiste ma senza contenuto strategico.
L'alternativa di governo deve essere costruita su un programma di grandi e coraggiose riforme e
deve dotarsi di un luogo permanente di confronto ed elaborazione dove dare forma, giorno dopo
giorno, alla visione comune dell'Italia che vogliamo. Un luogo aperto alle forze politiche ed alle
organizzazioni sindacali e sociali, soprattutto a quei movimenti ed a quelle associazioni e alle
nuove forme di militanza che interpretano i bisogni di un'Italia diversa .
Il partito dovrà caratterizzarsi sempre più come il terminale italiano del socialismo internazionale.
In autunno, in omaggio a questo legame, terrà un'assise straordinaria a Gerusalemme dedicata ai
diritti universali.
Il PSI sarà nel centro–sinistra in modo autonomo. Si farà promotore di una CONVENZIONE che
riunisca in modo paritario l’intero mondo laico, radicale, liberale, repubblicano ed i Verdi al fine di
concordare iniziative coinvolgenti i territori su singole rilevanti questioni.
Il PSI sarà nel centrosinistra forte della sua diversità, provocazione e memoria. Per cambiarlo.
Il centrosinistra può battere il centrodestra con le armi della politica a condizione che vengano
respinte le due alternative che di volta in volta riappaiono: sconfiggere Berlusconi per via
giudiziaria o allearsi con la Lega contro il PDL.
Né può essere riproposta una nuova ed ulteriore versione ancor più ampia dell’unione,
incomprensibile agli elettori. Per due volte è stata sperimentata una coalizione larga e per due volte
la prova del governo è fallita.
Occorre invece costruire, qui ed ora, una nuova alleanza fondata sul bene comune e su una corale
visione dell'Italia. Una coalizione che da opposizione sappia guadagnarsi la credibilità necessaria
per trasformarsi in alternativa di governo. Un progetto affidabile che includa forze cattolicodemocratiche,
che escluda gli antagonismi figli della sinistra estrema, che si confronti con
movimenti ed associazioni che rappresentano parti significative della nostra società e che si rivolga
al mondo degli astenuti con il linguaggio della chiarezza e della sobrietà.
I socialisti scelgono di proseguire un cammino non perché certi di una immediata rivincita ma
perché sicuri di non poter essere sostituibili nell’attuale panorama politico italiano.
Alle elezioni europee, e poi in alcune regioni lo scorso 28 marzo, abbiamo stretto un accordo
elettorale con Sinistra ecologia e Libertà, raggiungendo discreti risultati, che avrebbe potuto essere
prodromico alla costruzione di una nuova sinistra italiana, laica, moderna, ambientalista e socialista:
non è stato così, lasciando ancora oggi inevasa la domanda di un progetto largo e condiviso teso a
dar vita ad una più grande sezione italiana del Partito del Socialismo Europeo.
Alle elezioni regionali dello scorso mese di marzo abbiamo raggiunto un risultato positivo
rimanendo ancorati al centro-sinistra e modulando le intese su base regionale secondo il taglio
federalista deciso nel congresso di Montecatini. Si tratta ora di armonizzare e coordinare i nostri
eletti rendendoli protagonisti di proposte forti nei parlamenti regionali.
I nostri “rappresentanti” negli enti locali, ma anche nel mondo sindacale e delle professioni ,
devono tornare a far parte di progetti comuni, così come deve scomparire la totale separatezza tra
partito e mondo socialista, una divisione che ha portato, in tutti questi anni, alla chiusura
corporativa del primo rispetto al secondo e all’indifferenza del secondo verso il primo.

