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INFO SOCIALISTA 30 settembre 2009 a cura di n.zoller@trentinoweb.it - tel. 338-2422592 Trento/Bolzano: www.socialistitrentini.it / www.socialisti.bz.it Quindicinale - Anno VI ----------------------------------------------------- o Capitalismo in crisi, Europa a destra. Ecco perché non è un paradosso - di MICHELE SALVATI o SOCIALISMO NEGLI STATI UNITI CONDANNATO SOLO A PAROLE - di SERGIO ROMANO o IL SOCIALISMO SARA' ANCORA UTILE AI POPOLI EUROPEI o DOPO INNSBRUCK MEGLIO PENSARE A UNA EUREGIO SENZA REVANSCISMI - di Nicola Zoller @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ Capitalismo in crisi, Europa a destra. Ecco perché non è un paradosso di MICHELE SALVATI - Corriere della Sera - 23 settembre 2009 Non trovo paradossale che nei grandi Paesi europei le forze di centrodestra prevalgano in questo momento su quelle di centrosinistra, proprio mentre il capitalismo conosce una delle sue crisi più gravi. È anzi probabile che le vittorie della Cdu e dei liberali nelle imminenti elezioni tedesche e dei conservatori in quelle britanniche, l' anno prossimo, confermeranno questa tendenza. Si tratterebbe di esiti paradossali se il centrosinistra avesse fatto della critica al capitalismo il suo messaggio politico principale. Se avesse battuto e ribattuto su un programma credibile per un ordine post-capitalistico, o quanto meno per un nuovo regime di politica economica, nettamente diverso da quello che è esploso due anni fa. Ma non l' ha fatto e - mi riferisco ovviamente ai grandi partiti, a quelli che seriamente competono per il governo - non lo poteva fare. Alcuni partiti a dire il vero l' hanno tentato, e penso soprattutto all' ambizioso programma di politiche industriali e di rilancio della domanda di Mitterrand e Delors nel 1982, una sorta di statalismo e keynesismo in un Paese solo. Ma gli esiti furono disastrosi e l' inversione di rotta fu rapida e dra stica. Non l' ha fatto e non lo poteva fare perché a cavallo del 1980 maturò una svolta epocale nel regime di politica economica cui il mondo è assoggettato dalle decisioni del Paese egemone, gli Stati Uniti: il passaggio dall' assettointernazionale di Bretton Woods e di conseguenza dal regime keynesiano dei trent' anni gloriosi tra il 1950 e il 1980 (no more unemployment, mai più disoccupazione!) ad un regime neoliberale, basato su politiche monetarie severe, libera circolazione dei capitali e deregolazione dei mercati, un regime che è sfociato nella globalizzazione e nello straordinario sviluppoeconomico mondiale degli anni 90 e dei primi anni 2000 (no more inflation: domata l' inflazione, la crescita e l'occupazione sarebbero poi venute da sé - questa la filosofia dominante - per i Paesi capaci di reggere ala sfida competitiva). Difronte a questa svolta epocale - voluta da Reagan, attuata da Volcker e prodotta da cause teoriche, ideologiche, socioeconomiche e geopolitiche nelle quali non posso entrare ora, se non ricordando la più importante, la crisi e poi il crollo del comunismo sovietico - che cosa potevano fare le sinistre di governo dei principali Paesi occidentali? Anche se il neoliberismopiaceva poco ai governi riformisti europei, ogni singolo Paese non poteva far molto per contrastare il nuovo regime di politica economica internazionale, il vero ostacolo all' attuazione e allo sviluppo di un programma socialdemocratico, come la precoce esperienza francese aveva dimostrato. Avrebbero potuto fare molto di più - i Paesi dell' Unione Europea - se fossero riusciti a creare in Europa una unità politica dotata della stessa coesione degli Stati Uniti, con uno stretto coordinamento tra politiche fiscali e monetarie: si sarebbe così formata un' area che avrebbe meglio saputo resistere agli orientam enti di politica economica provenienti dall' America. Ma questo non fu possibile, e ogni forza di sinistra riformistica si adattò