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INFO SOCIALISTA 10 Novembre 2009 a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Quindicinale - Anno VI ________________________________________ o Un libro per cominciare: Gianfranco Fini,"Il futuro della libertà" o IDEE PER L' ASSEMBLEA DEL PARTITO SOCIALISTA TRENTINO - di Matteo Salvetti o Anniversari - IL MURO DI BERLINO CHE AVEVAMO IN CASA - di Lorenzo Passerini o "LIBERE RELIGIONI IN LIBERI STATI" - Cavour ma anche Kennedy - di Nicola Zoller @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Un libro per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges) o Autore: Gianfranco Fini o Titolo: "Il futuro della libertà" o Rizzoli, 2009 L' on.Fini e il suo libro dal titolo troppo impegnativo "Il futuro della libertà" è il titolo - forse troppo impegnativo - del libro che Gianfranco Fini ha posto al suo recente libro, presentato sotto forma di "consigli non richiesti ai nati nel 1989". Sergio Romano il 31 ottobre scorso ne ha scritto un commento-recensione molto equilibrato, venato da apprezzamenti ma anche da rilievi disincantati, come quello riferito alla mancanza di "qualche esempio personale" sui percorsi verso la democrazia. In effetti, molti di noi potrebbero pensare che se un ex-neofascista arriva ora a intitolare un proprio libro addirittura "Il futuro della libertà", dopo aver sostenuto solo nel decennio precedente che Mussolini è stato "il più grande statista delsecolo", qualche esempio personale debba portarlo. Resta velatamente un dubbio: che l'on. Fini - come ha rilevato Ernesto Galli della Loggia- sia, in un altro contesto, come Mussolini prima della marcia su Roma "un homme qui cherche", un uomo alla ricerca della migliore combinazione per imporsi, piuttosto che un plausibile maestro di democrazia per le nuove generazioni.(n.z.) @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ IDEE PER L'ASSEMBLEA DEL PARTITO SOCIALISTA TRENTINO di Matteo Salvetti Il movimento socialista in Trentino ha una storia antica e gloriosa: il primo convegno di operai socialisti si tenne infatti a Trento sul finire del 1893. Diversi erano allora i problemi da affrontare, in particolar modo cercare un difficile raccordo tra le rivendicazioni nazionali legate al nascente irredentismo e la naturale vocazione internazionalista socialista. Il partito socialista trentino delle origini si muoveva in un contesto economico precapitalista, dominato dallo sfruttamento agricolo del microfondo senza un vero e proprio settore industriale trainante. Per questi motivi i socialisti trentini si rifacevano alle idee riformiste di Proudhon, Kautsky e Lassale piuttosto che ad una interpretazione ortodossa del determinismo storico delineato da Marx, tutto imperniato sul ruolo dell’operaio e della fabbrica. I massimi esponenti socialisti di allora, Battisti, Piscel e Avancini, rimasero sempre fedeli quindi al socialismo democratico gradualista, più confacente al contesto culturale trentino. I socialisti trentini non smisero tuttavia di giocare un ruolo importante come dissidenti durante gli anni del Ventennio fascista e molti di essi pagarono un tributo di sangue combattendo per la libertà contro il nemico nazifascista. Matteotti, Bettini, Pasi sono oggi ricordati come martiri della Resistenza che danno i loro nomi alle strade e alle piazze delle città e dei paesi del Trentino. Il partito socialista trentino ha saputo dare il proprio contributo anche nel Secondo dopoguerra al progresso della propria terra, battendosi per l’autonomia e mostrandosi sempre attento alle tematiche ambientali. Grandi personalità come quella di Walter Micheli, recentemente scomparso, hanno segnato la storia del partito, che dopo le vicende nazionali legate agli scandali di Tangentopoli, ha visto calare progressivamente i propri consensi pagando un ingiusto dazio visto e considerato che nessuna condanna di alcun genere venne impartita agli esponenti socialisti trentini. Sparirono tuttavia le sedi di partito e lentamente, sino ai giorni nostri, i socialisti sotto denominazioni diverse hanno visto ad ogni tornata elettorale diminuire il proprio peso e la