4. UN MODELLO PER IL FUTURO DEL SOCIALISMO LIBERALE IN ITALIA
Occorre costruire un partito nuovo, capace di consolidare al centro un gruppo dirigente nazionale.
Un gruppo solidale e unito che difenda la nostra storia rinnovandola, promuova a dirigenti energie
più fresche e moltiplichi l'attività sull'intero territorio nazionale approfondendo battaglie già
combattute, affrontando nuove decisioni e provvedendo ad una vasta riorganizzazione necessaria in
molte regioni italiane.
Nei due anni che ci hanno separato dal Congresso di Montecatini (luglio 2008), tenutosi
all'indomani della terribile sconfitta alle elezioni politiche – scomparsa dei socialisti dal Parlamento
italiano, dimissioni del Segretario e del gruppo dirigente, bilancio finanziario a zero, caduta del
progetto politico della 'Costituente Socialista' con conseguente sbandamento del corpo degli iscritti
e dei militanti ed apertura di profonde fratture in vaste aree del partito -, abbiamo riassunto il nostro
nome (P.S.I.), raggiunto una apprezzabile autonomia economica, rafforzato una struttura che
languiva ( nuovo tesseramento e Conferenza di Organizzazione a Napoli ) e fissato un quaderno di
proposte e di idee ( dalla 4 giorni di Vieste alla Conferenza Programmatica del febbraio 2010 alla
riapertura di Mondoperaio, dai contributi portati per la nascita della 'Fondazione Socialismo' alle
iniziative messe in campo in preparazione delle Elezioni Regionali). Un lavoro ostico e duro,
necessario ma non ancora concluso.
Il PSI diventerà un partito di militanti e di campagne pubbliche con l’obiettivo prioritario di tornare
sul territorio con ‘ l’attenzione paziente ’ di cui parlava Isaac Newton e consapevole che ‘un fatto
vale più di una montagna di ipotesi’ (Nenni).
Anche per ciò, per il grande impulso alla crescita del partito, è giusto che venga riconosciuto alle
strutture territoriali, in piena attuazione del nostro Statuto, il ruolo indispensabile agli stessi
assegnato, riaffermandone l’autonomia sulle scelte politiche di propria competenza.
Il partito si impegna, immediatamente dopo la celebrazione del Congresso, ad organizzare una
Scuola di formazione da affidare alla Fondazione Socialismo, a perfezionare la propria piattaforma
culturale confidando nel gruppo di intellettuali che si sono raccolti attorno alla rivista Mondoperaio,
che da oltre un anno ha ripreso le pubblicazioni, a rilanciare L’Avanti della Domenica, in stampa
dopo anni di assenza, organo di informazione da rendere più graffiante ed incisivo nel dibattito
politico.
Andranno investite risorse per riaprire nostre sedi almeno nei comuni con popolazione superiore ai
15000 abitanti.
Il Consiglio Nazionale che prenderà vita dal Congresso di Perugia avrà un numero di componenti
più ristretto dell’attuale, sarà aperto a intellettuali di cultura socialista ancorché non iscritti al PSI e
potrà avvantaggiarsi di ‘osservatori’ esterni in rappresentanza di aree sociali rilevanti.
La Direzione nazionale avrà un numero di membri più limitato mentre a ciascun componente la
Segreteria Nazionale, rinnovata ed aperta a nuove energie, verranno conferiti gli incarichi di lavoro
di maggiore rilievo.
Daremo vita alla CONSULTA DEGLI ELETTI, luogo di confronto delle diverse esperienze
amministrative e di comune elaborazione per consiglieri ed assessori regionali, provinciali e dei
comuni capoluogo.
Resta un obiettivo attuale la fondazione, almeno nelle città capoluogo di regione, di CIRCOLI
TEMATICI (Giustizia giusta, Riforma Istituzionale, Libero Mercato, Laicità, etc..) aperti soprattutto
a non iscritti al Partito e la sottoscrizione di PATTI FEDERATIVI con circoli ed associazioni che
intendano condividere singole campagne, così come abbiamo già fatto con il movimento 'Lib-Lab'
e con il partito dei Pensionati.
Verrà implementato il ricorso alle PRIMARIE DELLE IDEE, sia su temi di ordine nazionale che
per tematiche di rilievo regionale e/o locale.
Siamo consapevoli che il ' patto di solidarietà' che proponiamo è impegnativo, soprattutto perchè
deve concretizzarsi nel superamento di quei comportamenti del passato rivelatisi improduttivi se
non dannosi.
Si tratta di una sfida ambiziosa che possiamo vincere se ci affidiamo con passione e con dedizione
al partito in un cammino che non sarà breve. Difficile dare torto a Turati: ' Ogni scorciatoia non fa
che allungare il cammino '.

