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INFO SOCIALISTA 10 aprile 2010 a cura di n.zoller@trentinoweb.it tel. 338-2422592 Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Quindicinale - Anno VII ------------------------------ o Una RIVISTA per ri-cominciare MONDOPERAIO, rivista Socialista fondata da Pietro Nenni Per abbonarsi alla rivista versamento: 50 euro abbonamento annuale, 150 euro abbonamento sostenitore -su Conto corrente postale 87291001 oppure -bonifico bancario Codice Iban IT46 Z076 0103 2000 0008 7291 001 intestati a: Nuova editrice Mondoperaio srl Piazza s. Lorenzo in Lucina 26 00186 Roma @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Una RIVISTA per ri-cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges) o Direttore: Luigi Covatta o Titolo: MONDOPERAIO, rivista Socialista fondata da Pietro Nenni - www.mondoperaio.it MONDOPERAIO 3/2010 Numero 3 - Marzo 2010 -editoriale Luigi Covatta, Rivoluzioni -dossier/ la politica sfarinata Giuseppe De Rita, La repubblica dei cacicchi/ Paolo Pombeni, Il pantheon della decadenza/ Luciano Cafagna, Il territorio e la nazione/ Giorgio Rebuffa, Federalisti immaginari/ Giovanni Bechelloni, L'Italia nel pantano/ Cesare Pinelli, Le istituzioni del caciccato/ Carlo Sorrentino, Se il franchising non funziona/ Gennaro Acquaviva, Il cacicco bianco/ Marcello Fedele, Un bipartitismo imperfetto/ Stefano Rolando, Classe generale cercasi/ Angelo Sollazzo, Il cacicco d'importazione 30/03/2010 -oligarchi Errico Malatesta, I cavalieri antiqui -saggi e dibattiti Mario Ricciardi, La forma del pasticcio/ Alberto Benzoni, Le dogane della democrazia/ Fiorenzo Grollino, Se Atene piange/ Santo Prontera, Il sacco del Sud/ Riccardo Cecatiello, Etica sociale e crisi ambientale/ Gian Paolo Bonani, Scuola: tanto rumore per poco -cultura politica Piero Craveri, Craxi e la "grande riforma" -biblioteca/ citazioni Ugo Intini, La memoria di un bambino -biblioteca/ schede di lettura Carmine Pinto, Il quarto partito e la seconda Repubblica/ Paolo Allegrezza, L'estinzione degli intellettuali/ Carlo Magnani, Il diritto alla salute/ Marco Gervasoni, La sinistra anomala/ Matteo Lo Presti, La disperazione del riformista/ Federico Fornaro, Dalla Liga alla Lega ------------------------------------------------- Rivoluzioni -di Luigi Covatta - direttore di Mondoperaio In una Repubblica la cui tempestiva proclamazione fu propiziata anche da qualche brusco richiamo del Guardasigilli dell’epoca al primo presidente della Corte di Cassazione, l’opposizione di sinistra scende in piazza per tutelare l’inappellabilità dei cancellieri di Corte d’Appello. E in un sistema politico la cui unica fonte di legittimazione è la manipolazione incrementale delle regole del voto, la maggioranza di destra squarcia il velo che nasconde ai fedeli il rito della transustanziazione del consenso in potere. Nel frattempo la sinistra antivideocratica protesta per la soppressione dei talk show, mentre la destra videocratica irrigidisce per iperbole la par condicio. Senza dire del PM di Trani che in via cautelare vuole interdire il presidente del Consiglio dai pubblici uffici; e in attesa che un PM di Barletta, raccolta la notitia criminis dalle celebrazioni del 150° dell’Unità, chieda il rinvio a giudizio di Garibaldi per banda armata, di Mazzini per cospirazione, di Vittorio Emanuele per bigamia e di Cavour per prossenetismo. A giudicare dal mondo alla rovescia in cui siamo finiti, quella del 1992 almeno nel senso fisico del termine è stata davvero una rivoluzione. Sempre nel senso fisico del termine, peraltro, era “rivoluzionario” anche il famoso ordine di servizio della Marina borbonica che prevedeva il simultaneo rovesciamento di posizioni fra quelli che stavano a manca e quelli che stavano a dritta. L’ordine di servizio era intestato Facite ammuina. Ed anche da questo punto di vista negli ultimi vent’anni