propria rappresentanza nelle istituzioni comunali e provinciali. Oggi risulta un solo rappresentante socialista eletto in consiglio comunale a Trento, quattro presenze a Rovereto, sebbene elette sotto le insegne di una lista civica, solo per citare la situazione nei due centri maggiori della provincia. I socialisti non hanno nessuna rappresentanza nel consiglio provinciale, non essendosi nemmeno presentati all’ultimo appuntamento elettorale con una lista propria. Lo storico elettorato socialista si va progressivamente riducendo anche per motivi anagrafici mentre il partito genera uno scarso appeal sulle giovani generazioni, come testimonia l’insuccesso numerico delle ultime campagne di tesseramento. Poche sono state negli ultimi anni le occasioni di confronto con i cittadini e la presenza socialista, spesso giustificata solo come battaglia di rappresentanza, è vissuta con indifferenza dalla maggior parte della popolazione trentina., che vede il Partito socialista attivarsi solamente in occasione degli appuntamenti elettorali. A complicare le cose vi è poi la tendenza socialista a presentarsi alle elezioni ogni volta sotto sigle, simboli e con alleati diversi. Una strategia che ha disorientato i potenziali destinatari della proposta politica socialista, fornendo loro l’immagine di un partito che si mobilita solamente per il raggiungimento di cariche politiche di rilievo e che vive il potere politico non come un mezzo per attuare il proprio programma di governo ma come il fine stesso del proprio agire politico. A fronte di questi deficit organizzativi ed elettorali, il partito socialista si trova oggi a muoversi in un contesto politico assai mutato rispetto a quello di fine Ottocento ma diversissimo anche dagli scenari politici nazionali esistenti prima della caduta del Muro di Berlino e della situazione post- Tangentopoli. Il PCI non esiste più da vent’anni lasciando la propria eredità politica a formazioni che, nel corso del tempo hanno visto disperdere il suo consenso elettorale. I Democratici di sinistra, ultima denominazione post-PCI- hanno dato vita assieme a esponenti cattolici popolari della Margherita- formazione derivante dalla ex Democrazia cristiana- all’attuale Partito democratico che si caratterizza per essere la realizzazione finale del “compromesso storico” voluto da Moro e Berlinguer. Alla sinistra del Partito democratico vive un limbo di piccoli partiti oggi estromessi dal governo del Paese a seguito di una legge elettorale votata da PD e PDL e volta ad imporre all’Italia un sistema bipolare del tutto estraneo alla propria storia. Tutti i partiti dell’area di sinistra in Italia devono confrontarsi senza esclusione con un sistema economico post-industriale, basato in larga parte sul settore dei servizi e non più sulle fabbriche. L’operaio nell’immaginario collettivo non è più la massima espressione dello sfruttamento del sistema capitalistico, ruolo giocato oggi dall’operatore di call center laureato, con contratto a termine e malpagato. La globalizzazione dei mercati ha portato recentemente alla crisi economica ancora in atto e creato tensioni crescenti nella popolazione italiana e trentina. Le imprese multinazionali delocalizzano infatti in Paesi dove il costo della manodopera è inferiore, e in Italia si genera una lotta tra poveri per posti di lavoro sempre più precari e scarsamente remunerati. In questo contesto aumentano gli attriti tra la popolazione locale e i lavoratori migranti generando un pericoloso rigurgito di atteggiamenti xenofobi e apertamente razzisti da parte di alcuni partiti politici. L’Italia-e il Trentino non fa eccezione- si caratterizza per essere un Paese sempre più chiuso e inospitale, dove i giovani con alta specializzazione non hanno altra scelta che rifugiarsi in altre realtà estere più fortunate per poter realizzare le proprie naturali aspirazioni lavorative e familiari. L’Italia si appresta quindi a diventare un paesi di vecchi, senza meritocrazia , intollerante verso i migranti con un welfare state basato sui servizi assistenziali dispensati dalle cosiddette badanti , incapace di sviluppare politiche di ampio respiro e ben