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Quando la sinistra era (quasi) libertaria
Dalle denunce di Volontè e Pintor al nuovo totem: l' Intercettazione Globale

di Pierluigi Battista
- Corriere della Sera del 14 giugno 2010

C' era una volta una sinistra che detestava lo strapotere dei magistrati, diffidava di una polizia onnipotente, e vedeva come una minaccia alla libertà uno Stato che potesse spiare chiunque, senza argini e controlli. C' era una volta una sinistra, certo confusa e pasticciona, che però avrebbe accolto lo slogan barbarico «intercettateci tutti» come una disfatta delle proprie ragioni, una concessione ai tentacoli autoritari del Potere, una sottomissione agli imperativi e agli apparati dell' «ordine costituito». C' era una volta una sinistra che si sdilinquiva con i versi libertari di Fabrizio De André. Che intonava commossa Here' s to you Nicola and Bart per ricordare, sdegnata, l' oltraggio alla giustizia perpetrato con la condanna a morte di Sacco e Vanzetti. Che sapeva rispecchiarsi nella denuncia degli arbitrii investigativi del poliziotto Gian Maria Volontè in «Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto» («repressione è civiltà», era il suo motto). Che leggeva avidamente «I mostri» di Luigi Pintor, dove «i magistrati dispongono del più illecito dei poteri, quello sulla libertà altrui. Ma sono intoccabili... dispongono di armi micidiali, leggi inique e meccanismi incontrollabili. E le maneggiano come e contro chi vogliono». Che in «Sorvegliare e punire» di Michel Foucault ritrovava l' anatomia inquietante della «società disciplinare», dell' incubo moderno della trasparenza assoluta in cui il Potere controlla tutti, si intromette nella vita di chiunque, intercetta ogni segreto palpito degli individui. Che si identificava con i fumetti e i cartoon di Alfredo Chiappori, dove le cuffie e i nastri registrati erano le armi della polizia, oltre al tradizionale manganello. C' era una volta una sinistra che adesso non c' è più. Era contraddittoria, sconclusionata, dottrinaria, ideologicamente folle, ma non si sarebbe mai abbeverata alle fonti della nuova letteratura: i mattinali delle questure e delle procure. Snobbava le battaglie per i diritti individuali dei radicali di Pannella, liquidate come un «lusso borghese». Con i dirigenti della Fgci non disdegnava scampagnate ideologico-esistenziali nei Festival della gioventù allestiti a Berlino Est, proprio lì dove una feroce polizia politica faceva strage delle «vite degli altri». Ma se non era certo «liberale», tuttavia, forse perché ancora residualmente impregnata degli umori anti-autoritari della festa sessantottista, non avrebbe mai celebrato la bellezza sublime dell' Intercettazione Globale. Qualche volta in molti di noi punge come una tormentata infedeltà a se stessi il cambiamento che si è consumato rispetto a quella stagione. Ma è confortante constatare quanto sia cambiata ancora più radicalmente, e in peggio, quella sinistra che non c' è più. E che sembra culturalmente passata, in blocco, dalla parte dell' «ordine costituito». Altro che infedeltà.



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IN UN SAGGIO SUL PCI, L' EX DIRIGENTE DIMENTICA L'OCCASIONE PERDUTA DELLA SOCIALDEMOCRAZIA

REICHLIN E LA SINISTRA ANALFABETA

«Viene da vent' anni di vuoto. Eppure può avere un futuro»


