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Dedicato a BERSANI
30.10.2009

INFO SOCIALISTA 30 OTTOBRE 2009
a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592

Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it
Quindicinale - Anno VI
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o Un libro per cominciare: Goffredo Fofi, “La vocazione minoritaria”
o Dedicato a BERSANI: "L’estremista, il fazioso e il pluralista" - di Angelo Panebianco
o SINISTRA E LIBERTA’ del TRENTINO - A PROPOSITO DI IMMIGRAZIONE- di Matteo Salvetti
o PER UNA SINISTRA LIBERALE E GARANTISTA - di Lorenzo Passerini
o Sarebbe bella l’ora di “storia delle religioni”: ma i guardiani dell'ortodossia non
sarebbero d'accordo. E allora? - di Nicola Zoller

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Un libro per cominciare ("Tutte le cose del mondo conducono a una citazione o a un libro" Jorge L. Borges)

o Autore: Goffredo Fofi
o Titolo: “La vocazione minoritaria”
o Laterza, 2009, Euro 12,00

Goffredo Fofi - nelle sue testimonianze raccolte sotto forma di intervista da Oreste Pivetta e pubblicate da Laterza con il titolo “La vocazione minoritaria” - mostra ben le sue origini socialiste libertarie e non violente: non a caso egli annovera tra i suoi maestri politici Riccardo Lombardi e Aldo Capitini.
Fofi è un cultore delle “minoranze”, ma non di quelle estremiste e nichiliste; piuttosto di quelle che trovano nell’impegno educativo e nell’assistenza sociale le chiavi per il riscatto dalle povertà “vecchie e nuove”.
Egli è un intellettuale che vuole “pensare ed agire insieme con gli oppressi. Ritiene che il compito precipuo, l’obbligo morale degli intellettuali sia “osare esser minoranza”: si rischierà di essere dei “perdenti”, ma non si finirà per essere dei “falliti” in una società priva di valori. Eppure avverte: non basta essere bravi e “puri” nel proprio ambito ristretto perché nella società cambi qualcosa; “da soli non ci si salva e neanche in un piccolo gruppo soddisfatto di sé. Si deve lavorare per tutti, non per la parte!”
E bisogna anche saper riciclarsi. Questa non è una brutta parola, abbiamo l’obbligo di essere all’altezza dei nostri tempi, “presenti al proprio tempo” secondo il richiamo di Rimbaud: i principi restano gli stessi ma i metodi vanno adeguati alle nuove situazioni.
E Goffredo Fofi ha anche idee concisamente chiare sui compiti della politica: il buongoverno è tale se coinvolge e stimola la cittadinanza, se accetta la critica e la proposta, se guarda agli interessi collettivi e non a quelli particolari, se protegge i deboli e i meritevoli. Ecco, a quest’ultimo proposito sovvengono qui le tante battaglie riformiste sul diritto/dovere della promozione dei meriti e della cura dei bisogni: in Fofi è forte la richiesta dei giusti diritti, ma nel culto di Giuseppe Mazzini ribadisce anche l’obbligo di affermare che i doveri vengono prima dei diritti.
Parole nette, sbattute in faccia all’estremismo superficiale e al massimalismo facilone d’ogni tempo: Fofi crede alla forza dei movimenti, ma ricorda che “il ’68 è durato pochi mesi”, ripiegando poi su modelli burocratici, verticistici, forieri di violenza (finendo - con leader “formidabili” come Capanna - addirittura a caldeggiare il culto di Stalin).
Ma non manca infine una riflessione sul “pacifismo” dei nostri anni. Afferma Fofi: ci sono momenti in cui anche il pacifismo può diventare un alibi per non cambiare niente e lasciare che ci siano massacratori e massacrati. Che fare? Benché sia colpito dalle riflessioni di Günther Anders che nei suoi ultimi anni era giunto a ripudiare la non violenza e a dichiarare che se c’è chi sta annientando il futuro bisogna - in ogni modo - impedirgli di farlo, Goffredo Fofi “disarma” tutti: i mezzi sono fondamentali a rendere giusti i fini, con i mezzi sbagliati non si va lontano. Dobbiamo essere una “minoranza che crede soprattutto nell’equivalenza dei mezzi e dei fini. (commento a cura di Nicola Zoller)