lungi dall’avvicinarsi- anche in Trentino- ai modelli dei welfare socialdemocratici di tipo scandinavo. In Italia e anche in Trentino uno dei temi più sentiti dalla popolazione è quello relativo alla protezione dell’ambiente e all’utilizzo delle energie rinnovabili, visti e considerati gli evidenti effetti del riscaldamento globale sul clima. Eppure pochi partiti a sinistra hanno visto attraverso lo sviluppo della cosiddetta green economy uno strumento in grado di generare nuovi posti di lavoro garantendo al contempo lo sviluppo sostenibile del territorio. Le destre pensano ad un ritorno all’energia nucleare che impegnerà il nostro Paese per dieci anni, mentre il movimento verde, da solo, pare oggi del tutto incapace di incidere politicamente sulle politiche ambientali. Anche il contesto culturale in Italia è fortemente cambiato e oggi la cultura delle destre e del Berlusconismo appare come largamente dominante. Si tratta a ben guardare di un mix di nazionalismo e individualismo, del tutto slegato dai concetti di solidarietà classici della sinistra. Un modello culturale basato sull’apparenza che ha diffuso il mito dell’arricchimento facile e dell’imprenditorialità fai da te di successo tra i giovani. Le ricadute della nuova mentalità indotta sulle nuove generazioni sono evidenti e vannoa d intaccare decenni di conquiste del movimento sindacale italiano, seguendo una tendenza che vuole i lavoratori più attenti al guadagno immediato alto con un contratto a tempo determinato che non alle prospettive di un guadagno elevato nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ipotesi quest’ultima ritenuta assolutamente utopistica e per il raggiungimento della quale non si sente di poter fare nulla. Anche le modalità del fare politica sono cambiate durante i 15 anni di presenza di Berlusconi sulla scena politica. Viviamo oggi in un vero e proprio “Stato mediatico” nel quale la politica non si fa più in Parlamento e nelle opportune sedi istituzionali ma sui giornali e ancor più nei salotti televisivi a colpi di sondaggi. In questo non si differenzia nemmeno l’atteggiamento del PD, oggi ancora convinto di poter battere Berlusconi per via mediatica a furor di popolo. In occasione delle ultime elezioni Europee il Partito socialista ha fatto parte di un cartello elettorale chiamato “Sinistra e Libertà” formato dall’accorpamento di soggetti diversi per storia e tradizione politica che hanno cercato in quell’occasione una sintesi per poter superare lo sbarramento imposto per avere una rappresentanza al Parlamento europeo. Sinistra e Libertà comprendeva socialisti, sinistra democratica, verdi, e vari movimenti fuoriusciti da Rifondazione comunista legati a Vendola, presidente della regione Puglia. Il risultato è stato tutt’altro che disprezzabile per una formazione che si presentava per la prima volta, con una Sinistra e Libertà al 3,2 % e un milione di consensi ottenuti, tanto che il progetto a livello nazionale è proseguito sino ad oggi perdendo lungo il cammino i Verdi- anche se non tutti- e i socialisti autonomisti facenti capo a Bobo Craxi, decisi a continuare la loro “battaglia di rappresentanza”. A livello locale il partito socialista trentino ha vissuto con distacco la nascita di Sinistra e Libertà, sebbene alcuni esponenti socialisti abbiano aderito con entusiasmo all’iniziativa e abbiano dato vita al primo Coordinamento provinciale per Sinistra e Libertà del Trentino. Molti compagni sottolineano ancora una differenza profonda di vedute tra socialisti e post-comunisti (DS o ex Rifondazione comunista) che rende vano ogni tentativo di proseguire con S e L in Trentino. Altri vedono in questa nuova formazione la possibilità di attualizzare il messaggio socialista nell’ambito di una sinistra nuova, non estremista né subalterna, laica e quindi ben distinta sia dal Partito democratico che dall’UPT di Dellai, di fatto quindi social-democratica. Il partito socialista trentino deve quindi decidere entro breve, anche in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, le prossime mosse non dimenticando gli orientamenti della politica nazionale e cercando al contempo una soluzione