alla situazione secondo il contesto politico-sociale del Paese in cui operava: più liberale e di «terza via» nel Regno Unito, più statalista in Francia, più corporativa in Germania (per l' Italia faccio fatica a vedere un modello coerente). Si adattò cercando di salvare quanto era possibile, compatibilmente all' imperativo di sostenere la crescita, dei valori solidaristici ed egualitari della sua tradizione edei vantaggi che il Welfare State aveva procurat o ai ceti da lei difesi. È questo «adattamento» degli ultimi vent' anni che ha reso i riformismi europei esposti all' attacco odierno del centrodestra, specie quando è impersonato da leader capaci e opportunisti come Sarkozy, Cameron o il nostro Tremonti. Si badi bene. Adattandosi, il centrosinistra ha ottenuto nel recente passato importanti successi elettorali - si pensi a Tony Blair - anche se, ovviamente, non è riuscito a modificare il regime internazionale di politica economica. Ma, adattandosi, ha anche perso la sua verginità anticapitalistica, antimercatista, ed è stato preso in contropiede. Stato e mercato, in realtà, sono ormai strumenti utilizzabili da entrambi gli schieramenti e se la destra da liberista diventa statalista, com' è avvenuto durante la crisi, questo non sorprende nessuno. E la sinistra ha poco da obiettare, dopo il suo adattamento al regime liberista degli anni scorsi, conclamato nel caso di Blair, ma seguito di fatto in tutti i principali Paesi europei. Si aggiunga che la destra, in una situazione di crisi e di paura, di diffuse preoccupazioni per l' occupazione e di disagi dovuti all' immigrazione, dispone di uno strumento formidabile che la sinistra non può usare: lo strumento anti-illuministico della vecchia tradizione conservatrice, il Dio/Patria/Famiglia (Regione al posto di Patria, nel caso della Lega) da brandire contro tutte le minacce esterne. Dunque, non è per nulla paradossale che la destra prevalga in questa prima fase della crisi. E non è affatto detto che questa prevalenza debba durare a lungo. Ma per capire se e quando ci sarà un' inversione del ciclo elettorale, Paese per Paese, è necessario spacchettare parole generiche e non caratterizzanti come Stato e Mercato, come se la destra fosse sempre e necessariamente a favore di più mercato e la sinistra di più Stato. Problema per problema, occorre trovare combinazioni adeguate dei due strumenti e far capire che non è la loro natura, ma il loro uso che può differenziare le proposte dei due schieramenti. @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ SOCIALISMO NEGLI STATI UNITI CONDANNATO SOLO A PAROLE dalla rubrica delle lettere del Corriere della Sera - risponde SERGIO ROMANO LUNEDì 21 SETTEMBRE 2009: Ho letto che negli Stati Uniti i suoi avversari repubblicani hanno definito «socialista» il presidente democratico Barack Obama che diffonderebbe «idee sinistrorse» nel Paese. Ma se non sbaglio negli Stati Uniti non c’è alcuna forma di socialismo vero e proprio, visto che anche i lavoratori mostrano un atteggiamento favorevole verso il capitalismo. Può aiutarmi a capire questo paradosso? Michele Micortoia, Foggia Caro lettore, Per una grande parte della società americana «socialismo» è effettivamente una brutta parola, spesso usata quando un uomo politico de sidera screditare le idee di un avversario. Nel caso di Obama l’accusa è legata alla riforma sanitaria che il presidente ha promesso durante la sua campagna elettorale e che cerca ora di fare approvare dal Congresso. Gli obiettivi della legge sono, nelle sue intenzioni, almeno tre. Dovrebbe in primo luogo imporre maggiori obblighi alle compagnie di assicurazione, troppo inclini a escludere dalle loro polizze, con diversi stratagemmi, le patologie e i rischi più costosi. Dovrebbe in secondo luogo stabilire l’obbligatorietà dell’assicurazione sanitaria, oggi soltanto facoltativa e collegata generalmente al rapporto di lavoro. E dovrebbe