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dal blog di Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi 22 gennaio 2010 default.htm http://www.thefrontpage.it/ Storie di latitanti. Da Craxi a… Dante di Nicola Zoller Probabilmente su Bettino Craxi ha ragione il radicale Pannella quando dice che ci sono ancor oggi in giro troppi sciacalli e troppi parassiti, dediti gli uni a continuarne la criminalizzazione e gli altri ad utilizzarne il ricordo per darsi lustro, in entrambi i casi ad uso di lussureggianti carriere o dorati appannaggi: sembra quasi di risentire Tomasi di Lampedusa nel descrivere il trasformismo di iene e sciacalletti pronti a “sostituire i Gattopardi, i Leoni” declinanti e morenti. Perché allora perdersi dietro alla dedica o meno di una via fra gente indaffarata a darsi una interessata battaglia? “Craxi è un tema ineludibile, non basta una strada”, una ennesima scaramuccia per cavarsela, ha scritto Mario Pirani sulla Repubblica del 4 gennaio scorso. Sì, un tema ineludibile, che ha radici antiche, a cui qui – se possibile – vorrei accennare: quello del moralismo mendace che si insinua nella vita politica riducendola ad un combattimento con accuse di immoralità. Lo spiega la sociologia politica: si considera l’avversario come un essere crudele, repellente; si vive se stessi come giusti e virtuosi. Lo scopo è minare la legittimità dell’antagonista: qui la “morale” non è generosità, altruismo, dignità; è rimprovero, è condanna rivolta agli altri ignorando se stessi, la propria immoralità, la comune umanità in quanto tutti “progenie di Caino”. Scrisse Emilio Lussu, spirito libero della sinistra: “Il vero peccato non è commettere una infrazione alle leggi di nostro Signore, ché tutti siamo dei deboli mortali, ma fingere di essere virtuosi e agire da imbroglioni”. Nella grande letteratura di ogni tempo ci sono riferimenti analoghi. Blaise Pascal rilevava che “certo è un gran male essere pieni di difetti, ma è un male anche più grave esserne pieni e non volerlo riconoscere” individuando solo le mancanze altrui; mentre l’Amleto di Shakespeare ammetteva: “Sono mediamente onesto, eppure potrei accusarmi di tali cose che sarebbe stato meglio mia madre non mi avesse generato”. Il vetusto Seneca avrebbe proferito un giudizio più tranciante: “Per interesse siamo onesti, per interesse siamo disonesti, e la virtù la pratichiamo finché c’è una speranza di guadagno, pronti a un voltafaccia se la scelleratezza promette di più”. Ma per tornare in fretta alla modernità, basterà riandare alla diffidenza di John Locke – padre fondatore del liberalismo - per i “criteri etici sbandierati con eccessivo favore”: in essi si nascondono i germi della dittatura, che non a caso promuovendo il “nuovo ordine dell’onestà” farà invece della corruzione una sistematica arte di governo. Lo si vedrà disgraziatamente più avanti con il totalitarismo nazi-fascista: per quanto i sistemi democratici possano essere corrivi, “è difficile superare l’impunita voracità dei gerarchi di un governo totalitario” (in Sergio Turone, Politica ladra 1861-1992, Laterza). Siamo giunti qui al punto! Narra Giuliano Zincone sul Corriere della Sera del maggio 1995 che gli studenti universitari di Perugia richiesti di indicare i personaggi più odiosi dell’umanità hanno scartato Erode o Nerone, Stalin o Pol Pot: ai primi posti hanno messo Andreotti e Craxi, solo al terzo arriva Hitler! Ecco i risultati dell’abbruttimento della lotta politica nostrana. Si possono ora – nel 2010 – dare giudizi più sereni e condivisi? E’ ancora difficile, soprattutto su Bettino Craxi. Egli – nonostante sia morto di malattia, per anni in sofferenza e lontano dal suo paese – resta ancora per una parte dell’opinione un pericoloso “latitante” . Bettino Craxi è comunque in buona compagnia. “Latitanti” (secondo il gergo tecnico-carcerario), “fuoriusciti”, “rifugiati”, “esuli” (nel lessico letterario più gentile) furono Garibaldi, Turati e Pertini. Ma il contumace più illustre fu addirittura il Padre della nostra lingua, finito per ritorsione sotto accusa di concussione. Dante Alighieri, che come priore aveva ratificato una condanna contro tre banchieri papali, fu a sua volta perseguito dopo che papa Bonifacio VIII riprese il controllo di Firenze. Fu giudicato colpevole di “aver attinto dal tesoro della città più di quanto correttamente dovuto”: Dante non si presentò al processo – si difese dunque dal processo – e fu condannato in contumacia: se fosse entrato nel territorio fiorentino sarebbe finito sul rogo. Fu così che a 37 anni Dante intraprese la strada dell’esilio, della “latitanza” avrebbero detto altri nella parlata tribunalizia attuale. Abbiamo fantasticato? No. La storia è piena di vessazioni illiberali e di tante volubilità nelle sentenze dei tribunali che avrebbero fatto scrivere a Voltaire: “Se a Parigi ci fossero 25 camere di giudici ci sarebbero 25 giurisprudenze diverse”. Così era allora, così è oggi. Ricordiamoci le parole di Kant: “da un legno storto, come è quello di cui l’uomo è fatto, non può uscire nulla di interamente dritto”. Ha qualche merito chi – fuori da furori estremisti e da scorciatoie violente – prova ad accorciare le distanze fra gli uomini. torna in alto |