che sia la più adatta possibile alla realtà trentina. I socialisti si dovranno in ogni caso aprire alle altre forze della sinistra laica, repubblicana, radicale e verde con esclusione chiara e netta delle formazioni politiche di estrema sinistra, nella consapevolezza che la realtà politica sopra descritta e l’aggressività delle destre deve portare necessariamente il fronte progressista all’unità, ma che nessun successo elettorale può venire senza condivisione di programmi e vedute. Si impone quindi la necessità vitale per le sorti del movimento socialista trentino di aprirsi all’esterno e confrontarsi senza pregiudizi con altre forze della sinistra democratica italiana, nella consapevolezza che rimane comunque un elettorato di sinistra non votante in cerca di rappresentanza, lontano dagli estremismi della sinistra antagonista e dalle svolte moderate centriste del Partito democratico. È questa l’area politica di riferimento per il nuovo Partito socialista che verrà, che potrà essere conquistata solamente attraverso un profondo cambio di immagine esterna e di modus operandi, uscendo allo scoperto, rimettendosi in gioco sulla stampa e sui giornali, rilanciando attraverso Sinistra e Libertà l’attualità della proposta politica socialista riformista e democratica. Il partito socialista trentino dalla sua storia deve trarre l’insegnamento che ad ogni appuntamento elettorale non basta attivare un sistema di alleanze volto all’elezione dei propri rappresentanti senza aver prima elaborato un programma proprio, come non basta dall’altra uno sterile movimentismo senza una strategia politica di convergenza dei partiti e delle idee. Evitando questi errori e muovendosi in maniera sussidiaria a Sinistra e Libertà il partito socialista potrà incidere così in maniera determinante e crescente sullo sviluppo della società trentina, mettendo a disposizione il proprio patrimonio ideale e umano per rendersi ancora una volta utile ed indispensabile. Non si può quindi non citare le parole di Carlo Rosselli, che nel suo saggio “Socialismo liberale” affermava: “ Il movimento socialista non dovrà esser frutto di appiccicature di partiti e partitelli oramai sepolti, ma organismo nuovo dai piedi al capo, sintesi federativa di tutte le forze che si battono per la causa della libertà ed il lavoro”. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Anniversari - IL MURO DI BERLINO CHE AVEVAMO IN CASA dal giornale "Trentino" del 4 novembre 2009 Nel ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino penso che in Italia sia necessario fare una riflessione approfondita sul “muro che avevamo in casa” e sulle sue conseguenze. Rispetto allo scenario europeo l'Italia è sempre stata un'anomalia: negli altri Paesi dell'Europa occidentale la forza principale della sinistra è sempre stata il partito socialista, mentre in Italia è stata il partito comunista. Con i forti legami con la tragica esperienza sovietica, con un'ideologia e una politica estera incompatibili con le condizioni storiche dell'Europa a ovest del Muro, il PCI non poteva esercitare un'alternativa di governo e contemporaneamente impediva che fossero i socialisti democratici a rappresentarla. La caduta del muro, il 9 novembre '89, ha creato un “vuoto” che è stato riempito dall'antipolitica. Anziché pensare alla creazione di un grande partito che unisse tutti i riformismi, i post comunisti furono protagonisti, insieme a missini e leghisti, di una stagione di delegittimazione moralista della politica e cavalcarono la polemica antipartitocratica dimenticando come ovunque i partiti più “pesanti” siano quelli di sinistra, i quali traggono dall’organizzazione parte della propria forza. Quella stagione fu figlia, almeno in parte, anche del moralismo del PCI di Berlinguer che, come scrisse Piero Fassino in “Per Passione”, fu “un partito che - di fronte alle difficoltà del presente - non sa opporsi al richiamo delle sirene del passato. Un partito che si rifugia in una autoconsolatorìa riaffermazione di identità, di cui si rivendica la «diversità»: come se la differenza tra noi e gli altri partiti fosse un fatto genetico, e non più semplicemente