infine creare un mercato delle polizze di assicurazione in cui il cittadino possa trovare quella che meglio corrisponde alle sue necessità e possibilità. Per raggiungere questo terzo scopo Obama ha proposto la creazione di un istituto pubblico delle assicurazioni (come accadde in Italia all’epoca di Giolitti) che costringerebbe le società private, con la propria offerta, ad abbassare i loro prezzi. Ma è questa per l’appunto la proposta che è stata definita «socialista» e ha provocato le reazioni indignate di una parte della opinione americana. L’intervento dello Stato nella salute dei cittadini è percepito come una intollerabile violazione dei loro diritti. I liberisti temono che sia l’avanguardia di nuove iniziative dirigistiche. Gli evangelici sono convinti che lo Stato medico e infermiere addosserà sulle spalle del contribuente l’onere finanziario di misure «esecrabili» come l’aborto e l’eutanasia. In realtà lo Stato americano è intervenuto e con tinua a intervenire pesantemente con misure legislative che sono spesso ispirate da programmi di giustizia sociale. Per le persone al di sopra dei 65 anni esiste già un sistema sanitario gratuito ed efficace (Medicare). Per gli indigenti esiste un altro sistema, anch’esso totalmente gratuito (Medicaid). L’edificio economico e sociale creato dal New Deal di Franklin Delano Roosevelt conteneva norme (soprattutto in materia di rapporti sindacali, sussidi di disoccupazione e assistenza alle famiglie bisognose) che corrispondevano ai programmi delle socialdemocrazie europee negli stessi anni. Espulso dal linguaggio pubblico, il socialismo entra di soppiatto nella vita degli Stati Uniti in numerose forme. Come il «borghese gentiluomo » di Molière faceva della prosa senza saperlo, così l’americano medio è socialista senza esserne consapevole. SERGIO ROMANO @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ IL SOCIALISMO SARA' ANCORA UTILE AI POPOLI EUROPEI Prima di mettersi a stilare frettolosi atti di morte, è bene stare ai fatti. E i fatti - lo ripetiamo con le parole dell'editorialista del "Corriere della Sera" Paolo Franchi - stanno lì a dire che i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti sono e restano in Europa, "con l'eccezione non particolarmente felice dell'Italia", la forza di gran lunga più importante e significativa della sinistra che esiste nella realtà, e non solo nelle ambizioni di chi ne vorrebbe una tutta nuova e diversa, magari così nuova e diversa da non potersi neanche più definire sinistra. Di fronte alla sconfitta subita in Germania (ma anche guardando al risultato positivo d el Portogallo), si può ribadire che il socialismo democratico nella sua lunga vita ha attraversato molte crisi considerate mortali, ma ogni volta, quando tutto sembrava perduto, ha trovato il modo di lasciare disoccupati i suoi aspiranti becchini, di destra, di centro e di estrema sinistra. a cura della Segreteria regionale del Partito Socialista del Trentino- Alto Adige @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ DOPO INNSBRUCK MEGLIO PENSARE A UNA EUREGIO SENZA REVANSCISMI “L’amore per l’Arno – cioè per il luogo natale – e quello per il mare, patria universale, sono complementari”: vien proprio da parafrasare Dante guardando la manifestazione del 20 settembre a Innsbuck convocata “per celebrare la ricorrenza – come avverte un comunicato ufficiale - dei 200 anni delle lotte tirolesi” guidate da Hofer. Pare infatti necessario – dopo le numerose manifestazioni pro-hoferiane promosse anche in Trentino dalle istituzioni provinciali – un riferimento ad una visione più generale e di prospettiva, quella che purtroppo è latitante se si continua ad imperniare su Hofer e i suoi Schützen la base per la proposizione di una Euroregione “Tirolese”. Con questa “base” si rischia di non andare da nessuna parte. Cosa resta di quelle “lotte tirolesi”: l’ostilità alle prime riforme sanitarie