non ci siamo fatti mancare niente: il fin de non recevoir riservato nel 1991 al messaggio alle Camere di Cossiga; l’infelice compromesso fra Occhetto e De Mita sul Mattarellum; la fretta di andare alle urne con la gioiosa macchina da guerra; la “divina sorpresa” dell’avvento di Berlusconi; il ribaltone con cui si inaugurava la stagione dei governi “eletti dal popolo”; il trasformismo che portava il primo comunista a palazzo Chigi; la moltiplicazione dei partiti con cui si onorava la promessa di una semplificazione del sistema; l’obesa impotenza del secondo governo Berlusconi, ricco di consensi e povero di risultati; la sostituzione del Mattarellum col Porcellum, felice coronamento di una stagione ostile all’oligarchia partitocratica; il risicato premio di maggioranza a cui fu costretto ad impiccarsi il secondo governo Prodi; il conato bipartitico con cui Veltroni e Berlusconi hanno fatto la fortuna di Bossi e di Di Pietro e costruito la propria personale ruina; il “governo del fare” che nonostante la maggioranza bulgara in Parlamento opera soltanto per decreti e ordinanze. Benchè assolutamente appropriata al caso, tuttavia, ammuina non è tra le espressioni del lessico napoletano la più usata nel dibattito pubblico. Miglior fortuna ha inciucio, termine invece improprio almeno dal punto di vista lessicale, e sicuramente improvvido dal punto di vista politico. Grazie a qualche orecchiante del giornalismo (e del napoletano) di cui si è persa la memoria, infatti, inciucio invece che chiacchiera ha finito per significare compromesso, mediazione, dialogo; e grazie poi a molti orecchianti della politica, di cui invece purtroppo la memoria non si è persa, è servito a demonizzare quegli stessi essenziali ingredienti di ogni prassi democratica. Tempi duri, quindi, per il Capo dello Stato, che conosce troppo bene sia il lessico della democrazia che quello della sua città per non essere preoccupato piuttosto dell’ammuina che dell’eventuale inciucio, e che perciò da tempo consiglia alle forze politiche di imboccare la strada delle riforme condivise: non solo perché neanche su una questione bagattellare come quella delle liste queste forze politiche hanno saputo dialogare, mediare e raggiungere un decente compromesso; anche perché, con tanti saluti al pur conclamato “rispetto delle regole”, nell’opposizione riaffiora la tentazione di tirare il Presidente per la giacca. La querelle ancora una volta ha avuto per oggetto il potere di firma del Capo dello Stato. Sulla questione i precedenti sono controversi: Scalfaro non firmò il decreto Conso, e fece precipitare così la crisi istituzionale; Ciampi firmò la legge Calderoli, ed avallò così la modifica surrettizia della forma di governo. Con tutto il rispetto dovuto non solo all’età, quindi, non è dai presidenti emeriti che può venire qualche lume. Né lumi verranno, sempre con tutto il dovuto rispetto, dagli “esperti” che in questa circostanza hanno consigliato palazzo Chigi e il Quirinale, finendo forse per aggiungere pasticcio a pasticcio. La verità è che, con queste forze politiche, la stessa funzione di garanzia del Capo dello Stato rischia di diventare una missione impossibile. Così come talmente impossibili sembrano le missioni degli altri poteri neutri che alcuni di essi, diversamente da Napolitano, hanno ormai rinunciato a perseguirle. Queste forze politiche, del resto, tendono a squagliarsi anche se non sono di plastica. Della plastica ha già scritto sul Corriere del 3 marzo Ernesto Galli della Loggia, ed alla sua analisi c’è poco da aggiungere. Del fallimento dei partiti nazionali, certificata da ultimo con la devoluzione del loro ruolo ai caciccati locali, sempre sul Corriere aveva scritto qualche settimana prima Giuseppe De Rita, che nelle pagine che seguono riprende il tema, sul quale intervengono anche Paolo Pombeni, Luciano Cafagna, Giorgio Rebuffa, Giovanni