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Dedichiamo all'elezione di Bersani a segretario del PD questo articolo del prof. A.Panebianco

CATEGORIE DI UNA (BRUTTA) STAGIONE DA SUPERARE
L’estremista, il fazioso e il pluralista

di Angelo Panebianco - Corriere della Sera, 19 ottobre 2009

Viviamo in una fase, simile ad altre della nostra storia, di incanaglimento della lotta politica, siamo immersi in un clima di guerra civile virtuale. Siamo, pur con i nostri difetti, una democrazia ma rispettabili pensatori di altri Paesi, aizzati da demagoghi nostrani, vengono a spiegarci che viviamo sotto una dittatura. Abbiamo un dibattito pubblico apertissimo ma c’è chi racconta che la libertà di stampa è minacciata. Alcuni parlano dell’Italia come se si trattasse dell’Iran o della Birmania. Abbiamo libere e regolari elezioni ma una parte non esigua degli elettori dello schieramento sconfitto non riconosce la legittimità del governo in carica (ma la stessa cosa facevano certi elettori dell’attuale maggioranza quando governavano i loro avversari).
E’ in questi momenti che conviene tornare ai «fondamentali»: che cosa permette a una democrazia di sopravvivere? Di quali virtù o qualità deve essere dotata la cittadinanza democratica? La democrazia è un regime moderato. Ha bisogno che a guidare i governi siano sempre forze moderate, di destra o di sinistra, e che le componenti estremiste siano tenute a bada. Ma perché ciò accada occorre che, fra i cittadini, prevalgano certi atteggiamenti anziché altri. Nelle democrazie, in tutte, la maggioranza dei cittadini ha interesse nullo, scarso o sporadico per la politica. E’ sempre una minoranza, magari consistente ma pur sempre minoranza, a seguire con continuità le vicende politiche. Sono gli atteggiamenti prevalenti in questa minoranza a dettare tono e qualità della democrazia.
Sono tre i tipi umani che più frequentemente si incontrano in tale minoranza: l’estremista, il fazioso, il pluralista. Li indico nell’ordine che va dal meno al più compatibile con la democrazia. Gli estremisti veri e propri, così come qui li intendo, sono (fortunatamente) sempre pochi, anche se rumorosi e, spesso, pericolosi. La loro presenza dipende da certe caratteristiche della politica, dal fatto che la politica, più di qualunque altra attività umana, si presta ad essere il luogo in cui si possono scaricare le frustrazioni personali. Per l’estremista la politica è una grande discarica nella quale egli getta la parte peggiore di sé. L’estremista è uno che odia. Odia se stesso in realtà ma trasforma l’odio per se stesso in odio per il «nemico politico». La politica, data la sua natura competitiva e conflittuale, si presta bene per questa operazione. Lo sventurato giovane che su Facebook si è chiesto perché nessuno abbia ancora ficcato una pallottola in testa a Berlusconi è una vittima del clima che gli estremisti alimentano (per inciso, quel brutto incidente potrebbe essere la sua fortuna: se non è uno stupido rifletterà, capirà che un uomo è tale solo se pensa con la sua testa, se non si fa comandare o suggestionare dal clima dominante negli ambienti che frequenta).
Poi c’è il fazioso. A differenza dell’estremista il fazioso, come qui lo intendo, non è un caso psichiatrico. Però è spaventato dalle opinioni in contrasto con la sua. Nei mezzi di comunicazione cerca più conferme ai suoi pregiudizi che informazioni o dibattiti di idee. È rassicurato dall’idea che esista, in materia di politica, la «verità», unica, chiara, indiscutibile, e che egli, essendo onesto e intelligente, la conosca. Per lui, quelli che non vogliono accettare la verità in cui egli crede sono disonesti o stupidi.
Il fazioso teme lo stress che gli procurerebbe il riconoscimento che il mondo è davvero complesso e ambiguo. Ha bisogno di contare su un quadro di certezze: di qua il bene, di là il male. Un grande economista, Joseph Schumpeter, diceva che spesso eccellenti persone, brave nel loro mestiere, sono in grado di parlare con competenza e maturità dei problemi della loro professione ma regrediscono all’infanzia appena cominciano a parlare di politica: il Bene, il Male, le fate e gli orchi, gli sceriffi col cappello bianco e i banditi col cappello nero. Il fazioso, essendo spesso tutt’altro che stupido, vive con patimento la sua contraddizione: la coesistenza, in lui, dell’orrore per le opinioni diverse dalla sua e del riconoscimento della necessità del pluralismo delle opinioni in una democrazia.
C’è infine il pluralista. Accetta il fatto che il mondo sia complesso e, dunque, che non ci sia, sui fatti contingenti della politica, una Verità acquisita per sempre. Accetta che il problema sia, ogni giorno, quello (faticoso) di impadronirsi, confrontando le opinioni e riflettendo sui fatti, di quel poco di precarissima «verità» che si riesce ad afferrare. Senza abdicare alle proprie convinzioni più profonde non teme di ascoltare pareri diversi. Pensa che, se sono ben argomentati e presentati con garbo, possano anche arricchirlo.
Quanto più nella minoranza che si interessa con continuità di politica prevale il tipo pluralista, tanto più la democrazia è salda e sicura. Non è questione di destra o sinistra o, attualmente, di berlusconiani e anti­berlusconiani. Ci sono faziosi e pluralisti di ogni tendenza. Ad esempio, la differenza fra un fazioso antiberlusconiano e un pluralista antiberlusconiano è che per il primo Berlusconi è il nemico mentre per il secondo è solo un avversario.
C’è poi la questione dell’uovo e della gallina. Ci sono fasi in cui, entro la minoranza che segue la politica, i pluralisti si trovano in difficoltà e sembrano quasi soccombere di fronte alla prepotenza dei faziosi (sempre seguiti da un imbarazzante codazzo di estremisti). È difficile stabilire se in quei momenti i faziosi prevalgono perché aizzati dalle urla di furbi demagoghi o se, invece, i furbi demagoghi hanno successo a causa dell’esistenza di una folta pattuglia di faziosi.