che introducevano la vaccinazione antivaiolosa dei bambini (osteggiata perché avrebbe fermato l’ordine naturale delle cose e la volontà di Dio di “avere nuovi angeli in cielo”!) e l’inumazione dei cadaveri fuori dal centro abitato? L’ostilità verso l’istruzione elementare del popolo, per lasciarlo invece nelle mani della super stizione? L’ostilità verso la liberazione dalle “gabbie” sociali feudali per cui “chi nasceva contadino doveva ‘felicemente’ morire contadino”? L’ostilità verso le norme – introdotte prima da Giuseppe II d’Austria e poi confermate dai franco-bavaresi – a favore della “tolleranza religiosa e l’uguaglianza dei culti” ? La storia e quello che è, e i giudizi degli studiosi anche e soprattutto di lingua tedesca sono disarmanti. Ce ne ha dato un saggio Patrick Ostermann con un articolo su “Questotrentino” di settembre, intitolato “Da eroe della libertà a talebano delle Alpi: il declino di Andreas Hofer nella considerazione dei tedeschi”. Così Michael Frank sul quotidiano di Monaco “Süddeutsche Zeitung” descrive l’oste della Val Passiria come “un crociato contro il progresso e la modernità, allo scopo di conservare il Tirolo come teocrazia”; ma anche per uno storico sudtirolese come Karl Mittermeier , Hofer è un “baciapile”, piegato su un integralismo antilluminista e bacchettone. Ora, se si vuole prospettare una Euroregione “Alpina” è meglio cambiare immagini e testimonianze, che non possono essere recuperate da un’esperienza oscurantista di 2 secoli orsono. Piuttosto – avvicinandosi di più alla nostra epoca - non vanno dimenticati i soprusi che le popolazioni di queste terre hanno subito, a partire dalle vessazioni fasciste sui sudtirolesi, che fecero spropositatamente seguito ai maltrattamenti antitaliani riservati in precedenza alle popolazioni trentine dalle dirigenze austro-ungheresi (e mi piace qui ricordare che fu un compagno di fede politica di Cesare Battisti - il deputato socialista poi assassinato dai fas cisti Giacomo Matteotti - a difendere in Parlamento “con competenza e fedeltà ai suoi ideali, i diritti e i problemi delle minoranze allogene”: per questo – scrisse l’on. Karl Tinz - i sudtirolesi gli dovevano per sempre “speciale riconoscenza”). Ora va da tutti riconosciuto che cose nell’ultimo cinquantennio si sono fortunatamente modificate anche e particolarmente per i sudtirolesi, i quali grazie ad un esperimento autonomistico davvero felice possono essere di riferimento per tutte le minoranze del pianeta. Si è giunti perfino ai limiti della sovrabbondanza almeno sul piano finanziario, stando alla constatazione della deputata austriaca Ulrike Lunacek: “Finanziariamente – afferma – l’Alto Adige sta meglio di qualsiasi altro Land austriaco. Se confronto l’Alto Adige con il Tirolo austriaco, il primo ha un terzo di popolazione in meno, ma un bilancio doppio rispetto al secondo”. Dunque si proceda con la collaborazione fra regioni alpine fuori da tracotanti revascismi e da chiusure retrograde. Siamo tutti cittadini del mondo, molti di noi sono orgogliosi delle proprie radici ( nel mio piccolo ambito, quando in montagna incontro alpinisti austriaci o germanici attacco discorso con una battuta: “Ich bin ein Schwabe”, sono uno svevo, con gli avi provenienti da quella terra bavarese che duecento anni orsono si oppose al Tirolo… ma mio nonno fu uno dei tanti kaiserjäger dell’esercito austriaco), dunque intrecciati da vicende di confronto e incontro inevitabili. Sia quindi una collaborazione alpina concreta nei settori della scienza, ricerca, scuola, in quelli dei trasporti e dell’economia in generale, dell’agricoltura e della pianificazione territoriale: aree così importanti e omogenee dal punto di vista geografico e ambientale possono fare un lavoro comune utile per i nostri popoli, per il proprio Paese e per l’Europa. Nicola Zoller @@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@@ torna in alto |