programmatico. Un partito che si esilia, così, in una malinconica e solitaria navigazione senza bussola. (…) La tragica fine risparmia a Berlinguer l'impatto con la crisi della sua strategia politica”. Solo dopo la caduta del Muro avvenne la svolta del Pci e la sua adesione alla famiglia del socialismo europeo. Di fatto però ancora oggi persiste una considerevole diffidenza – in settori non marginali di un elettorato potenzialmente disponibile per un voto a sinistra – che deve essere superata con adeguate scelte. Solo infatti attraverso una profonda revisione della propria storia facendo chiarezza sui propri errori, senza infigimenti o ipocrisie, la sinistra riuscirà a proporsi come alternativa di governo e solo così potrà ambire a raccogliere il testimone dei migliori riformismi. Il Ventesimo anniversario della caduta del Muro deve essere l'occasione giusta per aprire questa riflessione. Lorenzo Passerini @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ "LIBERE RELIGIONI IN LIBERI STATI" - Cavour ma anche Kennedy “Un passo indietro della Chiesa” - l’Adige del 31 ottobre 2009 p. 54 Non si può che essere d’accordo con le riflessioni fatte da Pierangelo Giovanetti (il 25 ottobre) e Renzo Moser (il 29 ottobre)sul giornale l'ADIGE: nelle nostre scuole pubbliche si insegni Storia e Cultura religiosa e i docenti siano scelti non dal vescovo ma come tutti gli altri insegnanti. Per la verità Moser precisa: “Ci sono gli insegnanti di storia, quelli di filosofia e quelli di storia dell’arte, che non necessitano della certificazione vescovile e che possono insegnare non ‘in conformità alla dottrina cristiana’, ma in conformità ai programmi scolastici”. Il problema è che la Chiesa Cattolica non sembra ancora propensa a rinunciare al diritto concordatario di impartire nelle scuole pubbliche italiane l’insegnamento della religione cattolica (Irc), né a rinunciare alla nomina dei docenti ed al loro controllo: insegnando Storia e Cultura religiosa, le religioni sarebbero “relativizzate”, messe sullo stesso piano, e questo ovviamente confligge con tutte le ortodossie confessionali che ritengono di incarnare l’unica “vera” religione. Ma qualcosa nel tempo si è mosso e si muoverà ancora. Non siamo più al tempo in cui l’insegnamento della “religione di Stato” era obbligatorio; con la revisione del Concordato nel 1984 tale insegnamento è diventato facoltativo. Ora si dovrebbe procedere nel fornire “alternative credibili” agli studenti che non si avvalgono dell’ora tenuta dall’insegnante nominato dal vescovo. Da qui, mano a mano che la società italiana si evolve, potrebbe diventare naturale approdare ad un insegnamento non confessionale di storia delle religioni. Con questo non si nega la rilevanza della tradizione e l’importanza della prospettiva cattolica; piuttosto la si “concilierebbe” (superate le Conciliazioni del passato con gli Stati autoritari) con la prospettiva delle società liberal-democratiche e la corretta convivenza con le altre confessioni religiose. Potremmo ribadire e aggiornare un motto: “libere religioni in libero stato”, ricordando il liberale Cavour ma anche il cattolico Kennedy. Impressiona infatti sempre favorevolmente rileggere il discorso fatto dal presidente americano nel 1960. Parlava all’America, ma a noi piace pensare che si rivolgesse anche a tutte le democrazie moderne degli stati liberi e civili: “Io credo in un’America dove la separazione tra Chiesa e Stato sia assoluta: dove nessun prelato cattolico dica al presidente (anche se è cattolico) come agire, e nessun ministro protestante dica ai suoi parrocchiani come votare; dove nessuna chiesa o scuola confessionale abbia finanziamenti pubblici o preferenze politiche… Io credo in un’ America che sia ufficialmente né cattolica, né protestante, né ebraica; dove nessun pubblico funzionario richieda o accetti direttive sugli affari pubblici dal Papa, dal Consiglio nazionale delle Chiese o da qualsiasi altra fonte ecclesiastica; dove nessun ente religioso cerchi di imporre, direttamente o indirettamente, la sua volontà sulla popolazione o sugli atti pubblici dei suoi rappresentanti”. Nicola Zoller torna in alto |