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SINISTRA E LIBERTA’ del TRENTINO

A PROPOSITO DI IMMIGRAZIONE
a cura di Matteo Salvetti

All’inizio degli anni Novanta c’erano gli albanesi e i meridionali poi, nel corso del tempo, nuovi popoli si sono aggiunti alla lista dei non ben accetti nella ricca “Padania”, nazione immaginaria dai confini elastici, estesi tanto più a Sud quanto l’altezza del PIL pro capite lo consente. Gli immigrati: un elemento di disturbo ulteriore alla creazione di una ipotetica quanto impossibile “identità padana”, e al contempo “lavoratori ospiti” in nero, motore invisibile della crescita industriale delle piccole e medie imprese del Nord, schiavizzati nella raccolta di pomodori nelle assolate terre pugliesi, dispensatori di servizi assistenziali a costo zero per il welfare nazionale, i primi a morire nei cantieri per la costruzione delle nostre case e il tutto senza riconoscimento di diritto alcuno.

Dopo aver vinto le elezioni grazie anche ad una ben orchestrata campagna d’odio contro gli immigrati, , le frange xenofobe del governo hanno iniziato a varare misure che – solo per citarne alcune- negano il diritto di assistenza medica universale, cercano di rendere più difficile ad un immigrato l’aprire un esercizio economico ed istituiscono classi separate per stranieri nelle nostre scuole. A peggiorare ulteriormente il quadro della situazione è stato recentemente introdotto il “reato di clandestinità” e avviato un programma di respingimento in mare di migranti- anche donne, bambini e possibili richiedenti asilo- per il quale il nostro Paese ha già ricevuto ammonimenti da parte delle Nazioni unite e dell’Unione europea. In questo clima di insofferenza verso gli immigrati si inseriscono i recenti e numerosi episodi di cronaca: un vero e proprio bollettino di guerra, di violenza e atti a sfondo razzista.