di Paolo Franchi - Corriere della Sera del 15 giugno 2010

Come mai «un partito che assegnò a se stesso un compito (il comunismo) del tutto irreale che, ovviamente, non fu mai in grado di raggiungere, diventò nondimeno un soggetto protagonista della storia nazionale?». E quando «la decisione di uscire dai vecchi confini del Pci» si rivelò «non solo giusta, ma inevitabile», era inevitabile pure che una simile scelta comportasse «quella sorta di "svuotamento" della sinistra» cui si è assistito nel ventennio successivo? E questa sinistra «che sembra analfabeta» può avere un futuro? Sono questi gli interrogativi principali su cui si arrovella Alfredo Reichlin nel suo libro, Il midollo del leone, appena uscito da Laterza (pp. 128, 15). Un libro che non vuole essere l' autobiografia di un dirigente di primo piano del Pci che ha poi partecipato alla nascita del Pds prima, del Pd poi. Ma piuttosto la testimonianza della passione, e dell' inquietudine (a tratti verrebbe dire: dell' angoscia), di un vecchio combattente politico e intellettuale ben consapevole della cesura tra il suo tempo e quello che stiamo vivendo, ma ancor più della necessità di rintracciare un filo cui aggrapparsi, spes contra spem, per ricominciare a pensare in grande. Nella convinzione che solo così si possa restituire senso ad alcune parole, «sinistra», si capisce, ma pure «politica», e «democrazia», e forse «nazione», a forte rischio di scomparsa. Sulle risposte formulate da Reichlin ci sarebbe, naturalmente, da discutere a lungo. Ma le pagine più stimolanti, e talvolta più emozionanti, restano quelle dedicate al passato, in particolare al Pci. Al partito in cui lo studente borghese Alfredo Reichlin, appassionato a tutto quello che arriva dall' America molto più che ai piani quinquennali sovietici, decide con il suo compagno di banco Luigi Pintor di muovere i primi passi da gappista nella Roma occupata, alla notizia che Giaime è morto, dilaniato da una mina, mentre cercava di attraversare le linee. Bellissima, e struggente, è la rievocazione del liceo Tasso, foto di classe del giugno 1943, quegli studenti («molti erano destinati a morire») che di lì a pochissimo si sarebbero trovati di fronte a scelte drammatiche, nelle quali «i destini del Paese... non si potevano più separare dai destini personali di ciascuno». Appassionati e appassionanti i ricordi dell' «Unità», dove il giovane Alfredo entra subito dopo la Liberazione, e di cui diventerà direttore, e quelli pugliesi degli anni Sessanta. Sinceri, anche se non sempre condivisibili, i giudizi sugli uomini che, in diverse stagioni della vita, più lo hanno influenzato: Palmiro Togliatti, Pietro Ingrao, Bruno Trentin, Enrico Berlinguer. Sullo sfondo, in parte irrisolta, la grande questione. Che non è solo quella di Stalin, di cui Reichlin, a proposito dei suoi anni giovanili, parla ben poco, quasi si trattasse di un' entità astratta e lontana cui i comunisti erano tenuti solo a fare qualche gratuita reverenza o poco più. «Credevate nella rivoluzione»? Reichlin torna sulla domanda insistentemente rivolta alcuni anni fa da Vittorio Foa a lui e ad altri comunisti della sua generazione. Per dire che no, non ci credeva, nel senso che non ha mai pensato di assaltare Palazzi d' Inverno. Ma pure che sì, si sentiva un rivoluzionario, nel senso che «spettava a noi portare a termine il Risorgimento», dare alle classi lavoratrici «un nuovo ruolo nello Stato». Un' idea forte, scrive, e che ha contribuito fortemente non solo all' affermazione del Partito comunista ma pure alla ricostruzione democratica dell' Italia; e però «come poi si è visto, un' idea non solo semplicistica, ma con un fondamento storico e politico debole». Tanto è vero che, se la famosa «egemonia» la esercita chi governa «il proprio Paese in quanto affronta positivamente il nesso tra i suoi problemi interni e la sua collocazione internazionale», bene, «di fatto questo ruolo lo aveva assunto la Dc». Non è davvero un riconoscimento di poco conto, da parte di un «vecchio comunista» come tuttora Alfredo Reichlin, con qualche civetteria, si dichiara. E non è cosa di poco conto neanche mettere in chiaro, di converso, che «il ruolo storico del Pci fu profondamente contraddittorio». È sulla natura di questa contraddizione, però, che ci sarebbe piaciuto, da parte di Reichlin, un ragionamento più in profondità. Perché sarà anche vero che la collocazione internazionale del Pci e la «tardiva presa di distanze dal cosiddetto movimento comunista internazionale» non bastano a darne conto in modo esauriente. Ma, con tutto il rispetto per lo «storicismo assoluto», è difficile convenire con affermazioni del tipo: «Non è la "malvagità" dei comunisti che spiega perché nella penisola non è cresciuta una socialdemocrazia di stampo europeo, è invece la storia dell' Italia profonda che spiega il Pci». Anche qui c' è del vero: la «malvagità» non c' entra. C' entra, però, una domanda, destinata ovviamente a restare senza risposta ma non per questo meno cruciale. Sì, in tutta Europa, nella crisi, la sinistra balbetta, ma da nessuna parte sono in forse la sua stessa esistenza e il suo futuro. Da noi sì. Sarebbero in queste condizioni la nostra sinistra e l' Italia in cui viviamo, se, invece di combattere la «socialdemocratizzazione» come la più spaventosa delle sciagure, o come la più banale delle risposte, e di smarrirsi nella ricerca di «terze vie» e di analoghi oltrismi, il Pci prima, i postcomunisti poi, preso atto delle dure repliche della storia, avessero alzato finché ce n' era il tempo bandiera socialdemocratica?



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