Bechelloni, Cesare Pinelli, Carlo Sorrentino, Gennaro Acquaviva, Marcello Fedele, Stefano Rolando ed Angelo Sollazzo: persone di diversa formazione disciplinare e di diversa sensibilità politica, che tutte però ne condividono l’analisi. Non a caso, del resto, le star dell’equivoca manifestazione del centrosinistra a piazza del Popolo non sono state né Bersani, né Di Pietro, ma Vendola e la Bonino, due cacicchi sui generis, per la verità, accomunati però dall’essersi entrambi opposti con successo alle pretese dei velleitari manovratori dei partiti nazionali. Non solo in seno al ceto politico, del resto, qualcosa si sta sfarinando, se è vero che la nuova morfologia delle classi dirigenti, quale appare dalle cronache giudiziarie che in Italia fanno le veci del giornalismo d’inchiesta, prevede ruoli preminenti per personaggi tanto improbabili quanto sconosciuti ai più. Anche questa, forse, è una “rivoluzione”. Ormai in Italia, se non la cuoca, possono governare anche gli Anemone ed i Mokbel. Ed é curioso che in questo caso non scatti almeno qualche “invidia di classe” da parte degli imprenditori concorrenti. Così come è curioso che, nelle dispute oziose sulla eventuale replica di Tangentopoli, a nessuno venga in mente di osservare che una delle ragioni per cui oggi si ruba per sé e non per il partito è che il partito non esiste più, sacrificato come è stato alla “autonomia della società civile”, alla “indipendenza delle istituzioni”, alle “leggi del mercato”, alle “reti orizzontali”, e alle altre bubbole di cui si è nutrita in questi anni l’utopia antipolitica. Un’utopia può darsi che sia anche la nostra, che della politica invece auspica la riorganizzazione. Non è, comunque, una coazione a ripetere. Sappiamo tutto, infatti, dei limiti dei grandi partiti del Novecento. E sappiamo anche che il procedere della storia non è lineare, e che quella della “modernità” è una categoria fallace. Già diversi anni fa, del resto, commentando il fallimento della Bicamerale D’Alema, uno studioso tutt’altro che reazionario come Mauro Calise segnalò che le “costituzioni corporative” sono meno anacronistiche di quel che si pensi, e rappresentano anzi “un fattore di innovazione del panorama istituzionale”. Ma ricordò anche che mentre “quando si parla di una costituzione senza partiti si sente spesso una sorta di mitizzazione di un’età dell’oro in cui le istituzioni –il governo, il parlamento, la magistratura- erano libere da interferenze di parte”, si dimentica che esse erano libere solo “in quanto corpi particolari” che “molto prima di riconoscersi nella grande missione universalistica prevalsa nell’età democratica erano cresciuti puntando in primo luogo alla propria riproduzione particolaristica”. Noi però, a costo di apparire più anacronistici di quanto vorremmo, all’universalismo dell’età democratica siamo rimasti affezionati. Perciò diffidiamo di “una costituzione senza i partiti”, ed ancor più di una Repubblica senza Costituzione. E perciò, dopo un anno in cui abbiamo visto crescere l’interesse per la nostra rivista (a sua volta anacronistica per antonomasia), intendiamo proseguire il nostro lavoro di riflessione e di approfondimento. La politica che si sta sfarinando non è la nostra, ma anche la nostra si sfarinò. Non abbiamo nessun titolo, perciò, per fare la predica ai protagonisti politici di oggi. Possiamo solo vantare quella relativa innocenza che si consegue per prescrizione. E da quasi innocenti quali siamo ci permettiamo ancora una volta di segnalare la nudità della seconda Repubblica, e di offrire anche il nostro contributo a chi vorrà costruire la terza. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Preghiamo gentilmente i nostri lettori di scrivere una e-mail a n.zoller@trentinoweb.it con il semplice oggetto "CANCELLAMI" se le nostre "info" risultano indesiderate. 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