L’Italia da sempre è un Paese multietnico, e non saranno certo le misure del governo a porre fine ad un processo globale di migrazione dalle zone più povere e colpite dai conflitti a quelle più ricche e politicamente stabili. La sfida per il futuro è quella di creare nella società le premesse per una convivenza possibile di culture e religioni differenti. Crediamo quindi nel principio dell’accoglienza nel rispetto della cittadinanza e nella necessità di avviare processi di convivenza e integrazione che facciano acquisire diritti ma anche doveri per ricominciare a parlare d''immigrazione come una risorsa.

LAVORI IN CORSO PER LA SINISTRA - LAVORIAMO INSIEME

CONTATTI: Via delle Rogge, 3 -38100 TRENTO
sinistraelibertatn@alice.it

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PER UNA SINISTRA LIBERALE E GARANTISTA

di Lorenzo Passerini - giornale Trentino, 17 ottobre 2009

La bocciatura del Lodo Alfano induce una riflessione sull'immunità parlamentare prevista dai padri costituenti e voluta soprattutto dalle forze della sinistra per proteggere la funzione legislativa. Sul rapporto politica-magistratura un'affermazione di Francesco Bacone, filoso, politico e saggista inglese, vissuto a cavallo del 1600 è davvero illuminante: “I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono”. Alcuni magistrati considerano un must della carriera l'aver incriminato qualche politico di rilievo, salvo poi intraprendere profittevoli carriere politiche. I cittadini plaudono ai giudici intrepidi che lottano contro i politici, tuttavia il plauso si trasforma in protesta quando l'attività si rivolge contro di loro.
Penso quindi sia da accogliere con favore l'iniziativa di Marco Follini, senatore del Pd, il quale ritiene che “reintrodurre l'immunità per tutti i parlamentari sarebbe meglio dello spettacolo di questi anni, fatto di miriadi di leggine su misura per un solo imputato, spesso bocciate dalla Consulta. La spirale perversa tra gli interessi privati dell'uno e le tentazioni giustizialiste degli altri va spezzata ad ogni costo.” L'articolo 68 della Costituzione del '48, abolito nel 1993 sotto il fuoco di Tangentopoli, era infatti una norma erga omnes, che riguardava tutti gli eletti in Parlamento, non un solo uomo per proteggerlo dai processi che lo riguardano per reati commessi prima della sua elezione. Il fatto che il centrodestra preferisca affrontare un problema con leggine ad personam non dovrebbe impedire al centrosinistra di proporre soluzioni eque e costituzionali. La levata di scudi di quel Di Pietro minore che è diventato Franceschini contro Follini dimostra che il Pd è, grazie ad una strategia suicida di questi ultimi anni, preso in ostaggio dal giustizialismo populista e mediatico. È necessario un cambio di rotta e riappropriarsi dei valori di una sinistra liberale e garantista.

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Sarebbe bella l’ora di “storia delle religioni”: ma i guardiani dell'ortodossia non sarebbero d'accordo. E allora?

Anche nella nostra terra alpina viene riproposto il problema dell’insegnamento religioso islamico. Se fossimo uno stato laico e l’ora di religione non fosse inserita nell’orario scolastico, si potrebbe sostenere che “l’istruzione confessionale” non è un dovere delle istituzioni pubbliche, ma spetta alle singole “confessioni religiose”. Oppure, potrebbe essere anche bello risolvere le questioni introducendo l’ora di “storia delle religioni”. Ma qui sorge un altro problema: né la Chiesa cattolica né tantomeno la rappresentanza Islamica accetterebbero mai che la propria “religione” sia messa sullo stesso piano di altre, come avverrebbe logicamente con l’introduzione della materia “Storia delle religioni”.
A questo punto non resta che essere d’accordo col prof. Sergio Romano, il quale segnala due soluzioni: o si cancella l’ora di religione attuale oppure la si permette anche ai musulmani. E dovremmo aggiungere: anche ai cristiani protestanti e ortodossi, agli ebrei, ai buddisti e a tutte le altre confessioni.

Nicola Zoller – consigliere nazionale PSI

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